Galateo: i biglietti di visita, di Marziano Magliola
Biglietto da visita? E’ più corretto dire di visita, ma potete attenervi alla terminologia corrente. Inventato in Francia agli inizi del Settecento, si diffonde in Italia intorno al 1730. E’ un biglietto di presentazione, pertanto è opportuno non ricorrere a caratteri fantasiosi o al fai da te, con il computer. Deve essere bianco e stampato in nero. Più elegante, e più costoso, quello in rilievo. L’uomo e la donna che lavorano avranno tre biglietti di visita. Uno personale, con soltanto il nome e il cognome. Il secondo, con il titolo di studio, il nome e il cognome, l’indirizzo di casa e il telefono. Il terzo, usato solo per gli affari, completo di qualifiche professionali e di indirizzi e telefoni d’ufficio. Marito e moglie avranno anche biglietti di visita in comune: il nome di lui precede quello di lei, seguito dal cognome del marito. Nelle famiglie nobili, la corona può sovrastare i nomi. Una vedova continuerà ad utilizzare i biglietti di visita che adoperava prima della scomparsa del marito, cioè con i due cognomi. Sconsigliabile sottolineare nei biglietti lo stato di vedovanza indicando il cognome del defunto preceduto da ved. Il biglietto di visita personale serve per accompagnare un regalo o dei fiori o può essere mandato in ringraziamento per delle congratulazioni o delle condoglianze. Non siate parsimoniosi: aggiungete a mano alcune parole oltre a quelle già stampate. In questi ultimi anni sono arrivati dagli Stati Uniti i piccolissimi biglietti di visita adesivi. Molto comodi per il lavoro, non sono utilizzabili per la vita privata. Sui biglietti di visita personali e di lavoro con indirizzo e qualifiche non scrivere mai a mano, neppure la vostra firma. Il biglietto con solo nome e cognome si usa per le occasioni private. Non si cancella il cognome e non si scrive la frase da inviare usando il nome stampato in prima persona. Il biglietto molto privato è bianco: sarà il testo a svelare l’identità del mittente. Evitate i biglietti spiritosi, quasi sempre di pessimo gusto: l’abito non fa il monaco, il biglietto sì.



