Ernesto Galli della Loggia ha messo a posto ,sia pure dopo le elezioni, quei giornalisti ,storici improvvisati, che si sono lanciati contro il fantasma di Mussolini a cent’anni dalla Marcia su Roma per contribuire alla sconfitta del rinnovato pericolo fascista rappresentato da Giorgia Meloni . Sono usciti dei titoli che screditeranno per sempre i loro autori, presi da una militanza antifascista del tutto inutile e fuori tempo. E’ venuto fuori ancora una volta il fascismo rosso, rabbioso e velleitario di chi sicuramente, se fosse nato prima, sarebbe stato come i vari Giorgio Bocca, Eugenio Scalfari e Luigi Firpo e tanti altri un sostenitore convinto del regime, di Hitler e persino dell’antisemitismo. Essere antifascisti cent’anni dopo non comporta costi di sorta e credo se ne sia accorta la stessa Anpi che saggiamente si è limitata a sollecitare la partecipazione al voto senza unirsi al coro degli intellettuali che hanno avuto il loro direttore d’orchestra in quel Gad Lerner che pochi mesi fa ha sostenuto che Sofri ,mandante dell’omicidio di Calabresi, era dalla “parte giusta “. Galli della Loggia sostiene che gli italiani non hanno mai fatto i conti con il fascismo ,pensando di aver vinto la guerra ,schierandosi con gli Alleati dopo l’8 settembre 1943. Una tesi che è stata suggestivamente sostenuta molto prima di lui da Gianni Oliva. Galli porta a sostegno della sua tesi una dichiarazione del Governo Bonomi che successe a Badoglio nel 1944,in cui si sosteneva che la maggioranza degli italiani fin dal 1940 era stata antifascista perché contraria alla guerra a fianco della Germania. Neppure Benedetto Croce che volle ridurre le responsabilità dell’Italia nella guerra fascista, giunse a tanto perché disse che tutti avevano perduto la guerra, anche quelli che si dichiararono contrari. In effetti gli studi di De Felice che Galli non cita, rivelano un consenso di massa al fascismo che portò ad oltre mezzo milione di volontari che aderirono in armi alla Repubblica di Salò destinata alla sconfitta. Ma Galli cita anche il comma 2 dell’articolo 12 delle norme transitorie della Costituzione, quello che vieta la ricostituzione del partito fascista in cui si prevede una norma di legge per i responsabili del passato regime che non potranno partecipare ad elezioni prima di cinque anni dalla entrata in vigore della Costituzione. Insieme all’amnistia voluta da Togliatti non senza motivi detto limite appare irrisorio ,anche solo se pensiamo al tribunale di Norimberga in Germania. In effetti gli Italiani avevano perduto la guerra e basterebbe pensare al Trattato di pace del 10 febbraio 1947 per rendersene conto in modo tangibile perché esso prevedeva la mutilazione dei confini soprattutto orientali e la perdita delle colonie oltre a gravose conseguenze, che furono in parte assorbite dall’inizio della guerra fredda e alla posizione assunta dall’Italia a fianco degli USA. Dissociare l’Italia dalle responsabilità del fascismo fu una nobile impresa della nuova classe dirigente che fece perno sulla Resistenza, un fattore moralmente importante, ma non altrettanto decisivo in termini militari .In questo senso fece tanto di più il ricostituito Regio Esercito risorto al Sud che ebbe ruoli importanti nella Guerra di Liberazione. Ma in termini storici quella dissociazione non aveva fondamenti perché l’antifascismo militante fu quello di una minoranza esigua. Da questo dato bisogna partire per comprendere la storia d’Italia. I vari Scurati hanno contribuito a creare sterili polemiche, confondendo la propaganda spicciola con la storia a cui il fascismo, piaccia o non piaccia ,è stato consegnato per una seria riflessione non ideologica. Invece di un’analisi storica rigorosa sulla Marcia su Roma e ciò che essa fu ,i nostri gazzettieri si sono lasciati andare in chiave elettorale al dileggio di Mussolini che esattamente cent’anni fa ebbe il governo anche per colpa e per omissione grave da parte di tanti che non capirono il fascismo, non seppero opporsi ad esso, consegnandogli l’Italia, come scrisse con lucida autocritica Filippo Turati dall’esilio francese. L’estremismo velleitario di tentare di fare in Italia come in Russia una rivoluzione impossibile creò le condizioni migliori perché le indubbie qualità manovriere di Mussolini trovassero ascolto, sostegno, consenso.
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