23 agosto, Giornata europea di commemorazione delle vittime di tutti i totalitarismi. Qualcuno in Italia gli anni scorsi se ne è mai accorto? Eppure è stata istituita dal Parlamento Europeo già dal lontano 23 settembre 2008 Inoltre è pure giornata internazionale, in quanto osservata al di là dell’Oceano come Black Ribbon day “Giorno del nastro nero” (vedi logo), infine fortemente raccomandata dalla ormai storica Risoluzione Parlamento Europeo 19 settembre 2019.

Ce ne era bisogno di una ulteriore “Giornata” istituita dall’Unione? Sì, ci dicono i promotori; e lo cogliamo da alcuni “Considerando” che precedono il dispositivo: 1) «considerando che le conseguenze e il significato del regime e dell’occupazione sovietici per i cittadini degli Stati post-comunisti sono poco noti nel resto d’Europa»; 2) considerando che c’è una «Risoluzione n. 1481 del 2006 dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa sulla necessità di una condanna internazionale dei crimini dei regimi del totalitarismo comunista»; 3) considerando «le deportazioni di massa, le uccisioni e la riduzione in schiavitù e ai lavori forzati perpetrate nel contesto delle aggressioni commesse dallo stalinismo e dal nazismo»; ebbene allora si è voluta una data che li ricordasse tutti e insieme; e ne portasse alla luce le affinità, al di là delle diverse mitologie che i regimi si erano costruite.

Perché il 23 agosto? È il giorno in cui, nel 1939, fu firmato il patto Ribbentrop – Molotov. Brutto accordo, per ciò che diceva manifestamente e ancor più per quello che stabiliva in forma non pubblica.

Perché allegato vi era un protocollo segreto. Ed esso è la più eloquente manifestazione della consonanza di fondo fra i due sistemi totalitari del secolo XX, di come entrambi i regimi coltivassero un disprezzo per i popoli e per le persone. Basta leggere qualche passo del testo del protocollo segreto.

(…) i sottoscritti plenipotenziari delle due parti hanno discusso in forma strettamente riservata il problema della delimitazione delle rispettive sfere di influenza nell’Europa orientale. Il dibattito ha portato al seguente risultato: Nel caso di una riorganizzazione politico-territoriale nei territori appartenenti agli Stati baltici (Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania), la frontiera settentrionale della Lituania costituirà anche il confine fra le sfere di interesse della Germania e dell’URSS. (…) Se risponda agli interessi delle due parti conservare uno stato polacco indipendente e quali debbano essere i confini di tale stato è questione che può essere chiarita definitivamente solo alla luce di ulteriori sviluppi politici. In ogni caso i due governi risolveranno tale questione mediante un’intesa amichevole. Per quanto concerne l’Europa sud-orientale, la parte sovietica sottolinea il proprio interesse per la Bessarabia. Da parte tedesca viene dichiarato il completo disinteresse politico per questi territori. Mosca, 23 agosto 1939.

Dalle sfere di influenza, solo una settimana dopo la firma, si passa alle vie spicce: 1° settembre invasione tedesca della Polonia; e fin qui sui manuali scolastici è spiegato bene; il resto no. L’Unione Sovietica attacca da est il 17 settembre, ignorando il Patto di non aggressione sovieto-polacco di appena sette anni prima. Poi avanti di gran carriera: il 28 settembre i tre Paesi baltici sono costretti a firmare un “patto di assistenza e mutua difesa”, che autorizza l’Urss di far stazionare truppe sovietiche sui loro territori; lo stesso giorno un protocollo supplementare germano-sovietico trasferisce gran parte della Lituania dalla prevista sfera d’influenza tedesca a quella sovietica. La Finlandia resiste a simili pretese e viene allora attaccata dall’Urss il 30 novembre. Nel giugno 1940 Estonia, Lettonia, Lituania subiscono l’occupazione e la successiva annessione da parte dell’Unione Sovietica (rinasceranno solo cinquant’anni dopo). Il 26 giugno 1940 l’Urss ingiunge alla Romania di cederle Bessarabia e parte settentrionale di Bucovina; quest’ultima, mai appartenuta alla Russia (era Impero d’Austria), dal patto Ribbentrop – Molotov non era stata neppure presa in considerazione. Un atteggiamento di fondo, una postura, insomma, che potrebbe suggerire di coniare un termine nuovo: geobullismo.

A prescindere dalla parte segreta, già il patto in sé per i comunisti occidentali fu uno shock e ce ne misero per riaversi. Le posizioni politiche (ma pure i convincimenti personali) erano ancora attestate sulla linea dei fronti popolari (la guerra di Spagna era finita da poche settimane!). Il Pcf sarà messo fuori legge dalla Terza repubblica e molti suoi militanti imprigionati (Togliatti e Longo arrestati i primi di settembre). Il segretario Maurice Thorez fugge a Mosca, disertore. Il partito si frantuma in cinque tronconi dei quali uno addirittura si schiera per la collaborazione con Hitler, l’invasore. Nel Partito comunista d’Italia Camilla Ravera e Umberto Terracini vengono espulsi per essersi dissociati dall’approvazione dell’accordo. Leo Valiani matura definitivamente il suo allontanamento dal partito. Interessantissimi sono i resoconti quindicinali di quelle convulse settimane, ne “La civiltà cattolica” sulla rubrica dedicata al mondo.

Ora, per questo disagio interno al mondo comunista e soprattutto a causa di una certa rappresentazione semplificata e accomodante che si dà dell’Unione sovietica e dell’alleanza antinazista, questo patto Hitler – Stalin è una seccatura per una certa storiografia (ispiratrice dei testi scolastici su cui abbiamo studiato): essa deve rappresentare un’Urss univocamente antifascista, una continuità Guerra di Spagna – Stalingrado – Yalta. Una fiaba.

In Europa tira un’aria diversa. Soprattutto se giri per i Paesi centro-orientali, ti accorgi di quanto sia addomesticata e provinciale la narrazione prevalente in Italia, toponomastica compresa. In una città dell’Europa centrale può capitare di passare da un grande viale intitolato a Giovanni Paolo II per trovarsi poi in una monumentale piazza dedicata a R. Reagan, che da noi è ancora fumo negli occhi. Può succedere di vedere che il patto è ricordato, come monito, su lapidi che trovi in Ungheria (la quale peraltro non fu affatto penalizzata da esso).

E allora, questa Giornata europea è per noi stimolo a svecchiare il nostro “antifascismo” virgolettato (si pensi all’Anagrafe antifascista o alla desiderata “legge Stazzema”). Un antifascismo più europeo e sincero, un antitotalitarismo a 360°. Stimolo a ricordarci episodi che probabilmente tutti avremo già dimenticato: per esempio che in un altro, epocale 23 agosto del 1989 (50 anni dalla firma) si dispiegò la imponente, epocale Via baltica, una catena umana che attraversava da nord a sud tutti e tre quei paesi, perché chiedevano libertà e indipendenza (chilometri e chilometri, altro che i girotondi di Moretti e Flores D’A.).

Ed è anche una provocazione, per noi delle associazioni partigiane, a pensare nuove forme di vivere le ricorrenze: i giovani non hanno più tanta voglia del cliché “discorsi-delle-autorità + pranzo”; inoltre la collocazione in tempo di scuole chiuse ci impedisce ulteriori decurtazioni delle attività curricolari (poveri ragazzi, tra antimafia, clima, etc poco resta loro per leggere, scrivere e far di conto). È tempo di coniugare la ricorrenza con attività outdoor, escursioni, trek di più giorni, collegando luoghi mete di pellegrinaggi …

 Logo del Black Ribbon Day (Usa, Canada …)