Georges Simenon è stato uno dei più grandi romanzieri dell’epoca contemporanea e la sua produzione libraria non riguarda soltanto il genere giallistico. Analizzandola sorge spontanea una domanda: chi è stato effettivamente lo scrittore belga? Ho pensato a questo riguardo di proporre, fra tanti pareri, le parole di Alberto Schiavone: “Chi è stato Georges Simenon? Abbiamo i suoi tanti, tantissimi libri. I romanzi duri, i Maigret, i racconti, gli articoli, le biografie. I film tratti dai suoi scritti. Un immaginario solido in cui ognuno di noi trova una collocazione, perché è così che succede nei mondi in cui ci troviamo a nostro agio.”[1]

Nell’arco temporale compreso tra il 1929 e il 1972 Simenon ha scritto settantacinque romanzi e ventotto racconti di cui il commissario Maigret, personaggio letterario frutto della sua fantasia, è il protagonista di inchieste che, ancor oggi, sono oggetto di lettura da parte di numerosi lettori. La proposta del tutto innovativa del romanziere belga, rispetto agli investigatori già presenti nel panorama letterario, è stata quella di creare uno stereotipo di commissario capace di considerare la dinamica investigativa soprattutto sotto il profilo dell’uomo ponendo in secondo piano le modalità di ragionamento a carattere deduttivo. Nei suoi libri Simenon delinea le coordinate del commissario Maigret che ricerca la verità attraverso la capacità di sentire; ancor oggi è difficile sottrarsi al sottile fascino di un uomo come gli altri che ama le cose semplici che la vita quotidianamente gli offre, dal carattere riservato, integerrimo sotto il profilo morale, fisicamente alto e corpulento infagottato nel suo cappotto scuro, con l’inseparabile pipa fra i denti.

Il primo Editore italiano a far tradurre e pubblicare le inchieste del commissario Maigret, fu Arnoldo Mondadori; quando sollevo lo sguardo verso la mia libreria di casa e osservo questi testi, ancor oggi capaci di suscitare in me delle emozioni, non posso fare a meno di apprezzare le immagini del bravo illustratore Ferenc Pintér che ha dipinto una parte delle copertine dei romanzi di Maigret con il viso di un popolare attore quale è stato Gino Cervi.[2]

Accanto a questi testi, nella mia libreria, fanno bella mostra di sé i romanzi con le inchieste del commissario, pubblicati dalla casa editrice Adelphi a cui va ascritto il merito di aver riproposto all’attenzione del pubblico italiano un grande scrittore come George Simenon. L’alta qualità di questi romanzi è stata apprezzata non solo dal grande pubblico dei lettori, ma anche da vari intellettuali quali Andrè Gide, Émile Henriot, François Mauriac e Leonardo Sciascia.

Perché in un’epoca in cui cominciano a primeggiare sulla scena letteraria modelli investigativi ampiamente diffusi, anche dalla cinematografia, di investigatori infallibili o di investigatori particolarmente dotati sul piano fisico, una figura come quella di Maigret, che non corrisponde a nessuna di queste tipologie, diventa così popolare?

“Una inchiesta del commissario Maigret – afferma Hans Tuzzi – non è tanto un quesito da risolvere, quanto un colpevole da capire”.[3]

Lo studio del percorso attraverso il quale il commissario Jules Maigret è diventato una figura così popolare, non può prescindere dall’analizzare le origini del personaggio letterario. Nel periodo estivo dell’anno 1929, nel porto olandese di Delfzijl, su una chiatta, il romanziere “si è messo a battere a macchina la prima indagine di Maigret, non Pietr il lettone, come si pensava, ma probabilmente Train de nuit, romanzo popolare firmato Christian Brulls, in cui il commissario interviene solo nella seconda parte”.[4]

Simenon, sul problema della nascita, ha ritenuto di effettuare una semplificazione: “Nella sonnolenza, cominciavo a vedere delinearsi la massa possente e impassibile di un signore che, così mi sembrava, sarebbe stato un commissario accettabile. Nel resto della giornata aggiunsi al personaggio alcuni accessori: una pipa, una bombetta, uno spesso cappotto con il colletto di velluto. E dato che regnava un freddo umido nella mia chiatta abbandonata, ho collocato nel suo ufficio una vecchia stufa di ghisa! “.[5]

In apertura del romanzo Pietr il Lettone, scritto nel 1931, compare già ben delineata la figura del commissario Maigret, appartenente alla prima squadra mobile: Simenon descrive una scena dove il poliziotto, dopo essersi alzato pesantemente dalla sedia, si avvicina alla stufa di ghisa, collocata al centro del suo ufficio, e alimenta il fuoco con tre palate di carbone. “Dopo di che, in piedi, la schiena rivolta al fuoco, riempì la pipa, si tirò giù il colletto che, benché molto basso, gli dava fastidio”.[6]

In riferimento alla nascita letteraria del poliziotto ne La prima inchiesta di Maigret, scritta nel 1949, Simenon scrive quanto segue: “Era il 15 aprile 1913. La Polizia Giudiziaria non si chiamava ancora così, ma si chiamava Sûreté … Maigret e l’agente Locoeur erano soli, alle una e mezzo di notte, nell’ufficio del Commissario del quartiere Saint-Georges, nella tranquilla Rue La Rochefoucauld …. La porta si spalancò, e apparve un giovanotto trafelato che si guardò attorno, abbagliato dalla luce a gas.

“Il commissario?” domandò ansante.

“Sono il suo segretario” disse Maigret senza lasciare la sedia.

Non sapeva ancora che stava per cominciare la sua prima inchiesta”.[7]

Simenon comincia a firmare i romanzi utilizzando il suo vero nome agli inizi degli Anni Trenta; Matilde Quarti riferisce che la pubblicazione di Pietr il lettone segna la linea di separazione rispetto ai lavori della giovinezza e ai romanzi che lo scrittore belga era solito definire “romanzi-romanzi” al fine di effettuare una distinzione rispetto ai feuilleton della giovinezza: Il passeggero del Polarlys, che risale al 1930, ne è il primo esempio.[8]

Roberto Beretta elenca il percorso professionale del commissario: Maigret ha 26 anni il 15 aprile 1913 nel momento in cui nasce come commissario e lavora in Polizia da quattro anni; era stato prima agente ciclista, poi aveva prestato la propria opera alla Buoncostume e, successivamente, segretario di un commissariato di quartiere a Parigi. L’autore suggerisce un raffronto fra Simenon e il personaggio letterario da lui creato, proponendo una frase attribuita allo scrittore: “Maigret non mi somiglia, sono io che, invecchiando, cerco sempre di più di assomigliare a lui”. In effetti il creatore del commissario, era un uomo irrequieto, dal comportamento libertino, amante del viaggiare, dedito al lusso; al contrario la vita del commissario era improntata alla modestia, radicata nella città dove svolgeva il proprio lavoro e caratterizzata dalla fedeltà alla signora Maigret.[9]

Francis Lacassine afferma che Simenon è stato facilitato nella creazione del personaggio Maigret, in quanto quegli elementi che lo caratterizzavano, avevano fatto la loro comparsa, in vario modo, in altri quattro romanzi popolari risalenti al 1929 – firmati con gli pseudonimi Georges Sim e Christian Brulls. Già si vede, ne La casa dell’inquietudine (scritto nel 1929, ma pubblicato in volume soltanto nel 1932), Maigret alle prese con la famosa stufa di ghisa che è uno degli elementi caratteristici dell’ufficio del Quai des Orfèvres.[10]

Alla luce di quanto finora emerso non si può negare che la costruzione del personaggio sia stata elaborata nel tempo.

Nella cittadina di Delfzijl, un monumento dedicato a Maigret raffigura un uomo con una bombetta in testa, un soprabito con il colletto di velluto, una pipa nella mano destra. Nel romanzo Le memorie di Maigret, il commissario si sofferma su alcuni particolari del suo abbigliamento: affiorano delle perplessità sull’uso di questo cappello dalla forma curiosa: pur ammettendo di conservarne ancora un modello in casa, precisa che la sua utilizzazione era limitata a funerali e cerimonie ufficiali; in quanto al soprabito con il collo di velluto, pur non negando di averne posseduti parecchi nell’arco della sua vita, sostiene di averli usati sporadicamente, ad esempio in un giorno particolarmente freddo e di pioggia battente nell’anno 1927. Il commissario afferma con sincerità: “Non sono un tipo che tiene all’eleganza. Anzi, mi interessa molto poco”.[11]

L’immagine tipica di Maigret, a cui sono particolarmente affezionato, è quella descritta in Stan l’assassino: “Con le mani dietro la schiena e la pipa fra i denti, mentre camminava lentamente, trascinando a fatica il suo corpo massiccio nella calca di rue Saint-Antoine…”[12].

Come si potrebbero considerare in modo sintetico ma efficace le coordinate professionali del poliziotto? “Il poliziotto è prima di tutto un professionista. Un funzionario dello Stato” – scrive Simenon riportando il pensiero di Maigret.[13]

Secondo Pierre Assouline, Maigret è un uomo che trae le proprie radici dalla Francia profonda composta da nobili e contadini che hanno come minimo comun denominatore la preoccupazione o la paura della modernità. Egli resta nell’intimo un uomo di campagna appartenente alla categoria della piccola gente. L’abitudine di farsi impregnare dall’ambiente rilevato sulla scena del crimine, il farsi penetrare dall’atmosfera circostante, lo scavare nella personalità della vittima, il sapersi identificare con gli altri, prevalgono sulla stessa trama del racconto, ponendo il sospettato in uno stato di confusione.[14]

Maigret, continua il suo biografo, presenta un carattere equilibrato, un modo di fare rassicurante anche se è di indole sospettosa, è burbero, è poco incline a socializzare. Il commissario non rientra nella categoria degli intellettuali perché privilegia nelle sue indagini l’istinto e l’intuizione, che possiede naturalmente, rispetto al pensiero e alla riflessione.[15]

La sua mole e il suo carattere burbero incutono rispetto fra coloro che lo conoscono superficialmente. La riservatezza è un tratto che si accentua nei momenti in cui è particolarmente concentrato sui suoi pensieri; al carattere burbero e facilmente irritabile si alternano frequenti momenti di buon umore; chi lo conosce bene sa che è un uomo molto serio, tutto d’un pezzo, che nutre stima e affetto nei confronti dei suoi collaboratori e mostra umano rispetto nei confronti dei malfattori su cui indaga.

È un uomo abitudinario: la vita quotidiana del commissario si svolge tra l’ufficio di Polizia del Quai des Orfèvres e la sua casa di Boulevard Richard-Lenoir; nel libro La pipa di Maigret viene descritta l’atmosfera presente nell’ufficio del commissario: “Vi stagnava perennemente un odore di tabacco nonostante la larga finestra aperta sul Quai des Orfèvres. Posava i dossier sul lato della scrivania, batteva il fornello della pipa, ancora caldo, sul davanzale della finestra, tornava a sedere e la sua mano, macchinalmente, cercava un’altra pipa che doveva esserci, là sulla sua destra …”.[16]

Nella sua abitazione di Boulevard Richard-Lenoir ritorna ogni sera, dopo una lunga giornata dedicata al lavoro investigativo; le preoccupazioni delle inchieste vengono temperate dall’ atmosfera tranquilla della casa in cui la signora Maigret lo attende con pazienza; profonda conoscitrice degli atteggiamenti del marito ne spia con discrezione gli umori e cerca di rasserenarlo con la sua discreta presenza e la sua sensibilità.

Maigret è apolitico: ne Le memorie di Maigret, il commissario, riferendosi ai poliziotti della Pubblica Sicurezza che obbediscono agli ordini del ministro dell’Interno, sostiene che, inevitabilmente, essi debbano occuparsi di affari politici mentre “per quanto mi riguarda preferisco non avere a che fare con queste storie. Il nostro ambito al Quai des Orfèvres è forse meno ampio, più terra terra. Ci accontentiamo dei malfattori di ogni specie e, in generale, di tutto ciò che rientra nel significato della parola “polizia” seguita dall’aggettivo “giudiziaria””.[17]

Anche in Maigret e il ministro affiora la sua personale diffidenza nei confronti della politica; alla domanda postagli dal Ministro della Repubblica Point “Non le piace la politica, vero?” il commissario replica: “Lo ammetto”.[18]

Dentro di sé ha nostalgia ed affetto verso quei colleghi poliziotti, un po’ all’antica, che vengono bonariamente definiti vecchi “scarponi chiodati” e che, talvolta, incorrono in errori di ortografia nello stendere i rapporti di polizia. Minor considerazione, al contrario, manifesta nei confronti dei moderni poliziotti: sono, a suo dire, una generazione formata da soggetti giovani di estrazione sociale altolocata, dotati di valori positivi come l’istruzione e la buona educazione e con l’abilità di formulare progetti che sfociano ogni settimana in regolamenti nuovi con inutili complicazioni aggiuntive su piano del servizio; per Maigret la funzione più importante della Polizia è quella di “essere uno strumento al servizio della giustizia. Uno strumento. Ed è chiaro che uno strumento non pensa”.[19]

Il rapporto col giudice Coméliau si rivela sempre conflittuale: nel romanzo Maigret si confida viene sottolineato il fatto che il magistrato non sia mai riuscito a nascondere la propria diffidenza nei confronti di Maigret e della sua tecnica investigativa; un contrasto che dipende dalla inconciliabilità fra i loro punti di vista. Probabilmente la chiave di lettura di queste differenze si identifica in un “problema di classe sociale” per cui il magistrato, pur di fronte ad una dinamica evolutiva delle situazioni, non è mai riuscito a staccarsi dalle sue tradizioni familiari, dalle sue abitudini, dalle sue convenzioni, dai suoi linguaggi.[20]

Tuttavia il commissario pronuncia parole di stima nei confronti del giudice: “Coméliau non è una cattiva persona” è una affermazione che contrasta con la comune convinzione che saltuarie diversità di vedute avessero indicato in Comèliau un suo intimo nemico; il poliziotto non approvava la concezione che il magistrato aveva del suo ruolo e dei doveri correlati a quella carica. Nel modo di pensare del giudice i buoni e i cattivi erano due categorie nettamente distinte senza alcuna possibilità di esistenza per le vie di mezzo.[21]

Abbiamo già accennato alla importante presenza della signora Maigret per quanto riguarda la vita casalinga del commissario; alle doti di pazienza e capacità di ascolto si affiancano, non meno importanti, quelle di ottima cuoca che prepara i famosi piatti tradizionali regionali della Francia che contribuiscono a rasserenare il marito e a riportargli il buonumore dopo il lavoro.

Il dato enogastronomico non è affatto secondario nella vita quotidiana del commissario: l’amore per il buon cibo accompagnato da birra, vino bianco, beaujolais e calvados, un tratto caratterizzante della sua personalità che si coniuga con l’abitudine di fumare la inseparabile pipa. Ama i piatti semplici e molto saporiti e quando è fuori casa preferisce i tipici bistrot o i ristoranti senza pretese di eleganza. In Maigret e il ladro indolente affiorano alcune considerazioni sulla bontà di quei localini tipici di Parigi, situati praticamente in ogni via e frequentati da camionisti. I gestori provengono dalla provincia e hanno portato in città le loro tradizioni gastronomiche e i loro contatti per il rifornimento delle materie prime della loro buona cucina.[22]

Ne La vecchia signora di Bayeux c’è un riferimento alla trippa: “E, poiché l’odore della minestra gli aveva fatto venire la fame, Maigret andò a sedersi a tavola in un ristorante celebre per le sue sogliole normanne e la sua trippa alla Caen”… La trippa era saporita e quando Maigret si alzò da tavola era in uno stato di beatitudine, sottolineato dal fatto che non aveva saputo rifiutare il calvados del padrone”.[23]

Ne Il mio amico Maigret, il commissario, complice la giornata poco significativa sotto il profilo lavorativo e il brutto grigiore del cielo sotto il profilo atmosferico, si rivolge al collega inglese di Scotland Yard Pyke: “La trippa, le piace?”.

“Lo portò alle Halles, gli fece mangiare la trippa all’uso di Caen e delle crepes Suzette servite su graziosi scaldavivande di rame”.[24]

Nel romanzo La rivoltella di Maigret si parla di una specialità della regione della Linguadoca; all’interno della trama del romanzo si dice che Jussieu, direttore del laboratorio scientifico, avesse chiamato il poliziotto al telefono: “Le piace il cassulet?”

“Perché?”

“Pardon ci invita domani. A casa sua, viene servito un piatto unico, di preferenza un piatto regionale e lui desidera sapere prima se ai suoi invitati piace.”

“Vada per il cassoulet.”[25]

Tra le pietanze preferite dal commissario c’è il famoso coq au vin, piatto tipico dell’Alsazia: nel romanzo Maigret si confida, la signora Pardon, facendo riferimento a quel piatto che era stato servito a cena quella sera, chiede alla signora Maigret: “Ha un retrogusto lieve, che si sente appena, squisito… Ma non riesco a capire che cosa sia”.

“Eppure è semplicissimo… Immagino che anche lei, all’ultimo, aggiunga un bicchiere di cognac…”

“Di cognac o di armagnac… Quello che ho in casa…”

“Ecco! Io, invece, anche se non è molto ortodosso, ci metto del distillato di prugnole alsaziano … È tutto qui il segreto…”.[26]

Non bisogna dimenticare fra i piatti preferiti la soupe d’oignon; in Maigret e l’affare Picpus viene citata la grande birreria situata in boulevard de Clichy: all’interno del locale, seduti ad un tavolo, stavano di fronte il poliziotto ed il vecchio Picard: “Un alternarsi di caldo e sudore e di sbuffi di aria fresca, di fine estate e di autunno parigino… I due uomini avevano mangiato una zuppa di cipolle e ora il cameriere poneva loro dinnanzi un’abbondante porzione di crauti e versava altra birra nei bicchieri… Il vecchio non perdeva un boccone né un odore, né un secondo di quell’ora unica …. La zuppa di cipolle e i crauti gli davano letteralmente le emozioni dell’estasi”.[27]

È da sempre argomento di discussione tra i cultori della materia romanzesca se il personaggio letterario creato da Simenon avesse un metodo specifico per affrontare le indagini investigative.

Maurizio Testa, nel suo libro Maigret e il caso Simenon, sottolinea le affinità esistenti tra il romanziere e il personaggio da lui creato; l’inizio della stesura di un romanzo da parte di Simenon e l’inizio di un percorso investigativo da parte di Maigret presentano le stesse caratteristiche per quanto concerne il problema del metodo: “In fondo non si assomigliavano i loro metodi? Simenon quando iniziava a scrivere cadeva in “stato di romanzo”, non aveva che pochi elementi certi. Andava avanti nella creazione sfruttando quell’atmosfera e quella identificazione che aveva maturato cercando di entrare dentro i personaggi. E questi si muovevano non secondo regole stabilite arbitrariamente, ma secondo loro motivazioni e loro necessità. Così si determinavano il corso della storia e l’epilogo. Anche il commissario non seguiva un metodo preciso. Si installava nel milieu in cui era avvenuto il fatto, iniziava a frequentarlo, cercava di entrare a farne parte. Insomma si metteva in condizioni di assorbire odori, sapori, mentalità e abitudini di coloro che facevano parte di quell’ambiente. E anche lui, come lo scrittore con il romanzo, non sapeva all’inizio quale piega avrebbe preso la sua indagine. Ma le somiglianze tra il commissario e lo scrittore non finivano qui…. Entrambi preferivano capire i personaggi, le situazioni e non erano, invece, interessati a giudicare”.[28]

Senza ombra di dubbio l’intuizione presenta una valenza ponderale non indifferente nella scoperta del colpevole di un crimine. Nel romanzo Il mio amico Maigret, il poliziotto prova un certo imbarazzo nei confronti del suo collega inglese Pyke a parlare del suo metodo: ma Maigret “metodi non ne aveva”.[29]

Il modus operandi finalizzato alla ricerca del colpevole fa lievitare delle differenze fra Maigret e Pyke in quanto il primo non utilizza un metodo investigativo classico; Maigret “sentiva qualcosa. Sentiva un mucchio di cose, come sempre all’inizio di un’inchiesta, ma non avrebbe saputo dire in che modo, prima o poi, nella nebbia delle sue idee si sarebbe fatta chiarezza”.[30]

Come si legge in Maigret si diverte, una indagine può giungere ad un esito tale da far pensare al commissario: “Non esisteva, come nella maggior parte dei casi, un’unica soluzione possibile: ce n’ erano almeno due. Eppure una sola era quella giusta, una sola era la verità umana. Non bisognava scoprirla attraverso un ragionamento rigoroso, una ricostruzione logica dei fatti, si doveva sentirla“. Sentire, non ricostruire logicamente, entrare nella situazione, non guardarla dall’ esterno semplicemente. Sentire significa entrare nei personaggi del dramma e ricostruire che cosa hanno effettivamente fatto.[31]

Giuseppe Traina, in riferimento al libro di Leonardo Sciascia, Il metodo di Maigret e altri scritti sul giallo, mette in risalto la presenza di una similitudine fra la tecnica investigativa di Maigret, carente nella metodica “logica”, e alcuni investigatori, frutto della fantasia creativa dello scrittore siciliano: “… soprattutto dai quattro notevoli scritti dedicati a Maigret e al mondo di Simenon (che Sciascia dimostra di conoscere a menadito, e fin da anni remoti, in cui ben pochi erano disposti a riconoscere il belga come uno scrittore di rilievo europeo, nonostante gli apprezzamenti pubblici di uno scrittore influente come Gide), emerge la notevole somiglianza del metodo (poco metodico) di investigazione che Maigret ha in comune con molti personaggi di Sciascia, in primis l’ispettore Rogas de Il contesto ma senza trascurare il Vice del Cavaliere e la morte (e per certi aspetti anche il cocciuto, onestissimo capitano Bellodi del Giorno della civetta)”. Sciascia – sostiene Traina – diffida del metodo basato su elementi freddamente scientifici caratteristico di Sherlock Holmes, mentre esprime la sua simpatia “per tutti quei detectives che invece hanno più sviluppato il dato ‘umano’ nell’indagine e la capacità di assorbire «come una spugna gli elementi psicologici e ambientali da cui sono scattati i delitti»”[32].

Il termine “impregnare” ha una valenza ponderale molto importante nella modalità di azione investigativa di Maigret: Simenon, ne Il defunto signor Gallet, riferendosi al commissario, scrive: “Era sicuro di dover tornare in quella stanza e preferiva lasciarsi impregnare dall’atmosfera”.[33]

Il concetto di intuizione è uno fra i supporti irrinunciabili nella identificazione del colpevole; in Maigret e l’affare Picpus lo scrittore belga afferma che il poliziotto “ha scoperto tutto da solo, per così dire senza indizi, o più esattamente con indizi che gli altri hanno trascurato, soprattutto con la sua formidabile intuizione, con la sua stupefacente facoltà di mettersi nella pelle dei suoi simili”.[34]

Lo stesso concetto viene ribadito nel romanzo Maigret e il corpo senza testa: “Maigret aveva avuto un’intuizione. Fino a quel momento non si era sbagliato sulla personalità della signora Calas e le sue ipotesi più audaci si erano rivelate esatte”.[35]

In Maigret e l’affare Picpus Simenon fa una considerazione sul suo commissario: “L’ha fiutato, lui, l’odore delle passioni umane, dei vizi, dei delitti, delle manie, in tutta la fermentazione della massa umana…”. E il fiuto è la base dell’intuizione che permette di condurre innanzi l’indagine.[36]

Durante l’indagine nelle isole Porquerolles il commissario, preoccupato per ciò che avrebbe potuto pensare di lui e dei suoi metodi di indagine il collega Pyke, si era vagamente ripromesso di calarsi nella figura di alto funzionario di Polizia giudiziaria; questi, essendo una figura importante nell’ambiente della Polizia, abituato a dirigere le indagini alla stregua di un generale, non può permettersi di battere le strade e frequentare le osterie per trovare un assassino. Tuttavia “Maigret non si era mai deciso a farlo. Come un cane da caccia, aveva bisogno di frugare di persona, di raspare, di fiutare gli odori”.[37]

Il senso dell’olfatto si rivela utile a formulare deduzioni fondamentali e coraggiose che generalmente guidano la riflessione del commissario. Nel romanzo L’ombra cinese si trova un riferimento all’odore: nell’istante in cui, superando la soglia di casa di due sospettati, il commissario, nel silenzio della sua mente, fa questa considerazione: “La caratteristica fondamentale di un’abitazione è senza dubbio l’odore”.[38] Infatti l’odore di un’abitazione rivela un ambiente, una storia, un insieme, anche, di rapporti tra coloro che vi risiedono.

In Maigret e la casa del giudice il poliziotto si lamenta che da troppo tempo non gli capita di “entrare in una casa, com’era entrato là poco prima, di annusare, di andare e venire, pesante e paziente, fino a che l’anima delle persone e delle cose non avesse avuto più segreti per lui”.[39] Se manca un approccio di questo genere alla realtà la dinamica stessa dell’indagine ne patisce.

Tuttavia, ne Le memorie di Maigret, affiora da parte del commissario una nota polemica nei confronti del termine fiuto: “Quando si parla del fiuto di un poliziotto, dei suoi metodi, del suo intuito, ho sempre la tentazione di replicare: “E che mi dite del fiuto del vostro calzolaio o del vostro pasticcere? Entrambi hanno fatto anni di gavetta. Ciascuno di loro conosce il suo mestiere e tutto ciò che lo riguarda. E lo stesso vale per chi lavora al Quai des Orfèvres”. Il fiuto dunque costituisce la caratteristica della professionalità, non soltanto della professionalità di un commissario di polizia, ma di qualsiasi tipo di attività.[40]

In un articolo riguardante il “metodo” di Maigret, Luca Bavassano parla de “i “torpori” di Maigret, che tante volte lo fanno apparire un po’ ottuso a chi ha la ventura, o sventura, di incrociarlo. Non si tratta però unicamente di una strategia volta a sconcertare o trarre in inganno gli interlocutori, e credo ci sia un passo de I sotterranei del Majestic che lo illustra con precisione: “Si trovava in uno Stato che conosceva bene. Una sorta di torpore che, pur non impedendogli la percezione di quanto gli accadeva intorno, lo rendeva indifferente, incapace di situare cose e persone nel tempo e nello spazio”. L’autore analizza poi questo “stato” del commissario sotto il profilo psicologico: “È una condizione che gli studiosi della psiche umana, pure appartenenti a scuole molto diverse, e fornendone spiegazioni altrettanto diverse, hanno più volte descritto. È quello stato di libero vagare della mente, di libera associazione delle idee, o delle immagini, sottratte all’usuale contesto di relazioni (“incapace di situare cose e persone nel tempo e nello spazio”), che tanto spesso, rivelando connessioni inattese, conduce alla soluzione di un problema, alla soluzione creativa di un problema, più che ore ed ore di severa concentrazione. Almeno, apparentemente, perché, in effetti, quelle lunghissime ore di studio, quel ripetuto girovagare di Maigret nelle medesime strade, corridoi e bistrot, sono la premessa necessaria affinché ciò accada. Necessaria ma non sufficiente, o quantomeno non sempre sufficiente”.[41]

In Maigret e il sergente maggiore si dice che il vecchio usciere, dopo aver bussato inutilmente alla porta dell’ufficio del commissario, entra con circospezione nella stanza e vede la seguente scena: “Rovesciato sulla sua poltrona, il panciotto sbottonato, una pipa spenta in bocca, sembrava che il commissario dormisse […] Sembrava che Maigret esitasse ancora a scuotersi dal suo torpore e tese la mano con gli occhi ancora chiusi […]”.[42]

Il torpore è in realtà il momento in cui vengono raccolte le riflessioni, le immagini e tutte le suggestioni del problema che il commissario ha di fronte.

“Sembrava che le parole non arrivassero subito al cervello di Maigret, che fossero soltanto suoni che doveva riordinare prima di scoprirne il significato”. Le parole stesse devono essere contestualizzate nella situazione che il torpore ha portato alla luce.[43]

Il torpore ovviamente introduce alla soluzione del problema dell’indagine; lo scopo della indagine è scoprire l’assassino, ma, per identificarlo, occorre identificarsi con lui e con il suo contesto. Questo modo di procedere aiuta Maigret nell’indagine investigativa: “saprò chi è l’assassino quando conoscerò bene la vittima”.[44]

Lo studio sempre più approfondito della personalità e dell’ambiente del ricercato consente al commissario di realizzare un processo di identificazione con lui per comprenderne il contesto criminale nel quale vive: “Tra una pipata e un bicchiere di calvados, a occhi chiusi, avrebbe tentato di immedesimarsi nel ricercato, per capire il suo comportamento”.[45]

Maigret si interessa a un’umanità variegata in cui ogni individuo è la propria storia personale e quindi la storia narrata scaturisce dal rapporto fra i diversi personaggi; in questo senso non si può non notare la novità della narrativa di Simenon rispetto a quella di Conan Doyle e di Agatha Christie. In effetti quello che interessa maggiormente al commissario sono le motivazioni di un delitto e la dinamica psicologica dell’assassino.[46]

L’atteggiamento del commissario nei confronti delle persone sospettate appare sempre improntato alla umiltà e alla umanità: “Si sentiva incredibilmente umile e disarmato di fronte degli esseri umani sul conto dei quali si sforzava di formulare un giudizio”.[47]

Un argomento interessante si rivela il rapporto che intercorre fra Maigret e i criminali con i quali viene a contatto: per esigenze professionali, il commissario e i suoi collaboratori sono costretti ogni giorno a confrontarsi con emarginati, con nemici della società civile. I tutori dell’ordine devono cercare di analizzarli secondo l’ottica della conoscenza, senza giustificare, assolvere o tantomeno approvare il loro comportamento. I malviventi devono essere considerati come “esseri che esistono”: bisogna considerarli senza curiosità e senza odio, con “lo sguardo della conoscenza”, come esseri ai quali è necessario, per esigenza di difesa della società organizzata, porre un freno: “Loro lo sanno bene. Non ce l’hanno con noi”.[48]

Maigret precisa, inoltre, che il poliziotto non è animato da emotività, da durezza, da odio, da pietà, ma dall’esigenza di stabilire come si sono svolti i fatti, così che la conduzione, lo sviluppo e la conclusione di un’indagine abbiano un profilo meramente tecnico.[49]

Al commissario non dispiaceva ricordare che, nel suo lungo percorso professionale, era stato un “ritoccatore di destini” ossia che aveva ricollocato al loro giusto posto coloro che avevano preso una strada sbagliata. La sua professione era andata avvicinandosi a quella dello psicanalista che si sforza con il suo lavoro interpretativo di far comprendere a un essere umano la sua reale personalità.[50]

Non giudicare e ricollocare ciascuno al posto che gli spetta sembra essere il principio di base del modo di operare di Maigret;il commissario dichiara che gli era sufficiente fare il suo dovere di poliziotto senza dover giudicare in quanto la funzione del giudizio sarebbe spettata a qualcun altro più avanti nel percorso giudiziario e a lui stava bene così.[51]

In Maigret e il ladro indolente è presente un giudizio netto a proposito della inopportunità di giudicare da parte di un commissario di polizia: “Io non condanno nessuno.”[52]

Non vi è posto per alcun tipo di violenza durante gli interrogatori di un malvivente. La tecnica dell’interrogatorio, che spesso si protrae per diverse ore, con ripetizione delle medesime domande, ha l’obiettivo di ottenere la confessione da parte dell’imputato mediante sfinimento. Scenario in cui si svolge il confronto fra poliziotto e imputato, è l’ufficio di Quai des Orfèvres che, col trascorrere delle ore, appare completamente saturo del fumo della sua pipa e del fumo delle sigarette dei suoi collaboratori; nelle prime ore il confronto assume le sembianze di un vero e proprio scontro senza vincitori e in cui l’atteggiamento del criminale è caratterizzato dal rifiuto di rispondere o dal mentire nelle risposte; ma col trascorrere del tempo la resistenza dell’imputato si affievolisce fino al momento del crollo psicologico: “Quasi sempre, dopo un lasso di tempo più o meno lungo, arrivava il momento in cui la resistenza all’improvviso cedeva e il poliziotto aveva di fronte a sé solo un uomo senza scampo. Perché in quell’istante l’interrogato tornava ad essere un uomo, uno che aveva rubato, o ucciso, ma comunque un uomo, un uomo che avrebbe pagato, e lo sapeva, un uomo per il quale quell’istante segnava la rottura con il passato e con i suoi simili”.[53]

Maggiormente severo è il giudizio del commissario quando deve cercare un colpevole in mezzo a quell’ambiente borghese a cui non perdonava l’ipocrisia: “Una facciata dignitosa, della gente severa e pudibonda, tutte le apparenze della virtù spinta al punto da trasudare noia. E lui, Maigret, doveva raschiare tutto questo, frugare negli angoli, annusare a destra e a sinistra per arrivare infine, sotto la maschera, sotto i vestiti scuri e i visi alteri o accigliati, a scoprire la bestia umana, la brutta bestia, la più ingiustificabile, quella che uccide per sordido interesse, per ragioni di denaro”.[54]

La mia personale preoccupazione nello scrivere queste poche pagine, è stata sempre quella di restare fedele ai testi di Simenon, cercando volutamente di ridurre all’essenziale i miei commenti: di fronte alla bellezza degli ambienti descritti, di fronte alle atmosfere particolari che il lettore percepisce leggendo i testi, di fronte al fascino esercitato dalla figura di Maigret si viene colti dall’emozione, sentimento che risulta prioritario rispetto alle opinioni di colui che scrive. La lettura dei gialli di Maigret rappresenta uno strumento di evasione dalla realtà per il lettore che ha la possibilità di entrare in una sua particolare dimensione privata, di immergersi in un contesto di tipo onirico, al di là dello spazio e del tempo, rappresentato dall’atmosfera fumosa dell’ufficio di Quai des Orfévres con le finestre che si affacciano sulla Senna, dalla bellezza architettonica dei boulevard parigini, dalla presenza di osterie popolari e dai bistrot senza pretesa che fanno da corollario alle indagini del commissario, dai locali notturni di Pigalle frequentati, allora, da personaggi  equivoci.

I romanzi di Simenon, sia nel passato come nel presente, sono stati e sono capaci di donare ore di serenità e di svago; creando la figura di Maigret, ha proposto un modello culturale con caratteri di notevole particolarità, sia per quanto riguarda il profilo umano sia per quanto riguarda il profilo investigativo; il commissario Maigret con i suoi comportamenti e con la sua grande esperienza nell’identificare i criminali, è diventato un patrimonio comune di milioni di lettori sparsi in varie parti del mondo. Infatti un indice di gradimento così vasto non deve essere solo ascritto all’abilità dello scrittore o alla complessità dell’intrigo poliziesco ma anche al fatto che le inchieste del commissario, frutto di una finzione letteraria, riproducono uno scenario di rapporti umani, di ambienti, di gestualità, di progetti, di aspirazioni e di speranze che finisce per identificarsi con le dinamiche della vita quotidiana al giorno d’oggi.


[1] Schiavone A., Lacavalla M., Alfabeto Simenon, Prefazione, Edizioni BD srl, Milano, I Edizione: ottobre 2020.

[2] Alligo, S. Tutti i Maigret di Pintér, Little Nemo, 2008.

[3] Tuzzi H., Intervento preparato in occasione della rassegna “Simenon trent’anni dopo” ai Frigoriferi milanesi, IL LIBRAIO.IT, 23 ottobre 2019; si cita da IL LIBRAIO.IT, 09/03/2020.

[4] Lacassin F., Conversazioni con Simenon, trad. di Elga Mugellini, Lindau Srl, Torino, 2004, Seconda edizione: giugno 2017, p. 109.

[5] Lacassin F., Conversazioni con Simenon, op. cit., p. 110.

[6] Simenon G., Maigret e il Lettone, trad. di Elena Cantini, Arnoldo Mondadori Editore, I edizione Oscar Mondadori, agosto 1979, Milano, p. 7.

[7] Simenon G., La prima inchiesta di Maigret, trad. Enzo De Michele, Arnoldo Mondadori Editore, Le inchieste del commissario Maigret, Milano, 1967, pp. 8-9.

[8] Quarti M., Georges Simenon: Maigret e la commedia umana d’autore, IL LIBRAIO.IT, 8 febbraio 2017.

[9] Beretta R., 1913. Maigret, cent’anni da commissario, Avvenire.it, 8 aprile 2013.

[10] Lacassin F., Conversazioni con Simenon, op. cit., p. 110.

[11] Simenon G., Le memorie di Maigret, Adelphi Edizioni, Milano, 2002, p. 40 e pp. 39-40.

[12] Simenon G., Stan l’assassino, in La Locanda degli Annegati e altri racconti, trad. di Marco Bevilacqua, Adelphi Edizioni, Milano, 2013, p. 125.

[13] Simenon G., Le memorie di Maigret, p. 133.

[14] Assouline P., Georges Simenon. Una biografia, Copyright Editions Julliard, Paris, 1992 e Copyright 2014 casa editrice Odoya srl di Bologna, pp.124-125.

[15] Assouline P., Georges Simenon. Una biografia, op. cit., pp. 123-124.

[16] Simenon G., La pipa di Maigret, trad. di Giannetto Bongiovanni, Arnoldo Mondadori Editore, I edizione Le inchieste del commissario Maigret, agosto 1968, p. 7.

[17] Simenon G., Le memorie di Maigret, op. cit., p. 37.

[18] Simenon G., Maigret e il ministro, trad. di Fernanda Littardi, Adelphi Edizioni, Milano, 2005, p. 23.

[19] Simenon G., Maigret e il ladro indolente, trad. di Andrea Forti, Adelphi Edizioni, Milano, 2007, p. 21.

[20] Simenon G., Maigret si confida, Trad. di Margherita Belardetti, Adelphi Edizioni, Milano, 2007, p. 103.

[21] Simenon G., Maigret si confida, op. cit., p. 31.

[22] Simenon G., Maigret e il ladro indolente, trad. di Andrea Forti, Adelphi Edizioni, Milano, pp. 99-100.

[23] Simenon G., La vecchia signora di Bayeux, traduzione di Elena Cantini, Arnoldo Mondadori Editore, I edizione Oscar Mondadori novembre 1975, p. 38 e p. 40.

[24] Simenon G., Il mio amico Maigret, Trad. di Franco Salvatorelli, Adelphi Edizioni, Milano, 1999, p. 20.

[25] Simenon G.: La rivoltella di Maigret., Trad. di Lidia Ballante, I edizione Le inchieste del commissario Maigret, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, luglio 1967, pp. 16-17.

[26] Simenon G., Maigret si confida, trad. di Margherita Belardetti, Adelphi Edizioni, Milano, 2007, pp. 140-141.

[27] Simenon G., Maigret e l’affare Picpus, trad. di Roberto Cantini, I edizione Le inchieste del commissario Maigret Arnoldo Mondadori Editore, agosto 1966, Milano, pp. 146-147.

[28] Testa M., Maigret e il caso Simenon, Robin Edizioni, Biblioteca del Vascello, Roma, 1994, pp. 125-126.

[29] Simenon G., Il mio amico Maigret, op. cit., p. 20.

[30] Simenon G., Il mio amico Maigret, op. cit., p. 75.

[31] Simenon G., Maigret si diverte, p. 130.

[32] Traina G., Il romanzo poliziesco / Leonardo Sciascia, il metodo di Maigret, DOPPIOZERO, 26 aprile 2018.

[33] Simenon G., Il defunto signor Gallet, p. 45.

[34] Simenon G., Maigret e l’affare Picpus, op. cit., p. 125.

[35] Simenon G., Maigret e il corpo senza testa, trad. di Sarah Cantoni, Arnoldo Mondadori Editore, I edizione Oscar Mondadori, luglio 1974, p. 68.

[36] Simenon G., Maigret e l’affare Picpus, op. cit., p. 112.

[37] Simenon G., Il mio amico Maigret, op. cit., p. 98.

[38] Simenon G., L’ombra cinese, trad. di Rita de Letteriis, Adelphi Edizioni, Milano, 1997, p. 59.

[39] Simenon G., Maigret e la casa del giudice, Arnoldo Mondadori Editore, I edizione Le inchieste del commissario Maigret, agosto 1966, p. 33

[40] Simenon G., Le memorie di Maigret, op. cit., pp. 126-127.

[41] Bavassano L., Simenon Simenon. il “metodo” di Maigret, il metodo del “torpore”, in Simenon-Simenon.com, mercoledì 8 marzo 2017.

[42] Simenon G., Maigret e il sergente maggiore, trad. di Roberto Cantini, Arnoldo Mondadori Editore, I Edizione I romanzi di Simenon, agosto 1960, p. 132.

[43] Simenon G., Maigret e gli aristocratici, op. cit., p. 29.

[44] Simenon G., Il defunto signor Gallet, Adelphi Edizioni, p. 43.

[45] Testa M., Maigret e il caso Simenon, op. cit., p. 10.

[46] Quarti M., Georges Simenon: Maigret e la commedia umana, IL LIBRAIO.IT, 8 febbraio 2017.

[47] Simenon G., Maigret e gli aristocratici, trad. di Bruno Just Lazzari, Arnoldo Mondadori Editore, I edizione giugno 1962, p. 117.

[48] Simenon G., Le memorie di Maigret, Adelphi Edizioni, pp. 134-135. Citazione p. 135.

[49] Simenon G., Le memorie di Maigret, op. cit., p. 108.

[50] Simenon G., Maigret e il corpo senza testa, op. cit., p. 54.

[51] Simenon G., Maigret si diverte, p. 152.

[52] Simenon G., Maigret e il ladro indolente, op. cit., p. 131.

[53] Simenon G., Maigret si diverte, op. cit., p. 151.

[54] Simenon G., Maigret e la vecchia signora di Bayeux, trad. di Elena Cantini, Arnoldo Mondadori Editore, I edizione Oscar Mondadori novembre 1975, p. 39.