Il punto di partenza per un’analisi critica di quanto avvenuto sull’affossamento della legge Zan è il riferimento che Pier Franco Quaglieni ha fatto al precedente della legge sul divorzio quando Loris Fortuna e Antonio Baslini trattarono in Senato con i democristiani antidivorzisti sotto l’arbitrato di Giovanni Leone. Perché vi fu un esito positivo? Perché Fortuna e Baslini davano priorità alla sostanza della loro proposta di legge nel rispetto delle preoccupazioni avverse. La legge Zan è stata invece gestita di fronte al Senato in modo del tutto diverso e cioè strumentale mettendo in secondo piano la sostanza: la tutela contro discriminazioni e offese nei confronti degli omosessuali. Soprattutto il segretario del Pd, Enrico Letta, ha puntato a farne una battaglia identitaria che facesse emergere come maggioritario in Parlamento lo schieramento di sinistra da lui capeggiato tradendo l’insofferenza per il governo Draghi che lo costringe a un’alleanza con Berlusconi e Salvini. Da parte sua il centro-destra di fronte al rifiuto di concordare modifiche ha colto l’occasione per una rivincita dopo la sconfitta nelle recenti elezioni. Rispetto alle prime avvisaglie di primavera vi era stata la “pausa di riflessione” dovuta all’emergenza della pandemia, l’estate e l’attesa delle elezioni amministrative di ottobre. In tutto questo periodo si era svolto un confronto per molti aspetti costruttivo che prospettava la possibilità di una approvazione serena con larga maggioranza. I punti controversi non erano solo quelli sollevati dal Vaticano (in modo peraltro non aggressivo, ma interlocutorio). In particolare, da parte di vari esponenti dell’area laica e radicale si evidenziavano tratti obiettivamente illiberali del testo Zan. Sarebbe bastato un incontro del Pd con le voci critiche di sinistra (dall’Avanti! di Claudio Martelli alla rivista Mondoperaio di Luigi Covatta che certo non erano portavoce omofobi e di destra) per concordare alcune limitate e ragionevoli correzioni. Il rischio evidenziato era, ad esempio, di “criminalizzare” – o comunque censurare escludendo dall’insegnamento e da letture pubbliche – brani della Bibbia o della Divina Commedia. Il testo Zan è una stesura affrettata con disposizioni intolleranti e che comunque andavano meglio chiarite a cominciare da come era tratteggiata la “giornata contro le discriminazioni di genere” che conteneva definizioni da cultura di “regime”, di “pensiero unico”. Affermare che ogni richiesta di modifica del testo fosse mossa da volontà di persecuzione degli omosessuali è una falsità. La verità è che, sull’onda della vittoria nelle elezioni amministrative, Enrico Letta ha usato la legge Zan per una prova di forza che lo incoronasse “king maker” per la prossima elezione del Presidente della Repubblica. Convinto di avere in mano anche la maggioranza dei senatori di Italia Viva ha scelto lo scontro frontale, ma nel voto segreto si è trovato invece di fronte a defezioni nel Pd e nel M5S in quanto è noto che sia Letta sia Conte, come nuovi leader, intendono non confermare molti parlamentari. Si è così sbriciolato lo schieramento che era stato visto vincente nelle recenti elezioni amministrative. In sostanza un tema delicato che riguardava diritti civili e che poteva essere varato con largo consenso è naufragato perché è stato invece trasformato nel referendum su una leadership personale, una “grande manovra” per ipotecare il Quirinale.
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