Al netto delle modifiche che forse ci saranno, visto che finalmente si discute.
1 – utilità/emergenza
2 – libertà di pensiero
3 – indottrinamento
Utilità/emergenza
- Ci sono già gli strumenti legislativi per punire violenze e discriminazioni contro le persone e sono previste aggravanti laddove queste riguardino categorie fragili o siano commesse per futili motivi. Forse qualche ritocco alla legge Mancino poteva essere più che sufficiente. Il rischio è che aggiungere categorie per cui prevedere delle aggravanti inneschi un processo di continuo ampliamento che può creare confusione e comporta il rischio di ghettizzazioni. Insomma, utilità praticamente nulla.
- I dati OSCAD (osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori) del Ministero degli Interni ci dicono che la media delle segnalazioni (segnalazioni, quindi non atti accertati) di aggressioni omofobe è di circa 400 casi all’anno. Non risulta, pertanto, che le persone LGBT siano particolarmente discriminate rispetto ad altre categorie che potrebbero a loro volta chiedere leggi speciali. Anche un singolo caso è da condannare, va da sé, qui non si tratta di fare graduatorie: la dignità di ogni persona va rispettata; ogni atto di discriminazione va condannato e punito e, a maggior ragione, ogni atto di violenza. Il discorso dell’emergenza non regge
- Il chiasso che si fa attorno a questi temi rischia paradossalmente di essere controproducente e creare irritazione nei confronti di categorie che vengono percepite protette più di altre.
Libertà di pensiero: o è o non è!
La nostra Costituzione dice che è: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.”
Inutile ripeterlo nel DDL Zan che, all’art. 4, così recita: “ Ai fini della presente legge, sono fatte salve (fatte salve? Sono previste dalla Costituzione!) la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime (se sono legittime, va da sé) riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte…. fin qui ci siamo, ma poi: “purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti.” Ecco il motivo! Quel purché dice la volontà di limitare la libertà di pensiero. E qui non ci siamo proprio.
Indottrinamento
L’art. 1 del ddl Zan si premura di darci una serie di definizioni, una delle quali è alquanto discutibile: per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione. Si tratta di una definizione a dir poco bizzarra: che significa? Quell’indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione, autorizza chiunque a dichiararsi maschio o femmina a suo piacimento e secondo la convenienza? Mah! Possiamo immaginare problemi nelle gare sportive, nelle toilettes, o magari per le quote rosa, e via così.
L’art. 7 intende istituire la Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere. In occasione di questa giornata devono essere organizzate cerimonie, incontri, iniziative che coinvolgano anche le scuole di ogni ordine e grado. Il tema si fa alquanto delicato, in quanto tocca la libertà educativa e ciò riguarda prima di tutto la famiglia, che per il momento ancora esiste, ed ovviamente la scuola. Questo aspetto riveste un significato particolare per le scuole cattoliche a cui si pretende di imporre una visione antropologica decisamente discutibile. Ai nostri giorni si dà, giustamente, grande importanza alla salvaguardia del pianeta: tanta attenzione per il mondo naturale dovrebbe contemplare anche il rispetto per la natura umana, di cui ahinoi, si fa scempio!
Qui entra in gioco la questione del Concordato, che non solo esiste ma è anche previsto all’art. 7 della nostra Costituzione, e regola i rapporti tra lo Stato Italiano e la Chiesa Cattolica. Ed è proprio questa regolamentazione dei rapporti che garantisce la laicità, il “date a Cesare quel che è di Cesare”, ma poi, ovviamente, a Dio quel che è di Dio. La nota consegnata dalla Segreteria di Stato del Vaticano all’Ambasciata italiana non contiene giudizi di tipo morale sul contenuto della legge, né ovviamente sugli omosessuali. Ci mancherebbe: la dignità della persona non si discute. Ma, si osserva, c’è il rischio che vengano intaccati gli accordi che riconoscono alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa. A questo punto corre l’obbligo di chiedersi se davvero ci sia un’ingerenza da parte della Chiesa o non piuttosto la pretesa, con questo decreto, di costringere l’Istituzione religiosa a rinunciare ai propri valori “indisponibili”. Verrebbe intaccata gravemente la libertà di pensiero, minando così non solo il Concordato ma anche la Costituzione italiana.