Bentornati a nuova puntata di “Cinema Tips”, la rubrica che è sempre in cerca di consigli per voi, anche in questo difficile periodo di quarantena. Ho inoltre il piacere di annunciare che grazie questa rubrica di Toscana Today da questo mese di Aprile sarà possibile leggerla anche su Pannunzio Magazine.

Questa settimana parliamo nuovamente di un celebre regista francese e di uno dei suoi lungometraggi più tormentati e massacrati dalla produzione specialmente qui in Italia. Sto parlando di Jean-Luc Godard e del suo film “Il disprezzo”.

Tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia, girato tra Aprile e Luglio del 1963, vede come protagonisti Brigitte Bardot e Jack Palance. La trama intreccia il cinema come mestiere e l’amore tormentato: al centro, infatti, c’è una vicissitudine coniugale tra uno scrittore chiamato a Roma per mettere mano a una sceneggiatura di un film sull’Odissea (diretto dal noto Fritz Lang) e la giovane moglie la quale crede di essere sfruttata dal marito per avere agevolazioni dal produttore del film che la sta corteggiando maliziosamente.

Una storia cinematografica e d’amore molto sofferente che Godard decide di girare con dei suoi particolari accorgimenti estetici sul piano registico e non solo. Il regista francese, infatti, organizza il film strutturandolo su 149 piani sequenza per calcare l’aspetto lento e contemplativo delle varie scene sia esterne che interne. Interessante e celebre è anche la modellazione fotografica che Godard riesce ad assegnare al corpo di Brigitte Bardot: non più solo un riferimento per il desiderio sessuale maschile, ma la costruzione di un esempio scultoreo di bellezza raffinata, elegante e tutt’altro che volgare che la porta a divenire un’icona intellettuale anche grazie alla sperimentazione cromatica che il regista francese applica nella prima scena di nudo del film. Se insomma i produttori chiedevano di sottolineare l’esplosiva sensualità e sessualità della Bardot, Godard riesce a plasmarla in un’emblema emotivo che la raffigura in una delle scene d’amore più memorabili di sempre.

Come dicevo prima un film tormentato non solo nella trama, ma anche in tutto il suo iter realizzativo: già durante la fase pre-produttiva lo scontro tra la produzione italiana guidata da Carlo Ponti e Godard è aspro. Durante le riprese Godard riesce a essere piuttosto produttivo con le scene da girare, tant’è che il tutto viene registrato in soli 32 giorni. La parte più drammatica è però la post-produzione: a Carlo Ponti non accetta la versione che gli è stata portata da Godard e decide di metterci mano lui. Ne verrà fuori una versione completamente diversa, ridotta e che dà al film dei significati totalmente lontani dalle intenzioni di Godard il quale, vedendola, la ripudierà. Se infatti nella versione originale il film è un vero e proprio dramma, la versione italiana ne stravolge totalmente il senso facendola diventare quasi una commedia. Non a caso, sin da subito, iniziano a circolare le due versioni.

Personalmente consiglio a chi desideri impegnarsi in questa visione di cercare la versione originale francese, ma niente vieta ai più cinefili di guardare entrambe le versioni per poter fare voi stessi un paragone. È proprio vero che alle volte qui in Italia non apprezziamo la raffinatezza culturale, specie se di mezzo ci sono dei soldi.