Il tabacco è una pianta erbacea diffusamente coltivata in tutto il mondo ed anche in Italia per le sue foglie aromatiche da cui si ricavavano – mediante appositi procedimenti – i vari tipi di tabacco (da fumo, da masticare, da fiuto). Originario dall’America centromeridionale, era già noto agli Aztechi e alle popolazioni indigene assai prima della scoperta dell’America. La pianta, alla quale erano attribuite virtù medicinali (per es. quella di guarire l’emicrania), fu portata in Europa dai “Conquistadores” spagnoli verso la metà del 1500 e venne fatta conoscere da Jean Nicot, ambasciatore francese a Lisbona nel 1561. Nicot ha dato il nome sia al genere “nicotiana”, cui appartiene la pianta del tabacco, sia al pericoloso alcaloide in essa contenuto, la nicotina. L’uso di fumare le foglie di tabacco appreso dagli indigeni di Santo Domingo, venne portato in Europa nei primi anni del XVI secolo. La diffusione della sigaretta è molto più tarda: sembra che l’abitudine di avvolgere il tabacco con la carta o altri materiali sia derivata dall’uso azteco di confezionare sigarette con le foglie di pannocchie di granoturco. Le sigarette vere e proprie, confezionate col tabacco avvolto nella carta, furono introdotte in Inghilterra nel XIX secolo da un certo William Gloag, che durante la guerra di Crimea vide i soldati fumare tabacco avvolto nella carta. La combustione del tabacco presente nelle sigarette, nella pipa, nei sigari ecc. sprigiona una grande varietà di sostanze tossiche e cancerogene per l’essere umano e gli animali. Tra le sostanze più’ pericolose contenute nel fumo ricordiamo la nicotina ed altri alcaloidi; numerose sostanze irritanti; l’ossido di carbonio e alcuni cancerogeni, tra cui il terribile benzopirene. I danni causati dal fumo, compreso il fumo passivo, sono numerosi e riguardano principalmente: l’apparato cardio-circolatorio, l’apparato respiratorio, l’apparato digerente (esofago e stomaco in particolare), il cavo orale, il cervello, il cuoio capelluto, la pelle, le ossa e l’apparato genitale. Infine è importante ricordare che il fumo è molto dannoso per le donne in gravidanza. Sulla pericolosità del fumo del tabacco non lascia dubbi il “rapporto Terry” del 1964, una ricerca eseguita per il Dipartimento della salute americana. Successivamente ed anche in epoca recente, molte conferme sperimentali sono venute da scienziati di tutto il mondo. Negli anni ’20 e fino agli anni ’60, il fumo era il sogno proibito dei ragazzi e degli adolescenti. Per un giovane di quell’epoca fumare significava essere grande, essere l’uomo ideale e forte che tutti si aspettavano. Il fumo era divenuto uno “status symbol” ed era anche il mezzo per conquistare le donne. Nelle feste danzanti un ragazzo che non fumava veniva evitato da tutti e considerato come “un emerito cretino”. Le prime sigarette che io fumai non esistono più in commercio. Negli anni ’50 venivano vendute in scatolette di cartone, munite del marchio dell’Edelweiss. Non era facile in quel tempo acquistare la preziosa scatoletta, per cui rubavo quelle sigarette che mio padre, grande e irriducibile fumatore, lasciava per la casa sui tavoli, negli armadi, in salotto, nel suo studio, in cucina, insomma dappertutto. Con il mio amico del cuore, Giorgio, fumavamo una dopo l’altra tutte le sigarette che riuscivo a procurare, nascosti in tutti i luoghi possibili. Fumavamo molto e potevamo soddisfare pienamente il nostro vizio, perché avevamo a disposizione molte sigarette estere che mio padre riceveva in regalo dagli emigranti calabresi che tornavano dalla Svizzera per il Natale o per le vacanze estive. Dopo la Laurea in medicina, ma soprattutto dopo il “rapporto Terry” sulla pericolosità del fumo, confermato da lavori sperimentali di scienziati di tutto il mondo, le mie giornate finivano con l’essere piene di sigarette e di propositi di non fumare più. Fino a vent’anni amavo la sigaretta, il suo sapore e lo stato in cui la nicotina mi metteva. Dopo i vent’anni, quando seppi che il fumo fa male, mi colse un’inquietudine enorme. Pensai: “Giacché mi fa male non fumerò mai più, ma prima voglio farlo per l’ultima volta”. Accesi una sigaretta e mi sentii subito liberato dall’inquietudine. Ad ogni tirata mi sentivo sicuro di me, invulnerabile, invincibile. Finii tutta la sigaretta con l’accuratezza con cui si compie un voto. E sempre tormentato dal dubbio ne fumai molte altre negli anni successivi, tantissime, una ridda di sigarette che riducevano in cenere i miei buoni propositi. Molti avvenimenti, anzi tutti, dalla Laurea alla nascita dei figli, dalla brillante carriera ospedaliera e universitaria alla conquista di una posizione socio-economica di rilievo, mi parvero degni di essere festeggiati dal solito proposito, che immancabilmente non riuscivo a realizzare. Dovetti arrivare a quarant’anni per smettere definitivamente di fumare. Non fu il dottore a proibirmi il fumo e tanto meno la paura di ammalarmi, ma io stesso. Il 6 gennaio 1982, dopo aver fumato in 24 ore di servizio presso l’Ospedale Sant’Anna 110 sigarette, smisi di fumare per sempre. Sono passati circa quarantadue anni da quel giorno e penso che non fumerò mai più.
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