“Io sono tutta nei miei libri”. E’ la stessa Elsa Morante a invitarci a cercarla nelle sue pagine e Lorenza Rocco Carbone con il suo saggio “Il mondo salvato dai ragazzini. Elsa la sua vita come un romanzo” edito da Kairòs coglie l’occasione per restituirci un’immagine della scrittrice senza fraintendimenti o luoghi comuni. L’autrice, che ha già dedicato diversi studi a personaggi femminili come Eleonora de Fonseca Pimentel, Matilde Serao, Anna Maria Ortese, Natalia Ginzburg, Lalla Romano, prende a prestito l’omonima opera della Morante per indagare la letterata e la donna, a oltre cent’anni dalla sua nascita, con acume critico e partecipazione emotiva. Elsa Morante era nata a Roma il 18 agosto del 1912 figlia naturale di una maestra ebrea e di un impiegato postale, e aveva cominciato prestissimo a comporre favole e filastrocche, da subito attenta a quel mondo complesso e delicato che rappresenterà tanta parte della sua produzione. Ebbe diverse relazioni sentimentali: lo scrittore Alberto Moravia, il regista Visconti, il doloroso amore per il pittore Bill Morrow ma resterà sempre profondamente convinta di non essere amata abbastanza, prigioniera di un’intima solitudine esistenziale. Nella sua indagine, Lorenza Rocco Carbone mescola privato e narrativa seguendo la scrittrice dalla primissima produzione a Menzogna e sortilegio a Lo isola di Arturo, fino a La storia e Aracoeli. Tutte le opere, fiaba, racconto, poesia, saggio, diario, romanzo mostrano la sua complessa personalità, ma è in questa raccolta del 1968 che emerge l’anima. Il libro si compone di tre parti di lunghezze diverse. La prima consiste in un lungo poemetto chiamato: Addio, intitolato originariamente “Per una morte”, che si riferisce alla tragica morte di Bill Morrow, che la scrittrice aveva incontrato nel settembre del 1959 durante un suo viaggio a New York; la seconda parte s’intitola La commedia chimica che contiene l’unica commedia che la Morante abbia scritto, La serata a Colono, parodia dell’Edipo a Colone di Sofocle e risposta al drammatico film pasoliniano Edipo Re. La terza parte, Canzoni popolari, contiene poesie originali nei temi e nel linguaggio, tra le quali numerose poesie visuali e la sezione che dà il titolo all’intera opera. Un libro originale, anticonformista nato dall’esigenza di interpretare le istanze giovanili degli anni sessanta e settanta, che riscosse entusiasti consensi e diffusa perplessità tra gli intellettuali del tempo. L’autrice rintraccia e illustra con lucidità e con emozione la vita di una donna, ne traccia il filo narrativo, la psicologia, i ricordi personali per restituire la scrittrice alla memoria culturale nazionale. Un lavoro attento che, attraverso continui approfondimenti e confronti, scava e riporta alla luce la sensibilità poetica e sociale della Morante, lo spirito rivoluzionario e idealista, la capacità di trasformare, attraverso la parola, la realtà in mito, il particolare in senso universale. Il sortilegio della scrittura riempiva il suo vuoto esistenziale, compensava in parte quella sofferenza interiore che appartiene a chi troppo percepisce e comprende. Ogni capitolo del saggio aggiunge sfumature al ritratto dolcemente severo della sua umanità e ne esalta la modernità, quella capacità “di contenere e criticare tutte le ossessioni della società contemporanea: la paura dell’atomica, la morale del consumismo e la vertigine dell’autodistruzione”, i guasti della moderna omologazione, la consapevolezza di una generazione che non ha saputo vedere il male nella Storia, e la fiducia nella funzione salvifica della fanciullezza capace di cogliere la verità delle cose semplici. E’ sorprendente scoprirla sempre sull’orlo dell’abisso eppure, intensamente convinta della responsabilità morale del poeta di mettere in guardia il mondo dei pericoli che esistono al suo interno, di ricordargli che accanto alla disperazione fiorisce la speranza. Risuona quanto mai attuale il monito della Morante certa che l’Umanità, per salvarsi, dovrà alimentarsi di se stessa, “cercando il colore dell’eterno, ossia il Bello e riscoprendo la Poesia, come solo attivo di felicità… educare e educarsi alle virtù inutili, quali la Bellezza contenuta nelle opere d’arte, nella pittura, nella Musica”. Un umanismo concreto al quale non ha mai abdicato, neppure nei momenti più disperati. Completa lo studio un insolito accostamento con le altre scrittrici, l’Ortese, la Deledda, la Serao, Elena Ferrante, divenute nel terzo millennio soggetto e non più oggetto della letteratura. La accomuna con quest’ultima l’indipendenza, la predilezione per il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, la fiducia nella forza della scrittura come strumento di riscatto, l’ago rovente che racconta gli ultimi e punge quelli “…troppo affaccendati a fabbricare trafficare istituire organizzare propagandare la loro enorme indispensabile felicità per darsi pena dell’infelicità superflua minoritaria dei Felici Pochi.” Un’esegesi analitica quella diLorenza Rocco Carbone che, tuttavia, ci riconsegna con discrezione il sottile mistero del genio di Elsa Morante.
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