Nella seconda metà dell’’800, nel cuore dell’impero austro-ungarico, un professore dell’università di Vienna, Carl Menger, concentrò le sue riflessioni sul comportamento dell’individuo in ambito economico; fu così che, insieme ai suoi allievi, diede vita alla Scuola austriaca e alla nascita dell’economia neoclassica. Carl Menger una volta acquisita la cattedra presso l’università di Vienna, si distinse per la sua totale dedizione alla ricerca e alla didattica: un professore a tempo pieno. I suoi allievi, invece, aspiravano a qualche incarico universitario ma, soprattutto, ambivano a ruoli di funzionari pubblici nella burocrazia imperiale e nel mondo degli affari. Si trattava di posizioni molto prestigiose per i valori dominanti nella borghesia allora trionfante. Per questi economisti viennesi l’insegnamento universitario poteva essere, al più, un secondo lavoro. Ad esempio, i famosi allievi di Menger, Eugene Boemhm-Bawerk e Friedrich Wieser sospendevano le loro occupazione pubbliche solo per brevi periodi che dedicavano a impegni accademici; ciò nonostante diedero un contributo fondamentale alla nascita e consolidamento della scuola austriaca di economia. Questi allievi, pur non essendo professori a tempo pieno, coltivavano con continuità il confronto e la circolazione delle idee all’interno di ‘circoli’ molto elitari, frutto della loro iniziativa come docenti, dove si discutevano le riflessioni in una modalità che, oggi, definiremmo seminariale. La scuola austriaca assunse così la forma di un’università diffusa in punti di incontro che includevano anche i famosi caffè viennesi. Con la caduta dell’impero austro-ungarico e l’avvento nell’Europa centrale di ostilità antisemite sempre più energiche, le nuove generazioni della Scuola austriaca, che annoverava numerosi ebrei, affrontarono una diaspora alleviata dal loro congenito cosmopolitismo e dal sostegno economico di istituzioni come la Rockefeller Foundation. Ebbene, anche nei nuovi luoghi dove poterono proseguire nella loro vita di studiosi, alcuni professori della Scuola austriaca mantennero la tradizione del ‘circolo’ istituendone numerosi anche nei paesi di immigrazione. Un po’ per la mancanza del sostegno del diverso contesto culturale di cui soffrirono come immigrati e soprattutto per l’affermarsi di nuove teorie economiche, col tempo, gli economisti della scuola austriaca videro scemare la loro popolarità. I due esponenti più rappresentativi di questa generazione, Friedrich von Hayek e Ludwig von Mises, reagirono mediante la scrittura di opere che dovevano rappresentare l’approdo del pensiero della scuola austriaca; Hayek compose The Pure Theory of Capital (La Teoria Pura del Capitale) pubblicato nel 1941 e Mises pubblicò in tedesco Nationaloekonomie nel 1940. Entrambe le opere furono accolte con disinteresse. La tradizione della Scuola austriaca di economia si era esaurita e, con la scuola, anche la ragion d’essere dei ‘circoli’.

I tempi stavano cambiando. Negli anni tra le due guerre mondiali erano emersi mutamenti che minavano i consueti assunti sul funzionamento dell’economia, assunti su cui si fondavano le speculazioni di molte scuole economiche compresa quella austriaca. La struttura del sistema economico teorizzato con cui si sostenevano i vantaggi e quindi la superiorità dell’economia concorrenziale pura, il laissez-faire, non aveva alcun riscontro agli occhi dell’attento osservatore. La società era divenuta ancor più complessa e recenti sconvolgimenti quali l’avvento del New Deal negli Stati Uniti travolti dalla crisi del 1929, stimolarono riflessioni e ripensamenti sui fondamenti del governo dell’economia e sulla forma dello stato: il cosiddetto Colloquio Walter Lippmann ne rappresenta l’episodio emblematico.

Il giornalista e saggista Walter Lippmann raccolse le sue riflessioni in un libro con un lungo titolo esplicativo che in seguito divenne citato semplicemente come The Good Society. Preso come base di discussione, nel 1938 a Parigi si riunirono poco più di una ventina di intellettuali (americani, molti francesi, svizzeri, olandesi e tra questi Hayek) che approfondirono i temi trattati nel libro. A questo episodio si attribuisce l’associazione del liberalismo al laissez-faire e, per contrasto, la nascita-definizione di neoliberalismo. Alla fine del secondo conflitto mondiale, Hayek mostrò il suo orientamento verso l’analisi interdisciplinare della società con un saggio che lo rese famoso: The Road to Serfdom (La via alla Schiavitù). La sua tesi può essere così sintetizzata: se tu dai una mano alla Stato, questo ti prende un braccio, poi ti succhia l’anima e da cittadino ti riduce a suddito. In verità il merito del successo va ascritto anche al riassunto del libro pubblicato sul Reader’s Digest con una prosa che raggiunse l’americano medio insofferente di tre lustri tra New Deal ed economia di guerra. La versione originale in inglese con struttura sintattica tedesca difficilmente avrebbe avuto tanto successo.

Hayek divenne famosissimo e colse i vantaggi di tanta popolarità per fondare di nuovo un ‘circolo’: il Mont Pèlerin Society. L’associazione, tuttora attiva, prese il nome dal paese dove 39 intellettuali (tra questi anche un italiano: Carlo Antoni) provenienti dalle due sponde dell’Oceano atlantico, nel 1947, sotto la regia di Friedrich von Hayek, parteciparono alla sua riunione inaugurale. Sin dalla fondazione, Hayek, considerato l’ideatore della società, conferì alla Mont Pèlerin Society la dote iniziale dei principi economici, filosofici e politici della scuola economica austriaca.

L’associazione presentava alcuni caratteri dei circoli viennesi: la selezione-cooptazione e la riservatezza. Senza dubbio MPS è classificabile come un think tank. Questa scuola nacque e si distinse dall’economia classica di stampo anglosassone rappresentata dai contributi fondamentali di Adam Smith, Davide Ricardo e Carl Marx. Mentre l’economia classica indagava sulla formazione della ricchezza, sui vantaggi del commercio, su problematiche demografiche, sulle conseguenze politiche della divisione del lavoro nonché sulla definizione di capitale e valore, la società – nei suoi incontri annuali – affronta e dibatte – così dichiara nella sua home page – relazioni e rapporti di comune interesse che sono ‘letti, discussi e criticati’. Di tutto questo nulla traspare in forma ufficiale fuori dalle sale degli alberghi dove usualmente si svolgono gli incontri annuali; inoltre i soci sono così tanto cultori dell’individualismo – la pietra angolare del tempio della scuola austriaca di economia – da vincolarsi a esprimere fuori dai loro incontri solo le proprie idee senza fare riferimento alcuno a quelle degli altri sodali.

Si tratta dunque, di un’istituzione molto particolare nell’universo dei think tank che, invece, hanno la missione di condividere il confronto delle idee che essi promuovono nella più ampia trasparenza. Come, ad esempio, gli Amici del Mondo che organizzavano convegni di cui si dava la massima apertura e se ne coltivava la memoria pubblicandone gli atti; ancora oggi possiamo menzionare le idee che fecero circolare. Della Mont Pèlerin Society si sa soprattutto che è un tempio del neoliberalismo e che è impegnata nello studio dei problemi della società libera. Una società attiva e longeva di cui si può arguire che i suoi membri non testimoniano le loro idee con la parola ma con l’esempio.