Walther Rathenau è l’esempio di un industriale-filosofo che assume come problema centrale della propria riflessione, dopo il primo conflitto mondiale, il problema di un capitalismo fondato sulla collaborazione fra capitale e lavoro garantita dallo Stato inteso come ‘proiezione’ dell’opinione pubblica e dalla competenza di politici e tecnici formati in modo da proporsi il bene collettivo. La sua figura ha particolare rilevo proprio oggi che i limiti ecologici ed economici del neoliberismo sono stati evidenziati dalla pandemia di COVID-19.

1.Un omicidio politico: 24 giugno 1922

Il 24 giugno 1922 Walther Rathenau, Ministro degli Esteri viene ucciso da un commando della “Organizzazione Consul”, formazione guerrigliera di estrema destra composta da membri della Marinebrigade Ehrardt, uno dei cosiddetti Freikorps, i “Corpi Franchi”. Rathenau non fu l’unica vittima dei Freikorps: anche il Ministro delle Finanze Mathias Erzberger (1875-1921)era stato ucciso nell’agosto del 1921. La prima guerra mondiale è finita da poco, i trattati di pace sono ormai dietro le spalle, lo Stato tedesco è a terra; nel 1920 era stato organizzato un tentativo di colpo di Stato da Wolfgang Kapp (1858-1922) dal cui fallimento era sorta la formazione clandestina “Organizzazione Consul”. Organizzazione assai attiva nel corso dei moti filo-tedeschi al tempo del plebiscito dell’Alta Slesia uccide il rappresentante dell’USPD (Unabhängige Sozialdemokratische Partei Deutschlands, Partito Socialdemocratico Indipendente Tedesco) al parlamento bavarese Karl Gareis (1889-1921), nel giugno 1921 e, un anno dopo tenta di uccidere il deputato del SPD (Sozialdemokratische Partei Deutschlands, Partito Socialdemocratico Tedesco))  al Reichstag  Philipp Scheidemann (1865-1939).

2. Chi era Walther Rathenau

Rathenau non è un politico qualsiasi.

Nato a Berlino il 29 settembre 1867, figlio di Emil Rathenau (1838-1915), uomo d’affari tedesco fondatore  della Deutsche Edison Gesellschaft (trasformata, poi, nel 1887 in Allgemeine Elektrizitäts-Gesellschafts, la notissima AEG) e di Mathilde Nachmann (1845-1926), figlia di un banchiere di Francoforte, Walther Rathenau studia ingegneria meccanica e chimica all’Università di Monaco e diviene, dopo un lungo tirocinio, presidente della AEG nel 1915. Partecipa come esperto economico alla conferenza di pace di Versilles dichiarandosi contrario alla firma, da parte del nuovo Stato tedesco, dei trattati di pace. Nel 1920 in governo lo chiama a dirigere la Commissione per la Socializzazione costituita per rimettere in piedi la struttura industriale tedesca. Nel 1921 il cancelliere Joseph Hirt (1859-1956, appartenente al Zentrum cattolico) lo chiama al governo come Ministro per la Ricostruzione. Nel secondo gabinetto Wirth Rathenau ricopre la funzione di Ministro degli Esteri. In tale veste, nell’ambito della conferenza economica di Genova, firma a Rapallo un trattato di amicizia e di mutua assistenza con la Russia.

Ma il profilo di Rathenau non è solo quello di un industriale e di un politico, di un “tecnico”, pur di primo piano. Il suo è anche il profilo di un intellettuale poliedrico.

3. L’industriale filosofo

Nel 1912 pubblica Zur Kritik der  Zeit (Per la critica dell’epoca); nel 1913 vede la luce Zur Mechanik des Geistes (Per la meccanica dello spirito); nel 1917 è la volta di Von Kommenden Dingen (Quello che accadrà); nel 1918 dà alle stampe Die Neue Wirtschaft (L’economia nuova) e nel 1919 Die Neue Gesellschaft (La società nuova) e Der Neue Staat (Lo Stato nuovo)- sono solo alcuni dei suoi lavori, i suoi lavori più noti. In tempi recenti, in Italia, le sue opere sono state prese come punto di riferimento da Massimo Cacciari (negli anni Settanta) e da Roberto Racinaro (che ha curato l’edizione italiana di La società  nuova  e Lo Stato nuovo).

Ma già nell’immediato dopo-guerra in Italia avevano richiamato l’attenzione su L’economia nuova Benedetto Croce (1866-1952) e Luigi Einaudi (1874-1961). Infatti, il saggio viene pubblicato, nella rigorosa traduzione italiana dello storico dell’economia veneziano Gino Luzzatto (1878-1964), dall’editore Laterza di Bari con una corposa Prefazione (ristampata da Einaudi nel 1976). Erano, quelli, tempi di crisi per l’economia di libero mercato. Come i tempi attuali. Allora una guerra costata circa venti milioni di vittime (che diventano sessantacinque milioni se contiamo anche le vittime della pandemia  “febbre spagnola” del 1918-1919), oggi una pandemia le cui conseguenze economiche minacciano di essere peggiori delle conseguenze della Prima e della Seconda Guerra mondiale. Volgiamo indietro lo sguardo, dunque.

4. Il “socialismo del capitale” di Walther Rathenau

Il problema economico centrale del dopo-guerra era che il liberismo stava aprendo (già nel corso del conflitto) la strada a forme di oligopolio in grado di inghiottire il libero mercato stesso e, per di più, incapaci di venire incontro alle esigenze delle classi lavoratrici impoverite dalla guerra ovunque, ma soprattutto in Germania (paese sconfitto) e in Italia (paese appartenente alla coalizione dei vincitori). È possibile rovesciare l’oligopolio in un’economia controllata dai rappresentanti del mondo produttivo, imprenditori e lavoratori, confinando il credito al ruolo di sostegno della produzione e del consumo? Gli scritti di Lenin (1870-1923), di Karl Korsch (1886-1961), di Otto Neurath (1882-1945) pensano che ciò sia possibile, pur in modo diverso l’uno rispetto all’altro, e auspicabile; al contrario, Einaudi, Leopold von Wiese (1876-1969) pensano che una simile svolta porterebbe a una crisi della libertà. Nazionalisti e internazionalisti si trovano dall’un lato e dall’altro lato della barricata, in quel dopo-guerra, in Germania, come in Italia: per Alfredo Rocco, nazionalista (poi giurista fascista), come per Antonio Gramsci (1891-1937), futuro fondatore del PCd’I (Partito Comunista d’Italia) è indispensabile che il pubblico potere imbrigli a vantaggio della collettività l’anarchia del libero mercato. Per Otto Neurath (che parteciperà alla Repubblica dei Soviet di Baviera), come per Ernst Nieckisch (1889-1967, socialdemocratico, poi esponente della “Rivoluzione Conservatrice” tedesca e, infine oppositore al nazionalsocialismo) la collettività deve poter controllare i processi produttivi. Per Vilfredo Pareto (1848-1923) che, propriamente, nazionalista non è, come per von Wiese, anch’egli ben poco incline al nazionalismo, l’economia dev’essere libera di dispiegarsi attraverso le frontiere degli Stati, costi quello che costi, si potrebbe dire.

In questo magma la proposta  di Rathenau è chiara:  occorre una gestione cooperativa della produzione con la collaborazione fra lavoro e capitale coordinata dallo Stato se vogliamo rigenerare il sistema sociale capitalistico; occorre un controllo programmato o pianificato dell’individualismo ‘anarchico’ della produzione, che riesca a non negare l’esaltazione delle qualità individuali in un contesto solidaristico che disinneschi la “lotta dell’uomo contro l’uomo”. Un’economia efficiente, sostiene Rathenau, è un’economia programmata; ma un’economia efficiente è soltanto quell’economia che impedisce che nella collettività si crei quella sorta di “popolo a parte” consistente nella sovranità degli oligopoli economici con il conseguente controllo finanziario della cultura, del rango sociale. Una tale economia può nascere soltanto dalla convergenza che Rathenau descrive così: “l’avvenire spetta soltanto a quella nazione che trasformerà il lavoro speso finora nei conflitti interni in lavoro produttivo, che attaccherà tutte le sue forze da tiro nella stessa direzione davanti al carro de suo Stato e della sua economia”(p.”27). Ma fare questo esige una classe politica in grado di agire in tale senso: “Lo Stato può esigere imposte dove esso presta qualche servizio; esso deve prestare dei servizi dov’esso esige delle imposte.”

Pur senza rifarsi esplicitamente a Rathenau, le economie degli anni Trenta seguiranno questi orientamenti; e si continuerà a seguirli anche dopo la Seconda Guerra mondiale fino alla metà degli anni Sessanta, almeno. Oggi noi ci troviamo in una contingenza nella quale, dalla rilettura di questa, e di altre opere di Rathenau, non potrebbe trarre che giovamento. La nostra domanda attuale, infatti, è quella del 1918 e quella del 1945: come far ripartire l’economia? Qual è il soggetto politico capace di tanto? Come realizzare un’economia efficiente e solidale?