foto Pierre Morel

  “Non si va all’Università per prendere una Laurea. Non si va in un Liceo per prendere una Maturità o un Diploma. La scuola e l’Università dovrebbero servire per renderci migliori: noi dobbiamo studiare per renderci migliori, per diventare uomini e donne liberi con la cultura che noi acquisiamo.”

  Con queste parole, il 14 maggio 2021, Nuccio Ordine si rivolgeva a un centinaio di studenti del Liceo Classico “Vittorio Alfieri” di Torino riuniti per ascoltare una sua conferenza – svoltasi a distanza per l’emergenza della pandemia – sul valore formativo dei Classici. Le ho volute richiamare nell’esordio di questa mia commemorazione perché Nuccio Ordine è tutto in queste parole. Risuonano in esse la passione dello studioso e la passione morale e civile dell’educatore, che con la sua attività di ricerca e di insegnamento mira a formare l’uomo nella sua integralità di persona di cultura e di cittadino critico, consapevole e per ciò stesso libero. L’Umanesimo, in fondo, non è altro che questo, e Nuccio Ordine, da vero allievo di Eugenio Garin, lo aveva perfettamente interiorizzato.

  Ci è stato portato via prematuramente il 10 giugno scorso da un malore subdolo e infido. Appena due settimane prima, il 24 maggio, era stato insignito a Oviedo del prestigioso Premio Princesa de Asturias – il Premio Nobel del mondo ispanico e latino-americano – per l’àmbito della Comunicazione e delle Scienze Umane.

  Per riassumere in breve chi sia stato Nuccio Ordine – ammesso e non concesso che sia possibile – non si può che iniziare dalla sua attività di infaticabile studioso del Rinascimento italiano. La fondazione a Cosenza del “Centro di Studi telesiani, bruniani e campanelliani”, è uno dei suoi lasciti più grandi: ma non si può dimenticare l’attività di direttore di due importanti collane per la casa editrice Les belles Lettres, la  Bibliothèque italienne e la collana intitolata a Giordano Bruno.

  Proprio Giordano Bruno è stato l’autore prediletto da Nuccio Ordine. All’illustrazione del suo pensiero ha dedicato una serie di monografie – fra tutte La cabala dell’asino, Contro il Vangelo armato, La soglia dell’ombra – che sono vere pietre miliari della critica bruniana.

  Ma c’è di più.

  Roberto Saviano, commemorando Ordine, scrive: “Nuccio era Giordano Bruno. Non studiava Bruno, ma era Bruno. Ne assumeva la voce, aveva l’occhio della sua mente e lo insegnava come nessuno al mondo. Si trasformava in asino come l’animale amato da Bruno, resistente, fermo, paziente e ostinato.”

  È verissimo.

  Nuccio Ordine ha studiato Giordano Bruno al punto di farlo totalmente suo.

 Quando, nella Prefazione a Classici per la vita (p. 43), egli scrive: “La scuola, e anche l’Università, dovrebbero soprattutto educare le giovani generazioni all’eresia, incoraggiandole a compiere una scelta in contrasto con l’ortodossia dominante. Anziché sfornare polli di batteria, allevati nel più bieco conformismo, bisognerebbe formare giovani in grado di tradurre il loro sapere in un costante esercizio della critica”, è difficile non rinvenire dietro le sue parole proprio la riflessione su Giordano Bruno, che per una vita ha combattuto contro le ideologie dominanti del suo tempo in nome di una nuova visione del mondo e dell’uomo, portando l’esercizio costante della critica fino alle estreme e più tragiche conseguenze. E quando, sempre nella stessa prefazione (p. 41), si legge: “Un buon insegnante è innanzitutto un infaticabile studente”, il pensiero non può non correre alla riflessione da lui condotta sul tema bruniano dell’”asinità positiva”, della scoperta del proprio “non sapere” come movente che spinge a intraprendere un cammino di conoscenza destinato a non esaurirsi mai, perché, più si conosce, più si scopre di dover ancora conoscere. Un insegnante non può non esserne consapevole: di qui il dovere di essere un “infaticabile studente”, se non vuole ridurre l’insegnamento a bieca routine e a pura ripetizione.

  Si scopre così che, dallo studio dell’Umanesimo e del Rinascimento, e in perfetta coerenza con esso, è nato l’altro grande centro di interesse del pensiero di Nuccio Ordine, quello che gli ha dettato saggi come L’utilità dell’inutile, Classici per la vita, Gli uomini non sono isole, e l’ha portato a incontrare studenti di ogni ordine e grado per parlare con loro, per renderli partecipi delle sue riflessioni, nella consapevolezza che – come mi disse nel corso di una telefonata – “gli studenti imparano da me, ma anch’io imparo da loro”: la riflessione sull’utilità del sapere, sul vero senso dello studio e sulla vera funzione della scuola e dell’Università.

  “Non è utile solo ciò che porta profitto”: è una frase che Nuccio Ordine amava ripetere, esattamente come l’altra: “Si studia per diventare persone migliori”. Era fermamente convinto che “la buona scuola non la fanno né il tablet su ogni banco, né la lavagna connessa a Internet, né il “dirigente scolastico” manager: la buona scuola la fanno principalmente i buoni professori” (Prefazione a Classici per la vita, p. 28). Per argomentare la sua tesi, amava ricordare la lettera che Albert Camus, all’indomani dell’assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura, indirizzò al suo maestro di Algeri, Louis Germain. Egli stesso, nel corso della conferenza già ricordata agli studenti del Liceo “Alfieri”, ebbe modo di ricordare con affetto la sua maestra elementare.

  Su questa visione dello studio e della cultura, della scuola e dell’insegnamento si incardina l’utilità della lettura dei Classici, che, come ricorda il sottotitolo del saggio Gli uomini non sono isole, “ci aiutano a vivere”, perché ci fanno scoprire “che gli esseri umani sono legati gli uni agli altri e che la vita di ogni uomo è parte della nostra” (Prefazione, p.17).

  Torniamo così all’inizio: in Nuccio Ordine, rigore scientifico, passione educativa e passione civile formavano un tutt’uno indissolubile.

  In uno degli ultimi messaggi, complimentandomi con lui per il Premio Princesa de Asturias, che aveva appena ricevuto, gli avevo scritto: “Grazie a te per ricordarci la dignità della nostra funzione.” Non potevo sapere che quello era uno degli ultimi messaggi che gli avrei inviato. Non ho fatto a tempo a dirgli quanto la sua conoscenza e la lettura dei suoi saggi mi abbiano interiormente arricchito. Proprio questo, in queste ore di profonda tristezza, è per me il motivo maggiore di cruccio e di rammarico.

Maurizio Ceccon