Posso dirlo? Lo dico, tanto siamo sul sito di Pannunzio Magazine, dove il dibattito è libero e ci è permesso incedere in esercitazioni di eloquenza anche acrobatiche, visto che, trovandomi a condividere gran parte delle argomentazioni esposte da Pier Franco Quaglieni e Livio Ghersi sul Ddl Zan, vorrei rappresentare e difendere le ragioni di chi questo disegno di legge lo ha promosso e vuole portare a compimento. Non sarà facile perché il nostro sistema è macchinoso e complicato, tanto da rendere ogni normativa appetitoso nutrimento per cavillosi burocrati, rendendola spesso difficilmente inquadrabile nei punti fermi e inoppugnabili del Diritto. Troppe leggi -elaborate, rielaborate e modificate- nel nostro Paese vanno a disperdersi nell’oceano delle buone intenzioni. Ed effettivamente buone sono le intenzioni di Alessandro Zan, simpatico ingegnere padovano, oggi Deputato del PD, impegnato da sempre nell’affermazione dei diritti di quei cittadini che si riconoscono nella comunità LGBT. Egli presentò, nell’ormai lontano 2018, il suo disegno di legge, che, dopo il solito farraginoso iter parlamentare, è stato licenziato dalla Camera – per passare all’esame del Senato – oltre due anni dopo, nel novembre 2020. E, nel frattempo, non è che non se ne sia parlato, ma fino a poche settimane fa, lo si è fatto senza alzare troppo i toni; fino a quando il cantante Fedez non ha sentito il bisogno di scatenare una tempesta mediatica capace di creare il classico proselitismo di maniera da parte di tanti personaggi dello show business che ne hanno sfruttato la facile occasione di visibilità. Ieri nell’aula di Palazzo Madama Draghi ha dimostrato le sue qualità di statista del buon senso ricordando che il disegno è ancora in discussione in Parlamento, istituzione preposta che deve essere laicamente lasciata in condizione di discuterlo serenamente. Facile immaginare che alla fine, tra un rimbalzo bicameralista e l’altro, uscirà un testo contorto, discutibile e costituzionalmente appellabile. E me ne dispiace, perché le sue ragioni il buon Zan le ha, eccome. Luciano De Crescenzo qualche anno fa su “IL TEMPO” evidenziava come in materia di omosessualità le leggi vigenti nel borbonico Regno delle Due Sicilie fossero le più illuminate dell’Italia pre-unitaria, “così illuminate – scriveva – che nel codice penale di quel Regno di omosessuali e omosessualità non si faceva nemmeno parola”. Dei reati sessuali, quelli legati a violenza e abuso, il codice borbonico si occupava certo, ma “prescindendo del tutto dal sesso dei soggetti…particolare del tutto irrilevante”. Nessuna proibizione dunque, al contrario dei regni sabaudi Piemonte e Sardegna, per le cui leggi l’omosessualità era da considerarsi un vero crimine (l’art. 425 del codice puniva gli atti omosessuali su querela di parte o in caso di pubblico scandalo). Il suo conterraneo Luigi Settembrini patriota eccelso -che della da me citata “eloquenza” fu titolare di cattedra all’Università di Catanzaro- Tra il 1851 e il 1859, mentre scontava una condanna all’ergastolo per la sua cospirazione contro il regime borbonico, scrisse un esplicito racconto erotico a tema omosessuale dal titolo “I Neoplatonici” ambientandolo nell’antica Grecia ed attribuendolo, essendo lui filologo esperto, a un apocrifo Aristeo di Megara, e se ne finse traduttore. Rinvenuto anni dopo da uno studioso della cerchia di Benedetto Croce, fu riconosciuto come operetta del martire risorgimentale, ma, con l’accordo di Croce, venne escluso dalla pubblicazione e nascosto in un armadio. Nonostante Emidio Piermarini lo considerasse “un lavoretto d’abilità magistrale (…), un’opera vivace, a tratti vivacissima, di fresca grazia, da fare onore ad un artista di alta classe come fu il Settembrini …”, che “ha tratti delicati e gentili nel parlare di bellezza corporea e di gioventù, e di vita lieta e coraggiosa nel vivere degli antichi Greci” … Il liberale Benedetto Croce ne impose la censura giudicandolo “lubrico e malsano errore letterario del Venerato Maestro, martire patriottico dei Borboni”.

L’opera è stata pubblicata per la prima volta soltanto nel 1977 a cura di Raffaele Cantarella, che ne scoprì il manoscritto presso la Biblioteca Nazionale di Napoli nel 1937 e dal 2001 è nel catalogo Sellerio. Questo per significare che non è stato facile nemmeno per i liberali illuminati del secolo scorso affrontare serenamente l’argomento. Meglio fingere di non sapere e lasciare che il fenomeno macerasse nelle segrete stanze… C’è voluta la visione illuminata di radicali come Marco Pannella e Angelo Pezzana per dare visibilità ad un problema di discriminazione reale volutamente e ipocritamente ignorato dal pensiero dominante tanto della cosiddetta destra che della cosiddetta sinistra. Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario della nascita del Fuori!, il movimento di liberazione omosessuale fondato da Angelo Pezzana con Marco Silombria, Enzo Francone e Alfredo Cohen nel 1971. A settembre, una grande mostra al Polo del ‘900 di Torino ne ripercorrerà la storia attraverso manifesti, fotografie, documenti: dalle testimonianze dirette avremo modo di vedere come queste rivendicazioni non appartengano al folclore, ma alla storia dell’evoluzione del pensiero liberale contemporaneo.

La strada per l’approvazione del Ddl Zan sfocerà -come solitamente avviene in Italia- in un pastrocchio, ma dobbiamo ammettere che era lastricata di buone intenzioni.