Paese periferico. Sempre più ai margini del mondo che conta e che decide. L’espressione ‘questa è una cosa inammissibile in un paese civile!’, che per tanti anni abbiamo usato con l’indignazione propria di chi di quel supposto ‘mondo civile’ sapeva in fondo di far parte, non dovremo più usarla, non potremo più usarla. Perché noi di quel mondo non siamo più parte integrante. Ce lo dicono mille indicatori, mille segnali. In primo luogo gli stipendi. Sì, soprattutto gli stipendi. Che sono un terzo di quelli dei Paesi di prima fascia. E la metà di quelli degli Stati di seconda fascia. Sono tantissimi, sempre di più, i nostri giovani di valore che vanno a cercare carriera e riconoscimento all’estero. E hanno ragione. Ormai siamo una nazione in affanno che si arrabatta. Abbiamo vissuto per trent’anni (’60-’90) al di sopra delle nostre possibilità produttive e organizzative. Poi per altri trenta abbiamo con fatica cercato di tenere la posizione e il debito pubblico. Ora il declino, che nessuno, né i tanti politici che si sono succeduti, né la classe dirigente, né la cosiddetta società civile, ha saputo prevenire. Decadenza economica, culturale, civile. Via, al di fuori del boulevard periférique, al di fuori della roccaforte privilegiata, della zona ricca del mondo. Nella banlieue. Ventimiglia segnerà davvero sempre più una frontiera, ma non solo per la questione migranti. Ventimiglia come il Brennero, come il Rio Grande, come Ceuta e Melilla, luoghi simbolici e reali di separazione tra il mondo ricco e l’entropia che avanza. I migranti non si vogliono fermare in Italia, qui sono solo di passaggio. E anche quelli insediati da anni stanno andando via. Cercano la loro America, la Francia, la Germania, la Scandinavia. Persino le paghe e le sistemazioni in Croazia, in Ungheria, in Polonia, sono migliori che da noi. Noi siamo ai margini, incapaci di offrire una prospettiva persino ai nostri … come i Paesi balcanici, il Nord Africa, la Turchia, la Grecia. Tutti eredi di un passato più grande di noi. Per alcuni decenni fine ‘900 la cristallizzazione politica internazionale e poi il mito della globalizzazione avevano illuso riguardo alla crescita facile, illimitata, politically correct e ‘dalla parte giusta’. Adesso il quadro geopolitico è molto più fluido e incerto. E ognuno pensa per sé. ‘America first’. Sovranismo. E anche i disordini militari hanno seguito pericolose dinamiche in avvicinamento: prima la Somalia, l’Afghanistan, poi l’Iraq, la Siria, la Libia, l’Ucraina… chi sarà il prossimo?