Joseph Conrad (1857-1924) è uno scrittore atipico nel panorama letterario europeo, non solo perché polacco che decide di scrivere in inglese, una lingua che non è la sua, ma anche perché i suoi continui viaggi per mare da un’estremità all’altra del mondo, la sua condizione di homo duplex – come egli amava definirsi – cioè scrittore e marinaio, polacco e inglese, gli conferiscono la capacità di vedere la realtà da molteplici punti di vista e di cogliere l’essenziale solitudine dell’uomo.
Teodor Josef Konrad Korzeniowski nasce nel 1857 a Berdicev, una cittadina non lontana da Kiev, nell’attuale Ucraina, allora regione meridionale della Polonia contesa tra Prussia, Russia e Austria.
Il padre, scrittore e irredentista polacco, fu perseguitato dalla polizia zarista e condannato al confino nella Russia settentrionale, dove il piccolo Joseph lo seguì con la madre. Dopo la morte di questa Joseph, ancora bambino, fu affidato alla tutela di uno zio. Studiò per qualche tempo a Cracovia. Ma a soli diciassette anni lo troviamo già marinaio su una nave francese: realizza così un’aspirazione verso la vita sul mare accarezzata sin dall’infanzia. A ventun anni entra a far parte dell’equipaggio di una nave mercantile inglese. Nel 1884 ottiene il brevetto di capitano e la naturalizzazione a cittadino britannico. La carriera nella Marina permette a Conrad di compiere viaggi – in Estremo Oriente, in Australia, in India, in Sud America, in Africa– e di vivere esperienze da cui trarrà materiale per i suoi romanzi. Nel 1894, dopo 16 anni di carriera, abbandona il mare e si consacra completamente alla letteratura. Muore nel 1924, a 67 anni, nella sua residenza nel Kent, a Bishopbourne. Viene sepolto a Canterbury.
Contemporaneo di Freud, Bergson e Nietzsche, Conrad, come tutti gli scrittori della sua epoca, vive il crollo della fede positivista nella scienza e nel progresso e il nuovo clima di scetticismo e relativismo culturale che determina in Inghilterra la crisi del romanzo vittoriano, genere borghese per eccellenza.
La teoria darwiniana dell’evoluzione aveva già fatto sorgere diffuse ansie sulla natura dell’uomo, le sue origini e il suo futuro, presentando l’essere umano come ultimo anello in una catena di cambiamenti accidentali. Nel corso del secolo diciannovesimo e nei primi decenni del Novecento altri fattori contribuiscono a minare la fiducia nell’esistenza di una verità universale ed oggettiva. La realtà appare frammentaria e sfaccettata e il punto di vista degli scrittori si sposta dal mondo esterno a quello interiore attraverso il rifiuto di narratore onnisciente, trama e sequenza cronologica degli eventi.
L’opera dello scrittore polacco può essere meglio compresa se non si dimentica la sua origine mitteleuropea – che richiama immediatamente autori come Dostoevskij e Kafka, Mann e Proust – e se la si inserisce nel quadro più ampio del Decadentismo europeo e della ricerca linguistica che da Flaubert arriva a Beckett attraverso Joyce e Virginia Woolf.
Le opere di Conrad appartengono al Novecento soprattutto per l’uso problematico del romanzo, per la scoperta dell’essenziale ambiguità dell’opera letteraria e del fallimento del linguaggio di fronte alla complessità e alla elusività del reale.
Cuore di Tenebra costituisce, dall’inizio alla fine, una sfida all’idea che esista un significato unico e che l’atto di comunicazione linguistica sia affidabile.
Il primo narratore in Cuore di Tenebra afferma:
“Il significato di un episodio non si trovava all’interno del guscio, come il gheriglio ma all’esterno, e avvolgeva il racconto che lo faceva sbocciare come un’ incandescenza mette in risalto la foschia, come talvolta avviene per qualche vago alone reso visibile dall’illuminazione spettrale della luna”.
In questa affermazione (il significato di un’opera letteraria non è nel contenuto ma nell’alone di luce che lo scrittore riesce a gettare su una realtà che è per sua natura oscura) è racchiusa la sostanza della poetica conradiana: essa consiste non tanto nel dire quanto nel mostrare, cioè in un uso della parola non descrittivo o enunciativo, ma in grado di evocare atmosfere, personaggi, situazioni e stati d’animo, suggerendone la componente misteriosa e inafferrabile. Il linguaggio di Conrad scandaglia, oltre i limiti dell’apparenza, significati più profondi, facendo emergere il lato oscuro e nascosto della parola.
Nel rifiuto di ogni esito ottimistico e conciliante, di una struttura organica e risolutiva, Conrad prepara il terreno per la generazione di romanzieri a lui successiva, della cui gratitudine Virginia Woolf si fa portavoce in un saggio famoso del 1919, “Il romanzo moderno”.
Le opere dello scrittore polacco, romanzi o racconti di viaggio, solo apparentemente appartengono al filone “esotico” (già reso popolare da scrittori come R. Kipling e R.L Stevenson), dove prevalgono il tema dell’esplorazione e della scoperta di una terra lontana e misteriosa, gli elementi dell’avventura, del colpo di scena, della suspense, della ricerca dell’insolito e dello strano. Sebbene questi elementi siano presenti nelle opere di Conrad, tuttavia non ne costituiscono il fulcro. I suoi romanzi sono storie di anime in situazioni ai limiti dell’assurdo, di fronte a eventi imprevisti di pericolo e isolamento (il microcosmo della nave o la giungla africana o le lande desolate dell’America del Sud, o l’arcipelago malese) dove i baluardi del mondo civile vengono meno e l’uomo può far leva soltanto su se stesso, rivelando la sua integrità morale o la sua fragilità.
Nell’ universo conradiano quasi nessuno è incorruttibile: non lo è Lord Jim, primo ufficiale inglese su una nave che trasporta pellegrini verso La Mecca, che sembra vivere nell’attesa di compiere un’azione eroica, ma quando il vascello sta per affondare abbandona la nave e si mette in salvo su una scialuppa. Non lo è Nostromo, stimato esule italiano in una repubblica sudamericana, indotto dal risentimento alla corruzione e alla distruzione finale. Non lo sono Kayerts e Carlier, i due mediocri funzionari protagonisti del racconto Un Avamposto del progresso. Non lo è, infine, Kurtz, il personaggio di Cuore di Tenebra che parte per l’Africa animato da nobili ideali e scopre, nella tenebra della giungla, la tenebra che è in lui, che la civiltà non è che una maschera ipocrita dietro la quale si cela l’avidità di bestie rapaci. Quasi tutti i personaggi di Conrad sono perseguitati da un profondo senso di colpa e animati da un inconscio desiderio di espiazione.
Nessuno forse come lo scrittore polacco è riuscito a comunicare il senso di vuoto e di sgomento che l’uomo occidentale, nell’ultimo decennio dell’Ottocento (in un periodo di grande espansione coloniale), deve aver provato di fronte alle wilderness – la natura selvaggia e incontaminata dell’Africa – quando compagnie commerciali provenienti da tutti i paesi europei sfruttano il Continente Nero per impadronirsi delle sue ricchezze.
Conrad è uno dei primi autori che offre una visione critica del colonialismo, a partire dai suoi scritti sull’Africa.
Un Avamposto del progresso, pubblicato per la prima volta nel 1897, è la prima opera narrativa attraverso cui Conrad ripercorre le esperienze da lui realmente vissute in Congo. In questo testo breve ma estremamente efficace, l’autore racconta un tratto di vita all’interno di uno scalo commerciale, una piccola stazione periferica sperduta nel mezzo della giungla, che una grande compagnia belga ha posto a tutela dei suoi traffici d’avorio nel continente africano.
I due agenti assegnati alla stazione, Kayerts e Carlier,sono stati accompagnati a quella località con un battello fluviale che dovrebbe tornare a riprenderli dopo sei mesi. Nella stazione il lavoro organizzativo e amministrativo viene svolto da un africano della Sierra Leone soprannominato Makola. Episodio cruciale è quello in cui Makola, in cambio di avorio, vende come schiavi a una banda di mercanti africani i dipendenti neri addetti alla sorveglianza della stazione. Kayerts e Carlier restano sconvolti e scandalizzati quando capiscono cosa è accaduto; ma alla fine accettano i benefici derivanti dall’affare e decidono di collaborare con Makola, diventando suoi complici. Sentono però di avere perduto “una difesa interna, qualcosa che fino a quel momento li aveva protetti impedendo a ciò che avevano intorno di entrargli dentro nel profondo”.
Tra i due uomini, condannati alla solitudine a abbrutiti dalle privazioni, scoppia infine un grottesco e insensato litigio durante il quale Kayerts uccide Carlier. Quando il vapore giunge con due mesi di ritardo per riportarli a casa, Kayerts viene trovato impiccato a una croce.
Il racconto è una feroce satira dell’imperialismo e della sua retorica propagandistica basata sui principi del “white man’s burden” e della “civilizing mission” (il compito dell’uomo bianco e la sua missione civilizzatrice).
” Per giorni e giorni i due pionieri del commercio e del progresso guardarono lo spiazzo vuoto nella luce tremula del sole a picco”: l’ironia nasce dal contrasto tra come Kayerts e Carlier vedono se stessi e quello che realmente sono, due uomini inetti in una stazione inutile, ma soprattutto tra la parola “progresso” e la sua applicazione pratica. L’assurdità della vicenda è in forte antitesi con le gratificanti letture di articoli che proclamano “l’aura sacrale connaturata alla civilizzazione, le smisurate virtù di quanti si dedicavano a portare la luce, la fede e il commercio nelle aree di tenebra della terra”. Come nel successivo Cuore di Tenebra Conrad denuncia non solo il commercio di schiavi ma anche il dislocamento dei nativi che era alla base dell’operazione coloniale in Africa: i dieci braccianti neri della stazione provengono da una tribù lontana, non conoscono la lingua del luogo e, sebbene ingaggiati per sei mesi, “seguivano la causa del progresso da quasi due anni”. Sono descritti come infelici e malati, lontani da famiglia, amici, cibo abituale. Nella loro ottusità Kayerts e Carlier non riescono neppure a percepire la bellezza delle persone e della natura potente e misteriosa che li circonda. Nella sua precisione e mancanza di scrupoli Makola anticipa il contabile di Cuore di Tenebra: entrambi sono al servizio di un offuscamento della verità necessario a perpetrare la rapina nel continente africano. Kayerts e Carlier, i due “pionieri del commercio e del progresso” preferiscono la finzione fornita loro da Makola alla realtà dei fatti, la menzogna alla verità., la complicità alla denuncia.
Se Un Avamposto critica essenzialmente l’imperialismo belga, in Cuore di Tenebra lo scetticismo di Conrad assume dimensioni più vaste.
Nel Diario del Congo (scritto nel 1890 durante l’avventura africana) e nel successivo Cuore di tenebra (pubblicato in Inghilterra nel 1902 e per la prima volta in Italia nel 1924), Conrad descrive il suo viaggio all’interno del Congo come capitano di un vaporetto incaricato di compiere una missione per una compagnia belga. Rivelerà la crudeltà, la violenza e l’avidità del colonizzatore bianco, che maschera la sua brama di potere dietro ipocrite giustificazioni ideologiche.
Nel romanzo il compito di Marlow (alter ego dell’autore, protagonista e narratore)è quello di trovare e di ricondurre alla stazione centrale Kurtz, l’agente di una compagnia belga che, penetrato sempre più in profondità nella giungla, sta razziando quantità incredibili d’avorio e, con i suoi metodi arbitrari, costituisce una minaccia per la compagnia stessa. Corrono voci che Kurtz si sia abbandonato a ogni genere di eccessi, a “riti innominabili”, e che sia adorato dai nativi come un dio. Quando Marlow giunge a destinazione Kurtz è gravemente malato. Morirà sul vaporetto durante la via del ritorno.
Nella sua opera lo scrittore fonde elementi biografici e influssi letterari. Il trattamento satirico del colonialismo (già presente, in modo quasi profetico, nel dramma La Tempesta di Shakespeare) aveva illustri precedenti in opere come I viaggi di Gulliver di Swift, il Candide di Voltaire e il Don Juan di Byron, mentre il personaggio carismatico di Kurtz discende dal Satana di Milton e dagli eroi ribelli, affascinanti e corrotti, del romanzo gotico. Kurtz è un Faust moderno, che vende l’anima al potere e alla gratificazione personale.
L’avventura descritta nel romanzo comincia al ritorno di Conrad a Londra dopo un lungo periodo di viaggi in Oriente.
L’inglese Henry Morton Stanley aveva condotto nell’Africa centrale ardite esplorazioni risalendo il corso del fiume Congo e rivelato le immense possibilità di sfruttamento delle risorse di quella regione, dando il via a una massiccia penetrazione europea, in particolare belga.
Al tempo del viaggio di Conrad, il Congo era in pratica divenuto una proprietà privata di Leopoldo II del Belgio, che, dopo aver fondato lo Stato Indipendente del Congo (1885), dichiarando di voler “aprire un varco nelle tenebre”, si era riservato la proprietà di tutte le “terre libere” (le aree non colonizzate del Congo) e i diritti sulle risorse e i prodotti, in particolare l’avorio e il caucciù.
Dietro la nobile facciata ideologica di cristianità e progresso sostenuta da Leopoldo, si celava un sistematico sfruttamento delle risorse e delle popolazioni locali. Un apposito corpo militare costringeva i nativi ai lavori forzati punendo la popolazione con la tortura, la distruzione dei villaggi e la mutilazione. La conquista del Congo si era ben presto dimostrata uno dei più spietati e crudeli capitoli nella storia del colonialismo europeo del diciannovesimo secolo.
Il viaggio di Marlow fornisce a Conrad il pretesto per esporre il proprio punto di vista sulla questione della “civilizzazione europea”. Sebbene l’episodio narrato riguardi soprattutto lo sfruttamento belga (belgi sono infatti la compagnia, le stazioni commerciali, il direttore e i bianchi “pellegrini” che lavorano alle sue dipendenze) tutta l’Europa è chiamata in causa. Lo rivelano alcuni episodi emblematici e personaggi come Kurtz, “il fiore della civiltà europea”; “sua madre era per metà inglese e suo padre per metà francese. L’intera Europa contribuì alla formazione di Kurtz”.
Per il giovane Conrad, che intraprese il viaggio nel cuore del continente nero a soli trentatré anni, fu un’esperienza breve e disastrosa, da cui riportò una seria malattia. Segnò l’inizio di una crisi che lo avrebbe indotto ad abbandonare la navigazione per seguire la vocazione di scrittore.
Attraverso le parole di Marlow, Conrad dirà nel romanzo che l’episodio africano è stato “una specie di illuminazione” per intraprendere un processo di maturità che passa attraverso la caduta delle illusioni riguardo la natura degli uomini e della “civiltà” di cui gli europei si sono fatti portatori. Marlow si rende conto di ciò che nei Last essays Conrad definisce “il più spregevole parapiglia per fare bottino che mai abbia deturpato la storia dell’umana coscienza”.
La parola incubo è una delle più frequenti nel romanzo ed è usata da Marlow per definire la sensazione di inquietudine e di irrealtà che lo accompagna durante il viaggio. Tutti gli elementi del linguaggio contribuiscono a destabilizzare le strutture familiari su cui si fonda la nostra conoscenza, riflettendo la discesa nel mondo disorientante di una nuova psicologia.
La tenebra del titolo si riferisce innanzitutto alla giungla primitiva, alla Natura immobile e silenziosa in cui Marlowpenetra con la sua imbarcazione, il suo piccolo equipaggio di cannibali e il suo carico di passeggeri bianchi.
Ma nel corso della narrazione darkness acquisisce una varietà di significati:
tenebre sono gli abissi di solitudine nell’animo dell’uomo bianco, che “si perde” in un mondo dove non esistono leggi, né regole, né civiltà. Sono le tenebre che si annidano all’interno della “civiltà” stessa, di quel modello che gli europei vorrebbero esportare. Sono le tenebre di un “progresso” che è in realtà vuota e irrazionale macchina di distruzione. La discrepanza tra l’idealistica propaganda dell’imperialismo e la sua realtà di spietato sfruttamento porta il narratore ad affermare che “ la conquista della terra… per lo piùsignifica sottrarla a uomini chehanno una carnagione diversa o nasi più appiattiti dei nostri”.
Cuore di tenebra è un romanzo di luci e di ombre; i colori bianco e nero, dapprima elementi del paesaggio, diventano ambigui simboli che si intrecciano e si scambiano i ruoli in un gioco intricato:
Bruxelles, il centro del potere coloniale in Congo, in cui Marlow inizia il suo viaggio, è “un sepolcro imbiancato”, Londra è avvolta da una tetra foschia, i “portatori di luce” hanno trasformato ciò che sulle carte geografiche era “un vuoto spazio di magico mistero, una macchia bianca su cui un bambino poteva fantasticare” in un “luogo di tenebre”.
Il romanzo è strutturato come una “storia dentro la storia”. La cornice esterna, costituita dallo scenario della foce del Tamigi – dove l’imbarcazione Nellie è ancorata in attesa del riflusso -, fornisce lo spunto per la vera e propria narrazione.
Il primo narratore è l’autore stesso, testimone, insieme a pochi amici, di una vicenda che uno di loro, il marinaio Marlow, improvvisamente inizia a raccontare, spezzando il silenzio sull’imbarcazione e manifestandosi come “voce”:
“E anche questo – disse Marlow all’improvviso – è stato uno dei luoghi tenebrosi della terra”.
Gli eventi e i personaggi di cui parla Marlow, il secondo narratore, si muovono nella cornice interna del romanzo.
La narrazione è doppiamente indiretta, poiché Marlow narra eventi che in parte ha vissuto personalmente, in parte udito da altri. La realtà appare così attraverso molteplici punti di vista e frammentata come i pezzi di un puzzle. Conrad rielabora la tecnica sofisticata della narrazione obliqua e del punto di vista multiplo già presente nella tradizione letteraria inglese, dalla Rima dell’antico marinaio di Coleridge, a Cime tempestose di E. Bronte ai romanzi e racconti del contemporaneo H. James.
La storia non procede secondo una scansione temporale cronologica, ma a salti, avanti e indietro, e contiene digressioni, pause, silenzi, vuoti di memoria, flashback, anticipazioni, ritardi. Il
tempo del romanzo è spezzato, proprio come il processo mentale di una persona impegnata a ricostruire attraverso la memoria.
Atipico capitano di mercantili, marinaio- filosofo descritto come un’asceta, un buddah in meditazione, Marlow è la coscienza centrale del romanzo. Egli si interroga sull’esperienza del colonialismo nei suoi effetti privati e sociali e, più in profondità, sul significato della conoscenza e sulla fragilità dei valori che regolano il comportamento umano.
Egli è inoltre la rappresentazione simbolica del momento creativo dello scrittore. Più che narrare, pare riflettere ad alta voce su una vicenda accadutagli alcuni anni prima; riesce a riviverla e a trasmettere a chi lo ascolta e ai lettori la percezione di fatti, oggetti e sentimenti. Allo stesso modo Conrad è impegnato nel “far parlare” la pagina scritta, come egli stesso afferma nella prefazione a The Nigger of the “Narcissus” (1897): “il compito che mi sono assunto con l’ausilio della parola scritta è di farvi udire, farvi sentire, farvi soprattutto vedere”.
Il lettore viene incoraggiato a cercare parallelismi tra le ambientazioni dei due piani narrativi esterno e interno: due fiumi – il Tamigi e il Congo -, due darkness, due wilderness. Pur molto distanti tra loro, nel tempo e nello spazio, i due piani narrativi arrivano in certi momenti a toccarsi fino a sovrapporsi.
Il Tamigi è emblema del dinamismo del mondo occidentale, dell’espansione di idee, della storia, del “grande spirito del passato”; è “luce maestosa di perenni memorie”. Mai nominato esplicitamente, il fiume Congo “immenso serpente srotolato, con la testa nel mare, il corpo in riposo…e la coda perduta nelle profondità del territorio” è, nella sua seduttiva immobilità e nel suo fascino ipnotico, immagine del mondo non civilizzato. Ma nella loro apparente diversità i due fiumi sono simili; entrambi conducono “nel cuore di un’immensa tenebra”: l’Africa non è che lo specchio di una malattia di cui soffre la civiltà occidentale.
Attraverso il filo che lega, all’inizio del romanzo, la conquista romana in Britannia alla colonizzazione in atto nel diciannovesimo secolo, si può leggere una continuità culturale e politica nel rapporto esistente tra “i portatori di civiltà” e “i nuovo mondi”.
Scenari di sfacelo, devastazione e sofferenza, che rappresentano il fallimento della politica coloniale, accompagnano il protagonista sin dall’inizio del suo viaggio in Africa, viaggio nel primitivo della natura e dell’uomo.
La navigazione di Marlow sul fiume Congo è contemporaneamente viaggio di scoperta geografica, itinerario psicologico alle radici della coscienza umana e della volontà di potenza della civiltà europea, percorso mitico di discesa agli inferi e di ritorno alla luce, simile all’Odissea, all’Eneide. alla Divina Commedia; è, infine, viaggio a ritroso in un tempo primordiale (“Risalire quel fiume era come viaggiare a ritroso verso i remoti albori del mondo, quando la vegetazione prosperava tumultuosa sulla terra e i grandi alberi regnavano sovrani. Un corso d’acqua solitario, un silenzio immenso, una foresta impenetrabile”). Penetrando all’interno della giungla, Marlow scopre i suoi istinti atavici, il carattere “non inumano” del primitivo; avverte la tentazione di infrangere ogni principio morale, di spezzare ogni freno, ogni limite, ogni legame con i propri simili, di unirsi alle danze e alle grida che sente giungere dal cuore della giungla. Ma la necessità di continuare il percorso, di evitare i pericoli di banchi e rocce nascosti, di condurre a destinazione i passeggeri, di mantenere a galla “quel barattolo di un vaporetto…simile a uno scarafaggio pigro che striscia sul pavimento di un portico maestoso”,lo trattiene sull’orlo dell’abisso e gli consente di mantenere la dignità di uomo.
Kurtz è uno dei personaggi più sfuggenti ed enigmatici della letteratura inglese. Conrad crea questa figura, carica di elementi di attrazione e di repulsione, ispirandosi a diverse persone e a più vicende umane di cui era venuto a conoscenza. C’erano infatti altri bianchi come Kurtz nell’Africa coloniale di fine secolo: era lo stesso sistema imperialista che creava, utilizzava e distruggeva questo tipo di uomini, agenti al servizio di un potere politico ed economico in cui erano insieme sfruttati e sfruttatori.
Il regista Francis Ford Coppola, che nel 1979 realizza il film Apocalypse Now, sceglierà Marlon Brando per interpretare il personaggio di Kurtz. Nel film Kurtz é un ufficiale americano che ha volontariamente deciso di perdersi nella giungla dell’Indocina; il Vietnam sostituisce il Congo e l’imperialismo americano quello belga. Ma identica è la sensazione di incubo e di orrore evocata da film e romanzo.
Kurtz parte dall’Europa animato da ideali di umanitarismo costruito sul principio che l’europeo deve essere un educatore per le popolazioni colonizzate. Ma nelle tenebre della giungla scopre il potere illimitato che le sue doti di intelligenza e di eloquenza, il carisma della sua personalità raffinata e crudele possono esercitare sui nativi. E soggiacendo al muto fascino delle wilderness cede ai suoi istinti primordiali e soccombe a desideri sfrenati e irrazionali. Già prima di vederlo, Marlow lo conosce attraverso i commenti dei personaggi che incontra, ognuno dei quali ha di lui un’opinione diversa: Kurtz é un artista, uno scrittore, un giornalista, un politico “idealista”, un nobile agente della Compagnia, o al contrario un avido trafficante, uno spietato capotribù, un folle senza scrupoli.
Capire chi è Kurtz significa capire l’essenza del colonialismo europeo. E così il viaggio di Marlow diventa, sostanzialmente, “un viaggio verso Kurtz”, un viaggio verso l’id, verso il doppio freudiano, verso gli istinti primordiali del potere e della gratificazione personale.
Giunto alla inner station dove l’agente si è ritirato nella sua fuga da se stesso e dagli uomini, Marlow scopre che l’attacco al vaporetto giunto dal cuore della giungla è avvenuto per volere di Kurtz, deciso a non tornare nel mondo “civile”, che quelli che appaiono a prima vista elementi ornamentali che circondano l’abitazione dell’uomo sono in realtà teste di indigeni infisse su pali, che l’agente è adorato non solo dai nativi ma anche da bianchi (figura esemplare è l’Arlecchino russo, bizzarro personaggio di adepto dagli abiti variopinti e rattoppati, che accoglie Marlow esclamando:” Quell’uomo ha allargato la mia mente!”).
Vivo soprattutto nella sua assenza e nell’attesa suscitata nel lettore Kurtz è, quando Marlow lo incontra, “un fantasma vibrante d’eloquenza”, “un ‘ombra”, “una voce”. Accarezzata dalle tenebre della giungla, la sua testa calva, simile a “una palla d’avorio”, sembra essersi trasformata nella stessa sostanza per cui l’uomo ha stretto il suo “patto col diavolo”: l’avorio appunto.
In un quadro di sfruttamento esasperato Kurtz concentra sulla sua figura elementi di contraddizione e di tensione. Vivrà nel lettore soprattutto come simbolo della grande menzogna su cui si fonda la colonizzazione europea. Kurtz sogna un impero, e in questo incarna il delirio di onnipotenza della politica coloniale. Le sue parole finali di autocoscienza (“L’Orrore, l’orrore!”) esprimono drammaticamente il riconoscimento del male che si annida nel cuore degli uomini o l’orrore di un universo privo di senso, dove ogni base di giudizio etico e di fiducia umanistica è distrutta.
Anche Marlow non può sottrarsi al fascino della voce di Kurtz, e tuttavia prenderà le distanze dall’uomo. Lo definisce “notevole”, di grande talento, superiore alle meschine comparse che ha incontrato nel suo percorso. Nella sua ambigua grandezza Kurtz non può essere giudicato. E tuttavia con un’espressione che T.S. Eliot farà sua, Marlow lo definisce hollow at the core, “vuotodentro”, incapace di freno morale.
Nonostante l’ affinità con Kurtz, Marlow possiede restraint, autocontrollo, fedeltà a quello che Conrad definisce “il codice di comportamento del marinaio”, cioè senso del dovere, etica del lavoro e solidarietà con i propri simili. Lo salva da pericolosi abissi il suo lavoro pratico e manuale, la necessità di mantenersi aderente alla superficie concreta e tangibile delle cose.
Di ritorno a Bruxelles, camminando in mezzo a “comuni individui che badano agli affari loro certi di essere assolutamente al sicuro”, con “facce piene di stupida importanza”, Marlow si rende conto di essere depositario di una verità che non può essere comunicata, che nel linguaggio della “civiltà” non esistono parole per esprimere “il mistero inconcepibile di un’anima che non conosceva controllo, fede, e neppure paura”.
Sceglierà di mentire alla promessa sposa di Kurtz, che è vissuta nella memoria e nel culto di quel giovane di talento e di nobili ideali. Non le dirà che l’essenza dell’esperienza coloniale è l’orrore, ma invece che Kurtz è morto pronunciando il suo nome.
Sarà, quello di Marlow, un atto di “inconscia lealtà” nei confronti di Kurtz e, insieme di “ironica necessità”. Al desiderio di mantenere intatta nella donna l’illusione che le ha consentito di continuare a vivere, si associa la convinzione che la verità “sarebbe stata una cosa troppo tenebrosa…davvero troppo tenebrosa”.
Parte della modernità di Cuore di Tenebra è nella coscienza dell’inadeguatezza del linguaggio a penetrare la superficie delle cose. a esprimere il senso profondo dell’esperienza, “la sua sottile e penetrante essenza”.
Tuttavia il lettore non può non accorgersi del fondamentale paradosso su cui Conrad ha costruito la sua opera: Cuore di tenebra è un continuo, laborioso ed estenuante tentativo di portare alla luce proprio quella tenebrosa realtà che Marlow afferma costantemente di non volere e non potere comunicare. Se nell’atto finale del romanzo, di fronte alla promessa sposa di Kurtz, il marinaio Marlow sceglie di non raccontare, lo farà invece, più avanti nel tempo, di fronte ai suoi compagni di viaggio sulla Nellie. E il racconto diventa una confessione, un atto liberatorio, un testamento spirituale che dalle tenebre giunge fino a noi, lettori di oggi.
In quasi tutti i suoi romanzi Conrad sviluppa un racconto antitetico alla tesi della supremazia europea. In Lord Jim (1900) lo scrittore fa riferimento a un episodio realmente accaduto nell’agosto 1880, quando gli ufficiali di una nave che portava pellegrini musulmani da Singapore a Jedda abbandonarono la nave durante la tempesta per mettersi in salvo su una scialuppa. Il tradimento di un codice d’onore profondamente sentito contribuì, soprattutto in Inghilterra, a far vacillare il mito della superiorita morale degli europei sui popoli governati che fino a quel momento era stato alla base della colonizzazione.
In Nostromo (1904) Conrad illustra un altro tipo di colonialismo, l’ “imperialismo economico” (sebbene questo termine non fosse ancora noto allo scrittore), mostrando il potere corruttore del denaro inglese e americano in un immaginario Paese del Sudamerica.
La varietà di esperienze umane presenti nei romanzi e racconti di Conrad spazia da personaggi come Kurtz, Lord Jim, Nostromo, che affascinano per l’alone romantico ed eroico, a personaggi di giovani inesperti che attraverso il comando di una nave passano dall’innocenza all’esperienza, dalla giovinezza all’età matura (La linea d’ombra, Giovinezza, Il compagno segreto); a personaggi di “diversi” che, suscitando sentimenti opposti nella ciurma, mettono in crisi la navigazione (The Nigger of the Narcissus); o infine a personaggi prosaici ed antieroici come il capitano Mc Whirr di Tifone. Proprio grazie alla sua natura di uomo mediocre e del tutto privo di immaginazione, questo capitano-gentiluomo dai tipici tratti inglesi riesce a portare in salvo la nave attraverso una tempesta “demoniaca” nei mari della Malesia. Come Marlow è animato da profondo senso del dovere, autocontrollo, disciplina, rigore. E come Marlow è destinato a non essere compreso nel mondo civile.
L’influsso letterario di Conrad fu riconosciuto da scrittori anche molto diversi da lui come Graham Greene e T.S. Eliot. Esercitò inoltre un’influenza dominante sulla generazione di romanzieri americani che annovera F. Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway e William Faulkner. Le opere di Conrad esercitarono notevole influsso anche su scrittori africani stimolando, secondo il romanziere guanese Wilson Harris, un processo liberatorio di “decolonizzazione della mente”. Italo Calvino, che su Conrad scrisse la tesi di laurea, ammira “l’umanesimo ateo” dello scrittore che “resistein punta di piedi come McWhirr in mezzo al tifone”. Conrad è, sempre secondo Calvino, uno scrittore “per cui l’avventura serve a dire cose nuove degli uomini, e le vicende e i paesi straordinari servono a segnare con più evidenza il loro rapporto con il mondo”. Conrad porta nelle sue opere “il senso di una integrazione nel mondo conquistata nella vita pratica, il sensodell’uomo che si realizza nelle cose che fa, nella morale implicita nel suo lavoro, l’ideale di saper essere all’altezza della situazione, sulla coperta dei velieri come sulla pagina”.