Quando si parla di criminalità minorile, ci si riferisce prevalentemente all’insieme dei  fatti che costituiscono la fattispecie di  reato posti in essere da soggetti la cui età  varia in una fascia dai quattordici ai diciotto anni. Questo fenomeno può esplicarsi in svariate modalità, comprendendo disparati modus operandi e soggetti anche molto diversi tra loro per caratteristiche. Oltre alle forme di devianza da parte di singoli autori, ritroviamo sempre più spesso forme di devianza di gruppo, ma anche, e sempre di più, l’utilizzo di strumenti informatici. La devianza si compone  di tre elementi principali:

  • La norma
  • Il soggetto che devia dalla norma
  • Coloro che giudicano in base alla norma.

         A sua volta la norma

  • Può essere esplicita o implicita
  • Può far parte del sistema legislativo
  • Può rappresentare solo una convenzione informale.

        Pertanto nella devianza, specie minorile, abbiamo due aree:

  • L’area della devianza (non criminale): prospettiva educativo/preventiva (come nei minori che si comportano male a scuola senza commettere reati)
  • L’area criminale: prospettiva di recupero processuale.

La devianza e la criminalità hanno dei fattori predittivi. Per Farrington, la carriera criminale è intesa quale esito di comportamenti antisociali appresi nell’infanzia (ad  es. bullismo) e successivamente nell’età adulta (ad  es. Violenza). Risulta che molti delinquenti presentano fin dalla prima adolescenza e dai primi anni scolastici una serie di  atteggiamenti antisociali quali la disonestà, la  menzogna, l’aggressività, il bullismo, fino all’uso di  droga nella piena o tarda adolescenza. La trasformazione del gruppo dei pari in gruppo deviante è però molto labile, e non sempre però la trasgressione e la contestazione si orientano in modo creativo, talvolta prendono strade distruttive, come nel caso di certe forme di contestazione che sconfinano nella violenza e nel teppismo o nel caso dell’              uso e abuso di sostanze tossiche             (fumo, alcool, droghe). La trasgressività è una caratteristica universale  dell’adolescenza, età in cui il rapporto con le regole educative e sociali viene rivisto e, di norma, messo in discussione: per questo è difficile capire fino a che punto può essere considerata espressione di un desiderio di crescita e di maggiore autonomia e quando, invece, è segnale di un disagio individuale, familiare o sociale. Il comportamento antisociale costituisce, in genere, un  episodio transitorio ma in alcuni casi esso può rappresentare la prima fase di un processo, il cui esito è la stabilizzazione della devianza. A volte con l’atto violento si raggiunge lo scopo di cementare un gruppo troppo povero di interscambi relazionali e che, grazie alla negatività emotiva che riesce ad acquisire dall’esterno, si riconosce e si unisce affettivamente. Spesso gli adolescenti, addirittura i bambini, fanno uso di droghe. Va notato che alcune sostanze capaci di modificare il nostro stato mentale, tossiche per l’organismo, vengono accettate dalla società: il tabacco, l’alcol e gli psicofarmaci in primo luogo. Ogni cultura riconosce le proprie droghe “legali”, stigmatizzando l’assunzione di altre. Il fatto che l’uso di determinate sostanze sia legalizzato permette di procurarsele senza ricorrere a comportamenti “criminali“. Quasi un adolescente su due, il 42% dei ragazzi tra i 14 e i 19 anni, ha fatto uso di droghe: nella stragrande maggioranza dei casi, il 90%, si tratta di marijuana ma non mancano quelli che hanno già provato la cocaina, con un 20% dei quattordicenni che ha ammesso di aver sniffato nell’ultimo mese. L’età in cui ci si fa la prima ‘canna’ o la prima ‘pippata’ si abbassa costantemente e per il 12% è 14 anni. Diventare “grandi” è sempre stato piuttosto complicato e traumatico. La droga può costituire anche una apparentemente comoda via di fuga dalle responsabilità del mondo adulto, un ingannevole alibi per ritardare le scelte, le fatiche, gli impegni (ma anche le soddisfazioni), che l’esistenza di ogni adulto comporta. Inoltre l’abuso di droga rappresenta talvolta una  delle forme, oscura, contorta e sbagliata, in cui  si manifesta il conflitto generazionale, la rivolta  contro il mondo dei valori abbracciati dai 

genitori. Una rivolta sterile e autodistruttiva, cui possono  indulgere adolescenti altrimenti intelligenti e sensibili. Non ultimo esiste un business, gestito dalla  criminalità organizzata, che preme per indurre certi comportamenti, perché con la droga  realizza ingenti profitti. Il bullismo è il fenomeno della violenza tra pari. Possiamo dire di assistere ad una relazione di questo tipo se:

  • avvengono prepotenze               intenzionali di tipo verbale, psicologico, fisico o elettronico;
  • queste prepotenze non sono occasionali bensì  reiterate nel tempo e riguardano sempre tra gli stessi  soggetti;
  • tra i protagonisti esiste uno squilibrio di forze tale per  cui chi è oggetto di prevaricazioni è più debole e non è  in grado di difendersi da solo.

Non tutti i comportamenti sopra le righe sono “bullismo”. Facciamo qualche esempio. Se due ragazzi si prendono in giro vicendevolmente, ridono e si divertono insieme, quello che fanno non è bullismo, è uno scherzo e un gioco. Se due ragazze discutono perché rivali in amore, o se due ragazzi fanno la lotta perché hanno litigato, tra loro c’è un conflitto che può anche diventare violenza ma non è  bullismo, perché non si ripete nel tempo e non c’è uno  squilibrio di forze evidente tra i due contendenti. Se alcuni ragazzi entrano di notte nella loro scuola, la  allagano, la danneggiano o portano via delle cose, non  stanno facendo bullismo. Si chiama vandalismo, e si rivolge alle cose. Se però un alunno viene preso in giro ogni giorno, per tanti giorni, con lo stesso nomignolo assurdo, o sottolineando costantemente una sua difficoltà o un suo difetto, e quel ragazzo sta male per questo ma non è capace di difendersi, allora sì, quella che abbiamo di fronte è una situazione di bullismo. Il bullismo non è un problema portato da un ragazzo o una ragazza difficili da contenere. Non è neppure la difficoltà di una persona debole che “non sa farsi rispettare”. Il bullismo riguarda un gruppo e come tale deve essere considerato. Il riferimento al gruppo è importante per almeno due buoni motivi:

  • chi agisce o riceve prepotenze può essere un singolo ma più spesso è un gruppo di persone, ma soprattutto
  • queste dinamiche si affermano all’interno di un gruppo che comprende, oltre ai bulli e alle vittime, anche un buon numero di persone che apparentemente non sono direttamente coinvolte ma sanno quello che sta succedendo e possono prendere posizione.

Il bullismo è più frequente dove i bambini o i ragazzi stanno insieme senza scegliersi, come in una classe, su un mezzo di trasporto casa      – scuola o in altre situazioni simili. In casi come questi i ragazzi non sono ancora un gruppo, possono diventarlo. Le maggiori potenzialità sono nelle mani degli insegnanti. Solo loro vedono il gruppo tutto insieme e trasmettono al gruppo dei messaggi, anche involontari, su come si sta insieme. In genere sappiamo che i ragazzi prepotenti possono venire da famiglie :

  • autoritarie fino ad essere violente, ragazzi che assistono o subiscono violenza fin dall’infanzia, ne imparano il linguaggio e lo ripropongono a scuola, nei rapporti con gli altri;
  • all’opposto, troppo lassiste, non in grado di porre limiti e regole necessari per crescere, famiglie dove non vi è differenza di ruoli tra adulti e ragazzi e dove i figli diventano provocatori ed eccessivi perché non sanno stare entro le regole, o perché hanno bisogno di metterle alla prova;
  • sostenitrici, cioè genitori che appoggiano i figli qualsiasi cosa facciano e per i quali è motivo d’orgoglio avere un figlio o una figlia furbi, forti e capaci di affermarsi sugli altri e contro gli altri.

La ricerca ha osservato che le famiglie delle vittime  sono in molti casi nuclei molto coesi, fortemente  affettivi e iperprotettivi. Famiglie nelle quali si cerca  per quanto è possibile di risparmiare ai figli il confronto  diretto con situazioni di conflitto. Inevitabilmente con la  crescita queste occasioni si presentano, bussano alla  porta. È decisivo come i genitori riescono ad essere di  aiuto ai figli senza sostituirsi a loro. Il delicato equilibrio tra aiutare e rendere autonomi i  ragazzi va cercato anche in rapporto all’età        dei ragazzi. Ma questo attiene al “cosa fare se il proprio  figlio o figlia subisce prepotenze”. Sembra il punto più importante. Invece il primo passo è “come essere  presente”, incominciando dall’ascolto. Ci sono aspetti del tutto personali che avvicinano una persona ad  un ruolo di bullo, vittima, astante, difensore, sostenitore del  bullo. La capacità empatica, di cui i prepotenti sono generalmente  poco provvisti. La consapevolezza dei propri atti subiti e agiti, perché ci sono  bulli che negano le loro azioni ma anche vittime che cercano un  adattamento e sono disposte a difendere i prepotenti pur di non  sentirsi nella parte del più debole e non temere ulteriori  ritorsioni. L’autostima e il senso di autoefficacia, che concorrono a dare  forza alle persone, a stabilire in loro un atteggiamento  equilibrato nel riconoscere i propri bisogni e nel saperli esporre  in modo assertivo, ciò senza per questo aggredire o  misconoscere gli altri.  Una tipologia di gruppo deviante è la banda giovanile, entrata nell’immaginario  collettivo grazie ai numerosi film holliwoodiani che, narrando le storie dei ragazzi di strada delle grandi città americane, violenti e ribelli con i loro giubbotti in pelle e i capelli imbrillantinati, hanno influenzato, in modi diversi, l’atteggiamento e il modo di vestire dei  ragazzi di mezzo mondo. La gang si differenzia da altri tipi di gruppi giovanili perché, a differenza di questi ultimi, è guidata da un leader, ha una ben definita gerarchia interna, controlla un territorio, che generalmente coincide con il quartiere dove la banda ha avuto origine, è stabile nel tempo ed, infine, è frequentemente coinvolta in comportamenti delinquenziali e in scontri, anche piuttosto cruenti, con le gang rivali. Nelle bande è molto sentita l’appartenenza al  gruppo e tra i membri vi è una forte coesione interna. Ci sono regole precise che tutti sono tenuti a rispettare e chi infrange tali norme viene severamente punito. Ciascuna gang, inoltre, si distingue dalle altre adottando un nome e altri simboli d’identificazione come un dato modo di  comunicare, fatto di parole in codice, e un particolare modo di vestire. Il “branco” è quell’insieme di minori che sembra non avere la capacità di ragionare prima di agire ovvero un filo interno che leghi il pensiero all’azione, il gesto alle emozioni e alle conseguenze. Ed è così spesso ma non perché essi siano mostri, quanto perché l’organizzazione mentale e psichica dei ragazzi in adolescenza è confusa, ancora poco articolata. Il branco è sempre esisati9to, ma oggi i ragazzi commettono piccole violenze o vandalismi per cercare visibilità tramite i mass media e i social. Si parla di baby gang per fenomeni criminosi a metà strada tra le bande vere e proprie e il branco (la commistione di gang e branco deriva spesso dalla età poco avanzata degli appartenenti). Esiste un tipo di baby gang criminale (microcriminalità) e un tipo spiccatamente camorristico. Queste ultime risentono dell’Effetto Gomorra. Senza citare esplicitamente la  serie, il Primo Dirigente  dell’Ufficio Prevenzione  Generale della Questura di  Napoli Michele Spina dice che  quelli delle nuove leve criminali sono “atteggiamenti  spesso copiati dagli eroi negativi di alcuni film o di alcune produzioni tv, che  mostrano la protervia del  giovane camorrista” con pose “molto teatrali, da camorrista cinematografico, più che da vero camorrista — perché il vero camorrista è uno che non ama mostrarsi, vuole rimanere  invisibile per gestire meglio i  suoi affari”. L’espressione effetto Werther nasce e si riferisce al fenomeno per cui la notizia di un suicidio pubblicata dai media e provoca nella società una catena di altri suicidi. Famoso l’incremento del 40% di suicidi a Los Angeles nel mese successivo alla morte di Marylin Monroe. Il concetto può essere ampliato a tutti i fenomeni di emulazione, per identificazione con il personaggio in questione. Le baby gang ruotano attorno al meccanismo della deresponsabilizzazione e dell’effetto branco, ciò che si fa nel gruppo fa sentire meno colpevoli gli autori, non lo si farebbe mai da soli. Si arriva così a sviluppare una sorta di identità gruppale che funziona in maniera differente rispetto a quella individuale. Le caratteristiche delle baby gang sono queste:

  • Il rifiuto o l’abbandono scolastico e il disadattamento di tipo sociale con la conseguenza del rifiuto di regole della convivenza collettiva.
  • L’aggressività nei confronti di adulti e coetanei e la mitizzazione di
  • icone/immagini improprie.
  • Desiderio di onnipotenza, controllo e riconoscimento.
  • Il consumo di alcool e sostanze stupefacenti con improvvisi cambi di look, ad esempio, possono rendere ancora più chiaro uno spirito di coesione interna, necessaria per “l’appartenenza”.
  • Sono ragazzi che hanno perso il contatto con i princìpi sociali e con la regolazione emotiva. L’“acting out”, cioè l’agire impulsivo e con rabbia, ad esempio, a un ipotetico commento, può essere determinante per scoppi d’ira, e mirano a una veloce ricerca di “vendetta” che non permette dialogo o confronto.
  • Il tipo di contesto di vita non permette l’assimilazione di determinati limiti al proprio comportamento.
  • Lo spirito di coesione rappresenta, poi, ciò che facilita il contrasto con l’esterno e spinge alla delinquenza.
  • Questi comportamenti nascono non solo da trascorsi di infanzia deprivata, con storie segnate da abusi e incuria del sistema familiare, ma anche nelle situazioni dei cosiddetti “figli di buona famiglia”, cresciuti nell’agio economico e vissuti in famiglie iperprotettive, e che possono rendersi protagonisti di inclinazioni antisociali.
  • Il punto in comune è la mancanza di una guida adulta che riesca ad indirizzare e orientare il cammino di crescita sulla base della consapevolezza.
  • L’altro, per loro, non rappresenta un’eventuale componente accrescitiva. Mette invece in pericolo la debole ed insicura personalità del singolo. Va quindi attaccato subito.

Oltre alle baby gang che operano microcriminalità (bullismo, cyberbullismo, estorsioni a coetanei, e così via) e baby gang camorristiche, esistono in Italia anche gang giovanili tipiche dell’America, quindi altamente pericolose, sono le latinos gang. In Europa, secondo l’Eurogang Program of Research (2015), sono attive oltre 50 gang nelle principali città, a seguito dei flussi migratori da paesi arabi (in Olanda, Belgio, Germania e Francia, ma anche Danimarca, Gran Bretagna e in tutta la Scandinavia, particolarmente in Svezia) e sudamericani (soprattutto Spagna e Italia). Sono le seconde generazioni ad alimentare le gang. Tra le sigle i Latin Kings, i Crisps e i Bloods. Questa particolare forma di criminalità giovanile si caratterizza per:

  • Famiglie numerose, abbandono scolastico, povertà…vero, ma non funzionano sempre. In altri casi infatti i membri provengono da famiglie di buon livello economico, inserite socialmente, non violente…cos’è successo?
  • È successo che i ragazzi di seconda generazione si trovano a mezza strada tra il conformarsi ai valori tradizionali e l’adeguarsi alla civiltà occidentale e si perdono in questo contrasto, finendo col trovarsi occidentali e dunque fuori dalla famiglia, ma anche in contrasto con l’occidente perché sono sudamericani.
  • Immigrazione ed emarginazione.
  • Ricerca di una identità rispetto al gruppo di provenienza e rispetto alla società ospitante. Desiderio di inclusione e lotta contro l’esclusione.
  • Qual è l’identità di un sudamericano di seconda generazione?
  • La sua o la nostra?
  • Uso espressivo della violenza: serve ad esprimere la ribellione contro la società che esclude i nuovi arrivati, ma anche ad avere identità, a non essere più invisibile per noi.
  • Lo stigma si trasforma in caratteristica emblematica, insomma.

La MS-13 nasce negli anni Ottanta, a Los Angeles, da un gruppo di salvadoregni che volevano difendersi da altre bande di afroamericani e messicani. A Milano arrivano nel 2006 e il loro quartier generale diventa Piazzale Maciachini. La parola ’Mara’ significa ‘gruppo’, mentre ‘Salvatrucha’ è una parola composta da ‘Salva’ che significa ‘El Salvador’ ed ‘Etrucha‘ che, nel gergo latinos, significa: furbo, dritto. Un’altra ipotesi è che la parola Mara sia un’abbreviazione di marabunta, cioè un tipo di formica molto feroce che divora tutto ciò che trova sul suo passaggio. Salvatrucha potrebbe anche derivare da ’salvatrucho’, che indica un giovane combattente salvadoregno.  Il 13 potrebbe essere un richiamo alla prima lettera del nome della gang, la M. Oppure più probabile, può riferirsi alla 13th Street di Los Angeles in cui è nata la MS-13. I colori delle bandane indossate sono il bianco e l’azzurro come la bandiera di El Salvador. I mareros – gli appartenenti alla MS-13 – vestono in stile cholo, cioè con magliette e pantaloni una taglia più larga. I capelli solitamente rasati, pizzetto curato, catene argentate o dorate al collo. Fondamentali però sono i tatuaggi che li ricoprono dalla testa ai piedi, compresa la faccia. I tatuaggi devono comprendere le lettere MS e il numero 13 scritti in caratteri gotici, le lettere SUR che significano sureño o meridionale. I membri di MS13 si tatuano la sigla della gang nella parte interna del labbro, i Latin King si disegnano il corpo con le corone, i Barrio con il numero 18. Il motto è: ‘Muore uno muoiono tutti’. La prima regola è: ‘Una volta entrato nella Ms13 non puoi più uscire’. ‘Non si può mentire al capo’, è il secondo comandamento. Poi ancora ‘Devi fare il tatuaggio della gang’, e di solito il primo deve rappresentare la stessa sigla della banda – MS13 – all’interno del labbro inferiore. E così via, fino all’ultima ma non meno importante: ‘Se vieni arrestato, non puoi fare rivelazioni alla polizia’. Inizialmente l’ingresso nella gang era permesso ai soli salvadoregni, ma successivamente si è esteso ad altri latino-americani, in particolare dall’Honduras e dal Guatemala. L’ingresso nella MS-13 comporta prove durissime che vanno da un violento pestaggio per i ragazzi allo stupro di gruppo per le ragazze. Secondo l’Fbi MS-13 è la più pericolosa banda di strada, con oltre 50.000 adepti nel Centro-America, 10.000 negli USA e più di 100.000 in tutto il mondo. Passano il loro tempo a fare allenamenti fisici cruenti e combattimenti. Ascoltano hip hop, raggaeton, perreo, organizzano feste e tendenzialmente fanno uso di alcol e droghe. Non conoscono la paura, non hanno fondamentalmente niente da perdere. L’unico scopo che hanno sono le attività illecite, il controllo del territorio, abbattere il nemico. I latinos si identificano con il gruppo, che dà forza per spingersi oltre. Le baby gang cinesi sono diffuse soprattutto a Milano, Brescia, Torino e Prato. Sono formate da pochi elementi (10-15) e la struttura verticistica non contempla il riconoscimento di «valore» a chi è relegato alla base della piramide. Dispongono di enormi risorse finanziarie, che consentono la «colonizzazione» di interi quartieri grazie all’acquisto di unità abitative e attività commerciali a prezzi «fuori mercato». Oltre al processo penale vero e proprio – mediante leggi che in Italia e in molte altre nazioni sono radicalmente diverse da quelle per l’adulto, in quanto il minore va rieducato con norme apposite vista la diversità dai grandi – esiste anche la mediazione penale.  Secondo le indicazioni del X Congresso delle Nazioni Unite in tema di Prevention of Crime and Treatment of Offenders (Vienna, 10-17 aprile 2000) è stato proposto il  modello teorico di McCold, che prevede un processo informale in cui autore e vittima di un reato, sotto la guida di un mediatore, discutono del fatto criminoso dei suoi effetti sulla vita e sulle relazioni sociali della vittima. Le finalità della mediazione penale sono:

  • Responsabilizzazione del minore reo (che cosa significa il reato per me, per la vittima, per la comunità e cosa posso fare dopo il reato)
  • Restituzione del ruolo alla vittima attraverso l’offerta di uno spazio di ascolto, il recupero del suo punto di vista e la possibilità di esprimere richieste
  • Il passaggio da un modello di giustizia retributiva a quello di una giustizia riparativa.