Si comprende il desiderio di sopravvivere da parte di questo governo. Freud sosteneva che paura e desiderio sono più che non il rovescio della stessa medaglia, nel senso che la paura di una sconfitta può nascondere un non confessato delirio di impotenza. In questo caso la paura è più forte del desiderio e l’avventura si chiude più o meno malamente. C’è in tutti noi una qualche vocazione al suicidio, se è vero che l’insuccesso è una forma di suicidio morale, di cui si è responsabili soprattutto quando si porgono le spalle a pesi che i fatti dimostrano essere eccessivi per chi deve sopportarli. Allora si scopre il dramma delle occasioni perdute. A questo punto, e di regola senza saperlo, si rischia la deriva.

Io ho un parere che si basa più su impressioni che non su dati di fatto, che non esludo però che possano emergere nel tempo. La mia impressione è che l’attuale governo italiano stia commettendo diversi errori, tali da renderlo impopolare. La coperta è corta, direi cortissima, e quel che si spende sembra andare nella direzione di far stare in piedi prima di ogni cosa la compagine governativa. Questo, a tratti, pare ormai l’obiettivo prioritario a cui guarda la politica perseguit dal governo Meloni.

Si risparmia sui servizi da erogare e si promettono denari in busta paga, dove i servizi sono più preziosi dei soldi che si spendono in tempi in cui risparmiare è diventato per molti un sogno proibito. Essere cittadini e avere coscienza civica non significa piegarsi necessariamente alla logica del consumismo per salvare un’economia che non funziona. Un’economia che si sospetta ormai da tempo essere inadeguata alle esigenze di un paese come l’Italia, dove, per lunga e mai perduta tradizione, sono paradossalmente trainanti la piccola proprietà e le piccole-medie imprese. Trainanti anche perché sono le fonti principali da cui si traggono i fondi da impiegare per risolvere i problemi del paese. Tutti i governi infatti investono quanto proviene dalle tasse pagate dai contribuenti, di cui fa parte, oltre alle piccole e medie imprese, anche l’esercito dei dipendenti pubblici. Le grandi imprese godono invece nei fatti di facilitazioni che prima o poi creeranno imbarazzo in chi – governando – chiuderà sui privilegi accordati da questo e da altri governi che l’hanno preceduto, non più un occhio, ma tutt’e due. Mi riferisco al fatto imbarazzante per cui tante aziende godono di sconti paurosi su quanto sarebbe stato da erogare al fisco. Patteggiano. Se la coperta è cortissima, lo dobbiamo ai grandi evasori fiscali, trai i quali figurano campioni dello sport osannati dai tifosi, divi dello spettacolo protetti dalla fama di “artisti” che li circonda e da una macchina della pubblicità che paga il consumatore.

In questo quadro tra un po’ anche il mattone non sarà più bene di rifugio. Si sarà obbligati infatti per legge alla manutenzione dei fabbricati per soccorrere un’edilizia in crisi. Manutenzione che non sarà a discrezione del proprietario, visto che sarà che obbligo di legge di provvedere a “mettere a norma” gli immobili che si possiedono.

Venendo poi alla riforma istituzionale che si propone, l’impressione è che non sia democratica ma populista. Se fosse democratica, non pretenderebbe una continuità della compagine di governo per un periodo di ben cinque anni. Periodo troppo lungo in tempi in cui può accadere di tutto perché gli sviluppi della politica internazionale sono oggi imprevedibili e imprevedibili le ripercussioni che possono avere sul paese. Sicché le elezioni costituirebbero per gli elettori un salto nel buio, una cambiale firmata a chi poi si sentirà autorizzato a camminare per la sua strada, avendo riscosso il credito dell’elettore, che rischia di diventare una parte sempre più esigua dell’elettorato.

Tutto questo dimostra la debolezza intrinseca di questo governo che, invece di adeguarsi alle esigenze del paese, sembra chiedere che il paese si adegui alle esigenze di chi comunque sia al governo.

Anche l’idea di estromettere per sempre dal governo i tecnici lascia perplessi. Penso alla vicenda Draghi che può considerasi l’ultimo statista che l’Italia abbia avuto. La ricca imprenditoria, il made in Italy, l’intellighenzia italiana si sentivano rappresentate da chi, personaggio pubblico di grande notorietà, aveva posto il paese nella condizione di godere di un rispetto prima mai visto. Draghi era riuscito a tessere in poco tempo una rete che prometteva d’essere protettiva per un’economia nazionale in crisi. Aveva insomma trovato un paracadute, cosa per i tempi quasi miracolosa.

Questo, beninteso, non significa che quel governo fosse del tutto esente da critiche, come ogni governo. Significa solo che la svolta da cui è nato il governo Meloni di quel paracadute creato da Draghi ci si è disfatti.

Tornando al punto della debolezza intrinseca all’attuale compagine governativa, i fatti smentiscono quanto esponenti di FdI hanno sostenuto, cioè che gli italiani non siano andati a votare disamorati alla politica per colpa del governo Draghi. Il disamore potrebbe essere nato dalla percezione che non fosse necessario far cessare quel governo, prossimo ormai allo spirare di un mandato che  nuove elezioni avrebbro potuto offrire l’occasione di rinnovare, con qualche cambiamento. Sfiduciarlo significò mettere un’ipoteca su una possibile continuità tra passato e futuro.

Una cosa mi pare certa, che l’essere eletti in Parlamento non basti al giorno d’oggi per avere una patente di statista. Ci sono parlamentari che in passato venivano eletti in quanto procacciatori di voti e già questo fenomeno, pur comprensibile, non era pienamanete coerente con lo spirito della Costituzione. Oggi questi “grandi elettori” preferiscono non apparire, forse perché sono più politicizzati, la politica essendo un’attività che si svolge totalmente fuori del Parlamento. In questo senso mi pare che per più vie, a volte accidentali e casuali, si conquisti un seggio come deputato o come senatore, la politica decidendosi ormai fuori dell’aula di Montecitorio e di Palazzo Madama. Mi pare fosse Montanelli a lamentarsi del fatto che il Parlamento già decenni fa dovesse chiamarsi Leggimento perché pochissimi tra gli eletti erano capaci di parlare a braccio. Si comprende senz’altro l’opportunità di consegnare alla stampa un discorso meditato ma è anche vero che l’improvvisazione, vera o apparente che sia, suscita reazioni favorevoli da parte del pubblico, specie nelle discussioni, dove il richiamo a quanto altri abbiano appena detto, vivacizza non poco un discorso già preparato.   

Ai miei occhi l’Italia di oggi appare come il Regno delle due Sicilie dell’Ottocento, chiuso nei suoi confini e restio a introdurre quelle novità che potessero fare dell’Italia un paese moderno al punto da potersi affacciare al “concento” europeo, come allora si diceva. L’unità d’Italia non fu frutto di un più o meno delirante amor di patria, ma di una lungimiranza politica che centri commerciali e culturali disseminati nel territorio nazionale fecero presto ad acquisire. Si trattava di dar vita a uno stato unitario i cui ministeri ponessero gli italiani nella condizione di trattare affari e scambiare idee col resto dell’Europa, potenziando i mercati locali soffocati dalle barriere doganali interne.

Che sarebbe stato dell’economia italiana se oggi, invece di Piazza Affari, ci fossero borse disseminate sul territorio nazionale che scambiano bajocchi, svanziche, tornesi, carlini, paoli e altre monete ancora con gli euro?

Il sospetto è che l’euro, con tutti i torti che gli si possono attribuire, sia stata una via male imbroccata dagli italiani per un mercato che non fosse solo europeo. 

Tutto questo è importante perché i fatti di oggi sono legati a quelli del passato recente e va pure detto che l’Europa, spazio più geo-cultrale che non geo-politico, risucì a mantenere la leadership del mondo sul piano culturale fino a tutto l’Ottocento. Nel Novecento il delirio di Berlino che la conquista di Parigi potesse dare il la alla conquista del mondo, rivelò come l’unità politica dell’Europa non potesse mai realizzarsi. L’euro, da tanti criticato anche perché “marco travestito” serviva ad avviare un dialogo con i potenti mercati del mondo, quello statunitense, quello russo, quello cinese, operazione che in Italia si è consegnata all’improvvisazione e ai capricci del momento e senza passare per l’Europa. Quanto tutto questo sia dipeso dal gioco delle alleanze militari ed economiche che i singoli stati avevano stabilito con gli U.S.A. è altro discorso che sarebbe comunque da fare. Sta di fatto che da questo isolamento occorreva uscire.  

Venendo infine alla politica, la stranezza della riforma che viene proposta non sta tanto nella pretesa che, essendo basata sull’elezione diretta del capo del governo, essa sia “più democratica”. In realtà questa riforma espone paradossalmente chi la propone, senza al contempo far nulla per sanare l’economia reale del paese, al rischio che gli elettori, a cominciare da quelli che pigramente non si presentano alle urne, si ridestino all’improvviso licenziando malamente un governo che non si capisce bene che cosa rincorra.

La pace sociale, obiettivo a cui mira una politica minimamente saggia, che sia di destra o di sinistra, non si realizza salvaguardando i diritti dei datori di lavoro, che pagando i loro dipendenti, salvano dalla disoccupazione. Quei dipendenti, oltre che lavoratori, sono cittadini che godono di diritti che vanno al di là di una sopravvivenza comunque garantita, magari a breve. Questa è una pace precaria.  

Nell’esigenza di non far sconti a nessuno, aggiungerò che la mia impressione – insisto sul termine volutamente neutro che rende l’accusa velata da un’obiettiva incertezza – è che la classe politica nel suo insieme, da destra a sinistra e da sinistra a destra, senta che il terreno non regge. Al punto che potrebbe avanzarsi l’ipotesi che la sinistra abbia passato la patata bollente alla destra che, avendo ormai una cultura d’opposizione, non sa fare altro che criticare la sinistra, diventata bonaria e accomodante assai più che non in passato. Ricordo che l’ impressione che il Pd volesse uscire dalla scena, per passare dal governo al’opposizione, mi balzò alla mente considerando quanto debole fosse la campagna elettorale condotta da un leader capace come è Pierluigi Bersani. A sorpresa il Pd vinse le elezioni e l’ala destra interna al partito guidata da Renzi finì per prevalere. Per governare era infatti necessario uno slittamento a destra, perché a destra tendeva il continente Europa. Peraltro esistono paesi europei, primo fra tutti il Regno Unito, in cui si può pure parlae di una destra “illuminata” che si sforza d’essere lungimirante. L’impressione è che la destra italiana sia conservatrice per pregiudizio sostanzialmente ideologico. Volendo chiarire il mio pensiero a questo riguardo, preciserò che formalmente il pregiudizio in questione si presenta come anti-ideologico, solo che trattandosi di un anticomunismo quasi viscerale, non tiene conto del fatto che già ai tempi in cui Berlusconi si affacciò alla vita politica, il comunismo si andava trasformando da ideologia in utopia e combattere le utopie, che sono per loro natura progetti difficilmente realizzabili, è un’ingenuità inammissibile.

Con questo non voglio accusare il governo attuale di infantilismo politico. Sarebbe lo stesso che scivolare, da parte di un mediocre osservatore dei fatti politici, su una buccia di banana. L’accusa va semmai al popolo italiano sollecito ad accogliere favole. Sul piano politico resta il fatto che il comunismo può pure essere ridiventato il fantasma che all’epoca di Marx si aggirava per l’Europa. E i fantasmi hanno il difetto di non essere vivi. 

Resta il fatto che la pace sociale è un’obiettivo primario in un paese che voglia essere democratico e va comunque salvaguardata, sia a destra, sia a sinistra.