L’estate in cui compii diciotto anni, nel 1960, fu un’estate torrida, senz’acqua, tale che nessun’altra, poi, gravò così sulla città pietrosa di Polistena. Il 26 giugno l’asfalto sembrava fondere, mescolarsi alla polvere, agli odori di cavallo e di automobili. Eppure io ero felice, nonostante quel cielo plumbeo e intollerabile. Ma forse nella mia memoria confondo il fuoco del cielo, in quell’anno, con la fiamma interiore che mi devastava, la fiamma della giovinezza, dell’emancipazione, della libertà. Ormai avevo raggiunto la maggiore età e in casa non mi sentivo più oggetto di un’inchiesta continua da parte dei miei genitori. “Dove vai? Perché vai? Con chi vai? Là non puoi andare. A che ora farai ritorno a casa? Cerca di rientrare in casa prima delle due — tuonava mio padre dall’alto della sua autorità —”. Quel giorno decisi di festeggiare il mio compleanno insieme con gli amici più cari, circa trenta persone, sulla Costa Viola, in una antichissima cittadina chiamata Scilla. Scilla è un centro rinomato e vivace, affollato nei mesi estivi, con la spiaggia bianchissima di Marina Grande, superata la quale, si entra in un’oasi di pace, la Chianalea, le cui case sorgono sulle rocce scolpite dal tempo e dal vento ed hanno un giardino o un terrazzo affacciato sul mare.

La Chianalea è il paradiso di tutti coloro che amano la natura selvaggia. La vista è stupenda sullo stretto di Messina, e quando il tempo è bello, sulle isole Eolie, che sembrano tanto vicine da potersi toccare con mano. La festa fu organizzata in un ristorante della Chianalea affacciato sul mare, denominato Glauco, molto famoso e rinomato per la sua cucina. Sul terrazzo, sotto il pergolato, furono preparati mini buffet sparsi ovunque, ognuno che caratterizzava un prodotto o una portata, piccoli sandwich con insalatina, pomodoro e alici o con fettine di limone, basilico e bottarga di tonno, o con squisite frittatine o con miele, cacio-cavallo e menta. Mini hamburgher di ricciola e rucola, melanzane arrostite, peperoni infornati spellati e ripieni, mini panini con basilico, capperi, olio, limone e origano. Insalate di stagione: di pomodoro verde e menta, o di fagiolini e patate lesse. Insalata di pasta integrale con mozzarella di bufala, basilico e melanzane marinate. Il piatto forte costituito dagli immancabili spaghetti fatti in mille modi, con pomodorini secchi, capperi e alici, oppure con le vongole veraci o con i frutti di mare, fu servito ai tavoli magnificamente imbanditi per l’occasione. Agli spaghetti fecero seguito i pesci e la carne. Perfetti gelati e granite artigianali conclusero la sontuosa e raffinata cena.

Dalla terrazza, sapientemente illuminata e addobbata, era possibile contemplare uno spettacolo unico al mondo, lo Stretto di Messina illuminato dalle lampare che solcavano le magiche e mitiche acque di quel mare, su cui navigò Ulisse e che si snodava tra Scilla e Cariddi. Fu una festa straordinaria, unica e irripetibile. La prospettiva di un ballo a Villa San Giovanni, nella rotonda sul mare, dopo la cena, rese felici ed euforici tutti i componenti femminili e maschili della comitiva. Le ragazze accettarono l’invito con entusiasmo, a condizione però di rientrare a casa entro le due del mattino. Mentre l’orchestra suonava i pezzi più belli degli anni ’60, i balli si susseguivano senza sosta e gli amori tra le coppie sbocciavano come fulmini in un cielo tempestoso. Alcuni di questi amori erano destinati a durare in eterno e sono vivi ancora oggi, come quello di Vittorio e Graziella, di Enzo e Carmela, di Tony e Mimma.

II concerto durò fino all’alba con la sala interamente occupata. L’uditorio si componeva in massima parte di giovani felici e spensierati che desideravano solamente divertirsi. L’onda della musica passava sulle nostre teste sudate coperte di capelli biondi e scuri,

 dilatandosi in una luce aurea che illuminava l’anima e i pensieri di tutti i partecipanti. Tutti gli spiriti erano trascinati dall’onda irresistibile. L’intensità e la bellezza delle melodie esprimevano un lottare allegro e virile, pieno di vigore, che provocava un bisogno istintivo di amarsi. I gomiti, le mani dei ragazzi e delle ragazze si cercavano e si sfioravano fino a toccarsi e ad avvolgere tutta la persona della dama o del cavaliere, in una stretta infinitamente soave. La voce dei due cantanti, Tony Renis e Mino Reitano, affatto sconosciuti a quell’epoca, aveva un’elevazione di canto così possente, che pareva la voce di una creatura sopraumana la quale effondesse nel ritmo la gioia di una conquista immortale. Quando la musica cessò, lo stesso fremito degli strumenti durò per parecchio tempo nell’uditorio, mescolandosi al profumo di salsedine e di gelsomino che addolciva l’aria, rendendola inebriante.

L’eco di quella festa si propagò nella piccola comunità di Polistena e in tutta la “Piana” di Gioia Tauro fra i conoscenti, gli amici e i parenti tutti che ne parlarono con toni entusiastici ed ammirati per parecchi mesi. Il ricordo di quella festa è rimasto indelebile nella mia mente. Sono passati tanti anni, ci sono state tante altre feste nella mia vita, ma nessuna ha suscitato nel mio cuore e nella mia mente i sentimenti e le emozioni provate in quel fatidico giorno.