Da sempre l’uomo pensa, si pone interrogativi su sé stesso e il mondo che lo circonda. Antichi testi mesopotamici attestano come in quell’antichità le persone si chiedevano il perché del male e della morte. Quindi tutte le grandi civiltà della terra si sono posti degli interrogativi e si sono date delle risposte, in senso ora più filosofico ora più mistico e religioso. Ciò che è sorto in Grecia con Socrate è un tipo di pensiero filosofico molto diverso da quello indiano o da quello cinese. Oggi parliamo di filosofie orientali, in realtà in merito ci sarebbe molto da dire, e le differenze sono più delle somiglianze con l’Occidente. La stessa filosofia occidentale non è qualcosa di univoco, ci sono filosofi molto diversi tra di loro. Ci poi il problema della superiorità o meno di certe tradizioni filosofiche sulle altre. Nel nazismo si pensava che la filosofia ariana fosse la più importante e pura. Si tratta di una prospettiva etnocentrica, per la quale il pensiero di una certa nazione o popolo è superiore alle altre. Ma è veramente così? Con quali criteri possiamo affermare che il pensiero occidentale sia superiore a quello orientale? O viceversa? A noi pare ragionevole dire che con i nostri occhiali non possiamo valutare il modo di pensare altrui, tanto nel singolo quanto in qualcosa di estremamente più complesso come una popolazione o una cultura. Sarebbe come se un gatto valutasse un pipistrello secondo la categoria “cercare topi”. Un pipistrello è inferiore o superiore al gatto per il fatto che non cerca topi? In realtà il gatto e il pipistrello si comportano in maniera diversa, e nessun gatto può valutare ciò che fa il pipistrello in base ai propri criteri di comportamento, e viceversa. Non si tratta di superiorità ma di diversità.
Secondo una certa linea interpretativa, parrebbe ad alcuni che la filosofia occidentale nel suo complesso abbia alcune linee guida, cioè delle grandi cornici di riferimento che hanno da sempre guidato l’elaborazione dei vari pensieri. Una di queste, presente sin dal suo nascere, sarebbe il dubbio.
Oggi si pone molta enfasi sul fatto che i pensatori occidentali si siano ispirati o comunque sia abbiano in qualche modo dialogato con le tradizioni orientali. Eraclito con i veda, testo sacro dell’induismo. Il neoplatonismo con la filosofia indiana, così come pure Schopenhauer. Heidegger con il pensiero Zen.
Ma in genere ci sarebbe comunque una differenza importantissima. Innanzitutto Giorgio Colli è stato il primo storico della filosofia che ha affermato a livello mondiale che i presocratici non erano filosofi. Egli chiamava il loro pensiero Sapienza greca. Inoltre, pare che i presocratici abbiano a volte un modo di procedere simile a quello della scienza moderna, per esempio Democrito è molto vicino agli scienziati dell’Ottocento. Sembra che i presocratici indaghino quindi la natura.
È con Socrate che nascerebbe, secondo molti, la vera e propria filosofia occidentale. Egli prima di tutto passò dall’indagine della natura a quella dell’uomo. E poi Socrate non sembra esprimersi in maniera assoluta, come facevano i presocratici. Per questo Colli osservava che questi pensatori o sapienti greci volevano attingere la verità, invece Socrate cercava di attingerla in tentativi che non finivano mai. Pertanto alcuni storici della filosofia sostengono che la filosofia occidentale nasce con il dubbio. Socrate diceva: “Una sola cosa so: di non sapere”.
Questa prospettiva che abbiamo indicato con qualche battuta è molto opinabile. Innanzitutto perché Socrate non ha lasciato nulla di scritto e oltretutto chi parla di lui lo fa in modo assai divergente. Aristofane presenta un Socrate che finge di sapere ciò che non sa, risulta essere una specie di imbonitore di coloro che vogliono farsi ingannare (ma Aristofane potrebbe falsare appositamente la figura di Socrate per fare della satira). Senofonte immagina un Socrate più banale di quello di Platone, uno dei tanti parolai dell’Atene antica. Aristotele collega Socrate a informazioni importanti e tecniche (è stato lui a ideare il concetto). Solo Platone dà una immagine di Socrate a tutto tondo, non solo, ma gli fa dire molte cose importanti. Pare che nei dialoghi platonici giovanili la figura di Socrate sia più aderente al vero rispetto ai dialoghi più tardi. Ma molti filologi sospettano che il Socrate storico non sia mai esistito.
La filosofia occidentale nata con Socrate sarebbe il frutto di una particolare concezione dell’uomo. Nelle guerre persiane si confrontarono con le armi due concezioni. Per i persiani l’uomo è tale se suddito del sovrano. Invece per i greci l’uomo è tale solo e unicamente se è libero. Per questo le colonie ioniche si ribellarono al predominio persiano. L’idea di libertà è stata una spinta molto forte, che finì con l’incendiare tutta la Grecia contro l’impero persiano fino alla vittoria degli occidentali.
Quindi per i greci i veri uomini solo coloro che sono liberi, gli altri sono “barbari”. Questi ultimi non hanno la parola, invece gli uomini liberi, cioè in definitiva solo i greci, è caratterizzato dall’uso della parola, soprattutto nel suo pubblico utilizzo. E qui c’è un collegamento tra libertà e politica: quest’ultima è una parola che i persiani non avevano. La politica si fa nella città, che è un luogo dove gli uomini liberi si riuniscono per discutere insieme e quindi prendere le decisioni per la città. Abbiamo quindi anche un collegamento con la democrazia. L’uomo libero parla pubblicamente nella città per mettersi d’accordo con altri uomini liberi per decidere assieme il governo della città.
Ora, il discorso politico, fatto entro la città greca per decidere sulla stessa, non è assoluto. la funzione dell’assemblea è quella di prendere delle decisioni, ma le quali possono essere cambiate dalla assemblea successiva. In questo contesto nasce la filosofia greca e occidentale. Mentre i presocratici e le filosofie orientali vogliono o pretendono di dire la verità, la filosofia occidentale ha a che fare con cose che non si conoscono. Per questo si chiamerebbe “filo-sofia”, che in greco significa “amore per la sapienza”, e non sapienza! È una continua tensione alla verità con il dubbio continuo, cioè con la consapevolezza che non si potrà mai raggiungerla definitivamente. È questo l’alone nel quale si sarebbe sviluppata tutta la filosofia occidentale successiva, anche se nella storia ci furono alcuni tentativi di collegare la filosofia alla verità assoluta, al sapere assoluto.
Socrate enuncia la nascita della filosofia occidentale con queste parole capitali: “Una sola cosa so: di non sapere”. Platone esplicita nel Simposio il senso esatto delle parole di Socrate.
Bisogna innanzitutto premettere cosa sia l’amore per gli antichi greci. Pensiamo ad un altro dialogo di Platone, il Carmide, nel quale alcuni amici si incontrano per avere rapporti intimi con dei ragazzini e sorge una contesa su chi riesce a sedurre un certo ragazzino, di nome Carmide, e quindi prende avvio il dialogo filosofico. Quindi l’amore per i greci era lecito, serio e mistico-religioso, tanto da farci iniziare un dialogo di filosofia. Nell’antica Grecia tutto era sacro, quindi anche l’amore. Non vi erano pregiudizi sull’amore omoerotico, anzi era considerato un ottimo mezzo di educazione del giovane, che così assimilava meglio gli insegnamenti del maestro con il quale intratteneva rapporti intimi.
Pertanto quando sappiamo che la filosofia è collegata all’amore, i greci stavano parlando di una cosa molto seria, che non ha nulla a che vedere con il romanticismo e le telenovele di noi moderni. Nel Simposio entra in scena Socrate, che viene invitato ad un banchetto per celebrare un successo del poeta Agatone. Ad un certo punto si conversa amabilmente e si scegli un tema: Eros. Eros era un dio oggetto di un culto ufficiale con templi, statue, sacerdoti e sacerdotesse, riti. Si discute su che tipo di dio sia Eros e quale sia il giusto modo di rendergli culto. La dimensione di Eros è l’amore sensuale e corporale, in greco eros, che nulla ha a che vedere con il lato spirituale di una persona. Quindi gli amici si mettono a discutere.
Agatone dice che il dio Eros è il più bello di tutti, è l’essere perfettamente divino, il più affascinante che esista. Viene assimilato a un ragazzino inteso come l’oggetto di amore più affascinante che esista. Quindi amore significa amare ciò che è bello e questo non lascia niente altro da desiderare.
Aristofane dal canto suo dice che l’amore è incompiutezza. Gli uomini anticamente erano fatti di due corpo e vivevano una condizione beata perché aveva ciò che li completava. Allora gli dei per paura che gli uomini non avessero più desiderio di loro li divisero a metà. Da quel momento in poi gli uomini avvertono la mancanza di qualcosa e per tutta la vita cercano l’altra metà nel partner per completarsi.
Socrate invece parla dell’amante, mentre Agatone aveva detto che Eros è l’amato, cioè l’oggetto dell’amore. Eros è quindi colui che ama, nel senso della personificazione di colui che manca di tutte le qualità che desidera: è brutto, sgraziato, povero, quindi cerca nell’amore quelle cose che non ha. Non è nemmeno un dio, ma un daimon, cioè una divinità intermedia. È possibile rendere culto a Eros rivivendo la sua esperienza, cioè amando le persone e cercando in esse ciò che a noi manca. Socrate parla di tre livelli, cioè di una iniziazione misterica fatta in tre gradi di consapevolezza crescente:
- Il grado più basso è quello di chi si innamora di una persona singola, credendo che solo l’amato sia bello (l’amore infatti è desiderio di generare nella bellezza);
- Ad un livello successivo abbiamo l’esperienza di chi si rende conto che la bellezza non è in una sola persona o cosa ma è distribuita in tante persone o cose belle, quindi desidera la bellezza ovunque la incontra;
- Il livello massimo è riconoscere che la bellezza non è qualcosa nelle cose, ma esiste in sé stessa. La Bellezza ha vita autonoma e coincide con il Bene e il Vero. È il Divino, il quale non si può mai possedere, in quanto uomini e Divino sono separati del tutto.
Il Divino trascende l’uomo, pertanto questi non potrà mai avere possesso della Bellezza né fare perfettamente il Bene né conoscere la Verità. Allora l’amore più alto, il terzo grado iniziatico, è tensione continua verso ciò che non si può averte, è il desiderio di possedere ciò di cui si manca senza raggiungerlo mai.
A questo punto il filosofo sceglie come oggetto del suo amore il Vero, cioè la Sapienza, ma non la può raggiungere mai, facendo però continui tentativi. Il filosofo sceglie Bellezza, Bene e Verità in una continua tensione mistica e religiosa mediante un amore puro. Detto in altri termini, il filosofo non possiede la verità assoluta, ma ha solo verità relative.
Per vedere la differenza con l’Oriente citiamo un passo del Corano (45, 15): “Chi fa il bene lo fa per sé stesso, chi fa il male contro di sé”, che nell’originale arabo suona man ‘amila ṣāliḥan falinafsihi, waman asāa fa’alayhā. Le scritture sacre parlano sempre di una verità assoluta alla quale bisogna aderire incontrovertibilmente per salvarsi. Le filosofie orientali sono spesso basate sui testi sacri. Invece la filosofia occidentale non vuole dire la verità, ma dialoga con diverse tesi per cercare di capirne di più.
Esiste un mondo fisico e un mondo super-fisico detto anche meta-fisico. Abbiamo delle radici in questo mondo, ma apparteniamo ad un altro mondo. Questo mistero è indicato dal Caduceo ermetico: due serpenti attorcigliati attorno ad una croce. Un serpente simboleggia la dimensione terrena, l’altro indica la dimensione superiore. Il corpo appartiene alla materia, l’anima appartiene al mondo spirituale. Il nostro limite non è la parola ultima sull’uomo, perché il limite si trasfigura nella dimensione superiore dell’anima. Come scrive Simmel, “l’uomo è l’essere-limite che non ha limite”.
Marsilio Ficino (Teologia platonica IX, 5) evidenzia un rapporto tra le due dimensioni scrivendo che “l’acutezza della mente non si potenzia, se non si indebolisce la forza del corpo, non acuitur mentis acies, nisi corporis acies hebetetur. Allora fiorisce in tutto il suo splendore la sapienza delle realtà divine, allora si realizza la saggezza nelle attività umane e risultano pienamente efficaci l’equilibrio e la costanza”.
Sia per Platone sia per Aristotele la verità è universale, ma per il primo la verità sta oltre le cose, nel mondo metafisico, anche se le cose la richiamano, invece per Aristotele la verità sta nelle cose e nelle cose bisogna cercare quelle leggi che le categorizzano. Per Aristotele non esisterebbe un mondo metafisico, secondo una interpretazione contemporanea. Egli si riferisce agli dei come al divino in genere, che coinciderebbe con la natura. Quindi Aristotele non sarebbe un pensatore religioso, anche se è stato ripreso dalla filosofia islamica, che lo avrebbe travisato totalmente. Platone è religioso e dice che si conosce con l’anima immortale, invece per Aristotele si conosce mediante il corpo. Per Aristotele la verità sta sotto i nostri occhi nel mondo fisico. Non dobbiamo cercarla più di tanto, è già stata data, dobbiamo solo scoprirla analizzando il mondo delle cose del mondo. Molte cose (ma non tutte) si esprimono secondo necessità perché hanno delle cause in base alle quale si sviluppano necessariamente e quindi in maniera prevedibile. Quindi conoscere significa scire per causas, come dicevano i traduttori medioevali di Aristotele: conoscere le cause. Per Platone la verità sta oltre il mondo sensibile, il solo che può essere universale e necessario. È il mondo dell’Iperuranio, dove stanno le Idee. Chi voleva entrare nella scuola di Platone doveva conoscere la geometria. Questo perché nell’Iperuranio vi sono forme geometriche o ideali, numericamente esprimibili. L’Iperuranio è un paradiso geometrico, dove vi sono figure geometricamente perfette, dette Idee. Quando oggi parliamo di “idea”, pensiamo a qualcosa legato al pensiero. Per Platone invece l’idea è qualcosa di visibile, vale a dire una forma geometrica, cioè qualcosa di visibile ma perfetta. Una immagine perfettamente equilibrata, che è la perfezione delle cose del mondo che non sono geometricamente equilibrate. Del resto, il termine greco idea deriva da una radice indoeuropea che significa “vedere”, che ritroviamo nel greco oida, “so perché ho visto”, nel latino video, “vedo”, nel sanscrito veda, “conoscenza” (con una sfumatura di visione-intuizione). La matematica greca è soprattutto geometria, quando un greco pensava a un numero pensava non a qualcosa di astratto ma alla figura geometrica, l’aritmetica era solo abbozzata, ma quest’ultima fu il grande contributo della matematica indiana.