La Prima Guerra mondiale fu una partecipazione totale e corale del popolo italiano al
grande conflitto e per tutta la sua durata cittadini e soldati furono veramente un esercito
solo, ben deciso a difendere la propria terra ed ad conquistare la vittoria.
La grande impresa comportò la chiamata alle armi di ben ventisette classi, dagli
ultraquarantenni nati nel 1874 ai ragazzi nati nel 1899 e nel 1900. I più giovani, l’ultima
leva che combattè per circa un anno sul Grappa e sul Piave fu quella dei ragazzi del 1899,
come vennero subito affettuosamente chiamati da allora. Avevano diciotto anni o ne
avevano appena compiuto diciassette. Erano giovani che in maggioranza non erano mai
usciti dalle loro case e dal loro paese, rubati alle loro madri e mandati a combattere nelle
pietraie dell’Isonzo o fra i ghiacciai dell’Adamello. La misura limite dell’amor di patria fu data proprio dal sentimento spontaneo con cui le madri d’Italia avviarono fieramente al fronte i loro figli adolescenti. Di questi ragazzi che con il loro ardente entusiasmo hanno trionfato sull’ira nemica, cosi scriveva il grande Vate Gabriele D’Annunzio; “Ecco la madre, quella che vi ha partorito, allattato, cullato, quella
che vi ha asciugato il primo pianto, insegnato la prima favella, guidato a muovere il primo
passo, quella che vi ha consigliato, perdonato, consolato, ecco, vi dà alla guerra, vi caccia
al fuoco, vi grida: “Va e combatti! Va e vinci!”. La storia e la leggenda dei Ragazzi del ‘99 inizia nel novembre 1917. Il 24 ottobre 1917,
sul Fronte dell’Isonzo, una massiccia offensiva austro-tedesca travolse le linee italiane nei
pressi di Caporetto. Nel giro di pochi giorni fu rotta totale: l’Italia lasciò sul campo 11 mila
morti e 20 mila feriti, i prigionieri furono 300 mila. La disfatta di Caporetto fu determinata
dalla sapienza tattica e dalle grandi doti di stratega di un giovane ufficiale tedesco di 26
anni, quel Erwin Rommel che poi sarebbe diventato la leggendaria “volpe del deserto” nel
secondo conflitto mondiale. A seguito del repentino cedimento del Fronte di Caporetto, il
nemico, sotto la guida di Rommel, era dilagato nel territorio italiano fino alla linea del Piave
ed alle alture del Monte Grappa.
L’esito della guerra sembrava ormai compromesso e i comandi degli eserciti alleati
vollero incontrare il Re d’Italia, Vittorio Emanuele III, a Peschiera, per proporre all’Italia una
pace separata con l’Austria che avrebbe consentito il ritomo ai confini esistenti all’inizio del
conflitto. A Peschiera, l’otto novembre 1917, il Re incontrò personalmente. senza
intermediari militari e politici, i rappresentanti degli Eserciti alleati, e quando tutti
dubitarono, Egli soltanto non dubitò. Egli, parlando un perfetto francese e inglese, ribadì
che aveva totale fiducia nella capacita dell’Esercito italiano di difendere il suolo del proprio
paese e non solo, ma di continuare a combattere e di vincere la guerra.
E fu proprio nel novembre del 1917, dopo l’incontro di Peschiera, che i Ragazzi del ‘99
furono inviati al Fronte. Era il mattino del 9 novembre 1917, nella pianura gli alberi spogli
intristivano il paesaggio, l’acqua del Piave scorreva placida e tranquilla lambendo i ponti.
Lungo la sponda destra del Piave tenuta dall’Italia, i fanti delle brigate della 3ª Armata
avevano scavato trincee, postazioni e ricoveri ed alcuni di essi fecero saltare con le mine
gli ultimi ponti… Il ponte di Nervesa, diventata poi Nervesa della Battaglia, fu l’ultimo a
saltare, determinando così l’isolamento totale fra le due sponde. La sponda sinistra del
Piave, tenuta dagli Austriaci era deserta: sembrava che il nemico non esistessi più. Era il
mattino del 9 novembre 1917 e nell’aria c’era il presentimento dell’inizio di uno scontro
senza precedenti. Ed ecco che all’improvviso la realtà della guerra si presentò in tutta la
sua drammaticità, allorquando incominciarono i tentativi massicci degli Austriaci di passare
il fiume. Minuto dopo minuto, divampò lungo il Piave la Battaglia che già ardeva sul
Grappa. Lo scontro fu durissimo. Sul Piave e sul Grappa quei Ragazzi riuscirono con
slancio eroico a ricacciare il nemico al di là del fiume, meritando l’esaltazione che ne fece
Armando Diaz nel “Ordine del Giorno “del Comando Supremo del 18 novembre 1917,che
diceva: “I giovani soldati della classe 1899 hanno avuto il battesimo del fuoco. Il loro
contegno è stato magnifico, e sul fiume, che in questo momento sbarra al nemico le vie
della Patria, in un superbo contrattacco, unito il loro ardente entusiasmo all’esperienza dei
compagni più anziani, hanno trionfato. In quest’ora suprema di dovere e di onore, nella
quale le Armate, con fede salda e cuore sicuro, arginano sul fiume sui monti l’ira nemica,
facendo echeggiare quel grido di Savoia che è sempre stato squillo di vittoria, voglio che
l’Esercito sappia che i nostri giovani fratelli della classe 1899 hanno mostrato di essere
degni dei retaggi di gloria che su essi discende”.
La sconfitta dell’esercito nemico sul Piave fu una tappa fondamentale per la conquista
della vittoria finale.
La Grande Guerra ebbe fine con la Battaglia di Vittorio Veneto che fu combattuta il 24
ottobre.del 1918.
L’esercito austriaco, in quel momento, poteva comunicare dalle montagne con i reparti
dislocati lungo la sponda sinistra del Piave per una sola via, quella che passava per
Vittorio Veneto …bisognava quindi impadronirsi di quell’importante zona per tagliare le vie
di comunicazione tra la montagna e la pianura.
Il 28 ottobre, con azione fulminea, l’Esercito italiano passò in forze il Piave e conquistò
le alture di Valdobbiadene, Conegliano e Vittorio Veneto, impedendo definitamente
all’esercito avversario di congiungersi con quello del Piave.
L’invitta Terza Armata, oltrepassato il Piave, marciava ormai impavida alla riconquista di
quelle zone che un anno prima aveva dovuto con immenso dolore abbandonare. La
liberazione delle terre invase proseguì a ritmo incalzante ed il 3 novembre avvenne
l’epilogo di una lotta durata 41 mesi e che aveva disseminato sui diversi campi di battaglia
oltre 600 mila morti, un milione di feriti, dei quali 412 mila invalidi. I Ragazzi del ’99 in armi
furono 264.562. Ne caddero in un anno di combattimento 81.260. I feriti ed invalidi furono
78.384.
I valorosi soldati, veterani e reclute del ’99, di quella guerra immane che fu la Prima
Guerra Mondiale, facendo scudo dei loro petti alla Patria, hanno offerto la loro esistenza
per la difesa del suolo e dell’onore dell’Italia.
Il loro valore e il loro esempio non va dimenticato e non dovrà andare disperso. Solo
così gli uomini potranno vivere da cittadini esemplari, in pace e felici, dimostrando nella
vita civile quello stesso senso del dovere dimostrato in trincea dai Ragazzi del ’99. Questi
ragazzi erano “come foglie sugli alberi d’autunno”, come scrisse di loro il Poeta Ungaretti,
E per questo molti di loro sono caduti, con nel cuore la visione di una Patria grande e
rispettata, pacifica e laboriosa, libera, come vuole e deve essere l’Italia e l’Europa di oggi e
di domani.
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