Mai, come durante questa campagna elettorale, si è parlato di donne. Ovvio, era la prima volta, nella storia Repubblicana, che una donna era a capo di un partito favorito nei sondaggi. Una donna, poi, segretario di un partito di destra. Paradosso per la sinistra italiana, che, in tanti anni, non ha mai avuto una leader. Neanche come candidata alle primarie. Sembra, insomma, che, eccettuata la vicenda della Bonino, il cambiamento stia passando dagli estremi: solo Potere al popolo! e Fratelli d’Italia hanno avuto il coraggio di essere guidati da appartenenti al gentil sesso. E, mai come prima, si è argomentato su cosa sia la donna. La Meloni è abbastanza donna? E la Sclhein? È più o meno donna? Cioè…siamo sicuri che siano donne? Una campagna elettorale fondata sull’idea che non si possa essere donne e basta. Servirebbe una patente per attestarlo ufficialmente. Rilasciata da chi? Non è chiaro. Ma è chiaro che, invece, sull’essere uomo di Letta o Salvini o Berlusconi, nessuno ha proferito parola. Quelli sono uomini. Punto. Mentre, per esser donne, non basta esserlo. È necessario che qualcun altro glielo debba confermare. Perché una donna ai comizi urla. Mentre un uomo pronuncia discorsi. Perché una donna dovrebbe essere materna. Mentre a un uomo non si chiede di essere paterno. E così via, supportati da un paternalismo strisciante, anche nei partiti più progressisti. Peccato. Attualmente le donne costituiscono il 51% della popolazione italiana. Eppure, malgrado siano la maggioranza, sono ancora una minoranza. Quella più inascoltata e senza voce. Come prima del 2 giugno 1946.