Il 23 ottobre 1863, all’una del pomeriggio di un venerdì d’autunno, le sale del castello torinese del Valentino ospitarono un evento importante: la costituzione del Club Alpino Italiano. Denominato in via del tutto provvisoria “Club alpino di Torino” il sodalizio esisteva simbolicamente già dalla precedente estate quando, il 12 agosto, vi fu la prima ascensione italiana del Monviso. L’idea di fondare l’associazione degli alpinisti italiani venne a Quintino Sella, ministro delle Finanze dell’allora Regno d’Italia, che partecipò alla scalata insieme ad altri appassionati della montagna. In poco meno di duecento amanti della montagna composero il primo elenco di aderenti e primo presidente venne eletto il barone Ferdinando Perrone di San Martino. In una lettera di Quintino Sella, conservata tra i documenti fondativi del CAI, veniva precisata la cifra identitaria del Club, costituito allo scopo di far conoscere le montagne e di agevolare salite, ricerche storiche e scientifiche. Prendeva vita come una “libera associazione nazionale” e aveva, come recita l’articolo 1 del suo statuto, “per iscopo l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente di quelle italiane, e la difesa del loro ambiente naturale”.   Torino, “culla del Club alpino” ne ospitò la prima sede, trasferita nel secondo dopoguerra in via Petrella a Milano. Nel 1938 il regime fascista impose un temporaneo e “autarchico” cambio di denominazione, lasciando l’acronimo trasformato in Centro Alpinistico Italiano. A Torino sul Monte dei Cappuccini, dal quale si gode una splendida vista sulla città e sulle Alpi, vi è ancora oggi la sede sociale, accanto alla Biblioteca nazionale del CAI e al Museo nazionale della montagna. Diviso in più di 800 sezioni e sottosezioni sparse in tutte Italia con quasi 320 mila iscritti, il CAI svolge un ruolo prezioso in tutti i campi che riguardano l’ambiente montano, la memoria storica, le attività di prevenzione e soccorso nelle “terre alte”. Nel dicembre del 1954, il CAI istituì il Corpo di Soccorso alpino (CSA). Promotori dell’iniziativa furono il trentino Scipio Stenico e l’allora presidente generale del Club alpino, Bartolomeo Figari. Questa sezione del sodalizio, che in seguito assunse la denominazione di Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico, venne pensata con lo scopo di provvedere alla vigilanza e prevenzione degli infortuni “nell’esercizio delle attività alpinistiche, escursionistiche e speleologiche, al soccorso degli infortunati o dei pericolanti, e al recupero dei caduti”. Un servizio indispensabile, di pubblica utilità ( riconosciuto tale con una legge del 2001) attualmente strutturato in 47 delegazioni locali e 269 stazioni di soccorso che si avvalgono di oltre 7mila volontari dei quali più di trecento sono i medici. Un esempio di virtuosismo molto utile in un Paese prevalentemente montano, reso possibile dall’entusiasmo e dall’impegno volontaristico che da sempre caratterizzano il CAI e lo hanno reso un’eccellenza nel panorama associazionistico italiano, consentendo di realizzare nel tempo un ampio ventaglio di opere a favore della montagna e dei suoi frequentatori, prestando attenzione a rifugi, bivacchi, sentieri e rimboschimenti.