Alcuni anni fa ho partecipato, come insegnante, al viaggio ad Auschwitz con il Treno della Memoria: accompagnavo alcuni ragazzi. È stata un’esperienza toccante, di cui vale la pena rinverdire il ricordo e fare alcune considerazioni sulla più grande tragedia della storia recente.

La visita, iniziata al binario 21 della stazione di Milano, ci ha portati prima ad Auschwitz 1, quindi nella prospiciente Birkenau (Auschwitz 2). Il primo è un quartiere militare (per dimensioni e struttura può ricordare la Cecchignola), o meglio un sobborgo, dell’esercito polacco a pochi chilometri da Cracovia, con alti edifici in mattoni ben conservati, che oggi ospita la parte museale. Dopo la campagna di Polonia i tedeschi lo requisiscono (l’esercito polacco è sciolto) e lo trasformano in un lager. Ben presto si rivela troppo piccolo per ospitare i prigionieri, quindi lo ampliano costruendo poco distante un’enorme distesa di baracche di legno, oggi molto deteriorate, salvo alcune ripristinate per le visite. Sono anche presenti le strutture in muratura con camere a gas e forni crematori.

Il colpo d’occhio che si ha dal posto di guardia, sopra l’ingresso ferroviario di questa cittadina fantasma, è impressionante. E comporta alcune riflessioni. Se la finalità è lo sterminio, a cosa servono tutti questi alloggiamenti? Mi si perdoni il paragone, ma in un macello odierno lo spazio in cui i capi attendono l’abbattimento è minimo: proprio per ridurre il tempo di l’attesa, nell’interesse del benessere animale, i loro arrivi sono scaglionati ed i capi sostano il minor tempo possibile. La cittadina di Birkenau aveva quindi ben altro scopo, oltre allo sterminio dei prigionieri che, lo ribadisco a scanso di equivoci, non ho alcuna intenzione di negare. Lo scopo è quello di alloggiare, per un certo periodo, decine e decine di migliaia di persone, per farle lavorare nelle vicine fabbriche, costruite ad hoc. Con l’obiettivo di sfruttare il più possibile gli individui, spersonalizzati, prima dell’ineluttabile eliminazione. Quello a cui siamo di fronte è un concetto di spremitura che inizia con l’allontanamento dal lavoro, dalla scuola, dalla vita sociale, che prosegue con lo spostamento, inizialmente nei ghetti, ed il furto dei beni, che continua con la deportazione, al cui arrivo si compie l’ulteriore sottrazione dei beni personali e degli affetti familiari, che si compie con la costrizione al lavoro forzato, per coloro che sono in grado, in cambio di una minestra di poche calorie al giorno, che comporta la progressiva debilitazione, asciugatura, finché non rimane un buccia vuota, un fantasma pelle ed ossa, da gettare in una camera a gas, se nel frattempo non è già morto di stenti o di qualche epidemia, tifo su tutte. Tutto questo meccanismo, disumano, industriale, scientifico è, a mio modesto modo di vedere, assai più agghiacciante, della mera idea di eliminare qualcuno. Questo è Auschwitz! Va molto oltre deportazioni, pulizie etniche, eccidi di cui la storia dell’umanità è piena.

Un altro aspetto mi ha colpito, perché apparentemente contraddittorio. Le foto dei prigionieri, esposte nella parte iniziale della visita. Sono migliaia e sono state fatte dai nazisti all’arrivo dei primi convogli. I detenuti sono immortalati in primo piano, uno per uno, non vi sono immagini d’insieme o istantanee della vita del campo. Questo induce ad una riflessione. Oggi chiunque può farsi cento selfie al giorno, negli anni ’40 le fotografie costavano, tanto che la maggior parte della popolazione ne aveva due o tre in una vita intera: scuola, servizio militare, matrimonio. A testimoniarne i momenti salienti. Per contro l’idea nazista è quella di cancellare gli ebrei, dalla faccia della terra, in quanto esseri inferiori. Allora perché fotografarli, se li stanno eliminando? Perdonatemi di nuovo il paragone, ma se qualcuno ha gli scarafaggi in cantina e li vuole sterminare con il ddt non si mette a fargli dei bei primi piani! Le idee di cancellare e di tramandare la memoria sono in conflitto, come si spiega questo comportamento? La convinzione dei nazisti era quella di aver fondato un Reich che durasse mille anni, un lavoro grandioso la cui memoria si sarebbe dovuta tramandare per generazioni e generazioni. Dopo uno o due secoli, la progenie non avrebbe avuto idea di cosa fossero gli ebrei, di quanto fossero orribili (nella logica nazista, sia chiaro) e, di conseguenza, non avrebbe potuto rendere omaggio ai fondatori del Terzo Reich per il bel lavoro di averli sterminati! Da qui l’esigenza di documentarne l’esistenza prima della definitiva eliminazione.

Questa logica disumana ed aberrante è l’aspetto peggiore di un’ideologia che preleva una parte dei suoi stessi cittadini, li deruba e li spreme per ricavarne il massimo profitto, prima di cancellarli come scarafaggi.

Questo è qualcosa che non ha eguali nella storia dell’umanità.