C’è un diffuso scontento circa l’operato dell’attuale governo e l’opposizione si divide. Il fatto, che può apparire sconcertante, è nella storia della nostra Sinistra. Senza tacciare di neofascismo il gruppo tripartito che attualmente governa l’Italia, non può non rilevarsi come cento anni fa, di fronte al fascismo, accadde in Italia la stessa cosa. Non si riuscì a far muro contro una Destra che, non avendo rotto con le sue origini, rimase extra-parlamentare, al punto di rivendicare il progetto di fare della Camera un’aula sorda e grigia incapace di opporsi al suo destino. Messe le ghette, Mussolini rimase il capo di un movimento più che di un partito.

“Con i 5stelle non ci sto!”, “Con la Schlein non c’è dialogo”, “Il terzo polo andasse a nascondersi”. Gli italiani, alcuni dei quali hanno votato da diverse decine d’anni, tappandosi il naso, pur di contrastare il passo all’avanzata delle destre, si domandano il perché di tanta schifiltosità. Non si dovrebbe cercare adesso un punto di coesione?

Le indecisioni si capiscono, per carità. Del resto manca un bel po’ al prossimo turno elettorale, anche se nell’attesa, si pagano, come s’è visto, certi inaspettati flop. C’è poi la questione di una leadership da strappare all’interno della grande alleanza ed è normale che ogni partito ambisca ad avere un ruolo “importante”. Inoltre c’è il fatto innegabile che il partito somiglia sempre di più a un gruppo di potere che vuole garantirsi l’accesso a leve di comando, il che consiglia di non sciupare il rapporto con quei grandi elettori che garantiscono tot voti.

Infine, cosa che preoccupa di più, c’è il fatto che Destra o Sinistra sembrano appartenere a un distinguo che ha avuto senso – se lo ha avuto – nel passato. Il timore dell’elettore è quindi oggi che la classe politica nel suo insieme si sia staccata, ormai da diverso tempo, dall’elettorato, contenta del ruolo che svolge e che la mette al riparo da certi scossoni che la situazione attuale fa prevedere. Ed è qui che la psicologia del profondo si invoca non del tutto a torto, perché nessuno di noi ama posare lo sguardo sulle meschinità a cui, senza volere, ci si può tuttavia ridurre, per poco che si ascoltino vocine che accarezzano l’orecchio e arrivano all’anima.

È un timore, un dubbio, un sospetto ma va preso in considerazione come possibile ragione del disamore alla politica delle nuove generazioni. I giovani certe “ipocrisie”, per usare una parola grossa, di quelle che a loro piacciono, le percepiscono prima di noi. Perciò la sensazione è che non si tenga conto delle esigenze e dei problemi degli italiani. Di questo vizio inguaribile ho già detto diverse cose rievocando sulle colonne del Pannunzio Magazine, la figura dell’avvocato Maralli. La psicologia del politico di Sinistra, che è un “signore” (a volte anche per censo o per nascita, ancor prima di diventare “onorevole”) è molto più complessa di quella del politico di Destra che dichiara i suoi intenti con meno peli sulla lingua, rendendosi perfino affascinante per il fatto di gettare via una maschera. Pochi infatti intendono che in tutto questo c’è pure la legittimazione della maschera. Gli altri la indossano, perché all’occorrenza non dovrei indossarla anch’io?

Il nazismo fu questo: il fascino della divisa con il nascondersi dentro una divisa.

Al di là del fatto che il mio cuore batta più a sinistra che non a destra, sarei contento di vedere che nel mio paese i due schieramenti si confrontassero nell’interesse di tutti. Opporsi non vuol dire prendere a schiaffi l’avversario (spero vivamente che la moda dei “vaffa” sia definitivamente tramontata), ma richiamare l’attenzione sui fatti dell’attualità visti in un’altra ottica, sperando in questo modo di migliorare l’opera di un governo che vuole, come l’attuale, lavorare. Per lavorar bene infatti occorre la collaborazione di tutti, a cominciare da quella degli avversari politici, le cui critiche sono dovere d’ufficio, non insulti a non si sa bene quale autorità. E volendo correttamente usare le parole, chiunque è potenziale “interlocutore” di un ministro, dove esistono pure potenziali “censori” di quanto un governo opera, specie in materia di riforme. Tutto ciò è garanzia per il cittadino che vede come tutte le componenti politiche siano all’opera per discutere ad esempio riforme che, abrogando vecchie leggi, rimandano fatalmente indietro, essendosi magari persa la memoria del perché la legge che si vuole abrogare era stata varata. E che dire dell’introduzione di leggi che hanno tutta l’aria di interpretare gli umori della piazza assecondandoli, senza che nessuno si interroghi, per esempio, sulle conseguenze di un inutile inasprimento di pena o dell’introduzione di un concetto più teologico – filosofico che non giuridico quale sembra essere quello di “reato universale” che tanto sa di “peccato mortale”?

La politica è fatta anche di prudenza, oltre che di lungimiranza.