Una fitta nebbia lattiginosa avvolge Venezia nascondendo calli e canali. Anche la laguna è nascosta sotto quell’umido mantello. La luce dei lampioni si riverbera sui lastroni di pietra dei colli Euganei che formano il selciato della Serenissima. Il vaporetto si stacca dal molo delle Fondamenta Nuove e punta verso la prima isola che si affaccia a nord di Venezia. A mano a mano che ci si allontana dalla riva la bruma si dirada un poco e si intravede il rosso dei mattoni dei muri di cinta e il profilo scuro e cupo dei cipressi dell’isola di San Michele, il cimitero monumentale di Venezia. Un tempo questo lembo di terra veniva chiamato “cavana de Muran” perché offriva rifugio ai barcaioli diretti a Murano. Oggi è un luogo di pace, serenità e grandi silenzi. San Michele non fu sempre il cimitero della Serenissima. Prima dell’arrivo di Napoleone Bonaparte le salme dei veneziani venivano sotterrate negli spazi adiacenti alla chiesa parrocchiale di appartenenza come ricordano i nizioleti di campi e calli, i lenzuolini sui muri con dipinte le indicazioni stradali, e solamente i benefattori e i nobili potevano avere il privilegio di essere tumulati in chiese e chiostri. E quando non c’era più posto, i poveri resti venivano trasferiti nelle isole della laguna. Con l’editto di Saint Cloud del 12 giugno 1804 (il famoso “Décret Impérial sur les Sépultures”) venne scelta l’Isola di San Cristoforo della Pace, posizionata di fronte alle Fondamenta Nuove, per accogliere la necropoli cittadina. Nel 1837, con un lungo lavoro che si protrasse per molti anni, venne interrato il piccolo canale che divideva San Michele e San Cristoforo della Pace, formando un’unica isola, destinata interamente a cimitero cittadino. Tra i personaggi più illustri sepolti a San Michele c’è il pittore piemontese Felice Carena. Nato a Cumiana il 13 agosto 1879, Carena fu allievo di Giacomo Grosso all’Accademia Albertina di Torino. I suoi primi lavori vanno ascritti agli ambiti secessionisti e simbolisti. Trasferitosi successivamente nella capitale, espose alcune opere alla Biennale di Venezia del 1912 dimostrando l’influenza di un verismo a sfondo simbolista. Di quegli anni, come sottolineano i critici, propose “significativi lavori dal taglio severo, fuori da ricerche d’avanguardia, ma tesi a una sintesi espressiva”. Un chiaro esempio fu il ritratto della madre del 1912. Tra il 1913 e il 1915 subì l’influenza della poetica di Matisse e Cézanne e all’inizio dell’entrata in guerra dell’Italia compose nature morte e figure, esposte a Roma nel 1916 nella Mostra degli amatori e cultori di Belle Arti in cui si alternarono “tratti a impasto mosso e una maggior fermezza di forma e di luce”. Docente all’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 1924 vi insegnò fino al 1945. Al termine del secondo conflitto mondiale, ritiratosi dall’insegnamento, riprese l’attività artistica a Venezia, nel sestiere di Cannaregio, dove trascorse l’ultimo ventennio della sua vita fino alla morte, nel giugno del ’66. Vagando per i viali si raggiungono i due recinti del cimitero che ospitano le sepolture protestanti e quelle ortodosse, segno della millenaria accoglienza di Venezia verso le altre religioni. Il poeta e saggista americano Ezra Pound è tumulato nel settore evangelico, entrando a sinistra, tra il viale centrale e il muro di cinta. Lì riposa anche il poeta russo Josif Brodskij, Premio Nobel 1987, che a Venezia dedicò le sue Fondamenta degli Incurabili. Nella parte ortodossa s’incontra la tomba di Igor Stravinskij, grande compositore e innovatore della musica di cui si ricordano l’ Uccello di fuoco, Petruska e la Sagra della primavera. Non distante c’è quella del grande impresario teatrale russo Sergei Diaghilev, passato alla storia per aver creato i Balletti Russi, la più rivoluzionaria compagnia di danza del XX secolo, che realizzò una fusione tra danza, musica, arte e moda. Sempre nella parte ortodossa vi è anche un monumento di grande bellezza, collegato a una triste storia d’amore. E’ la tomba di Sonia Kaliensky, giovanissima nobile russa che giunse a Venezia per i festeggiamenti del Carnevale del 1907, dimorando all’Hotel Danieli sulla riva degli Schiavoni. Tra l’allegria generale di una notte di Carnevale, la ventiduenne Sonia si tolse la vita con una dose letale di laudano a causa di una cocente delusione d’amore. Sono molti gli ospiti illustri dell’isola di San Michele che vanno richiamati alla memoria. Tra questi il musicista e compositore Luigi Nono, gli storici Giulio Lorenzetti e Pompeo Molmenti, l’attore e grande interprete goldoniano Cesco Baseggio, i commediografi Riccardo Selvatico e Giacinto Gallina, i pittori e incisori Virgilio Guidi, Emilio Vedova e Mario De Luigi, lo psichiatra Franco Basaglia, straordinario medico e riformatore al quale venne intitolata la rivoluzionaria legge sulla salute mentale, lo scienziato Christian Doppler, il calciatore e allenatore Helenio Herrera, il “mago” che fece grande l’Inter di Angelo Moratti. Due note curiose meritano un accenno. I veneziani meno giovani ricordano che ancora negli anni ’50 si accedeva al cimitero dall’entrata storica a fronte delle Fondamenta Nuove e il primo novembre di ogni anno, giorno della commemorazione dei morti, veniva costruito un ponte di barche, come quello che viene posizionato per la festa del Redentore, che consentiva di attraversare la laguna e collegava Venezia all’isola. L’altra vicenda riguarda la cartolina con una veduta dell’isola dopo il tramonto che si trovava accanto alle altre immagini illustrate nei chioschi veneziani. La promessa di un appuntamento romantico s’intuiva dalla scritta invitante: ”Manchi solo tu!”. Peccato che il luogo non fosse esattamente la location più indicata per un rendez-vous sentimentale. Evidentemente chi che le aveva fatte stampare era dotato di uno spirito decisamente burlone. Ma quello scherzo innocente non intendeva certamente mancare di rispetto a chi, veneziano o no, ha fatto dell’isola l’ultima sua dimora.