Ho scritto recentemente del rapporto tra luoghi e cinema, specie se i film sono tratti da romanzi la cui ambientazione è fondamentale per la storia.  Molte volte determinano la fortuna turistica di paesi, tanto che  luoghi a volte poco noti, diventano iconici ed attrattivi,  veri e propri luoghi di culto.  Un esempio fra tutti è Vigata con la casa, del Commissario Montalbano, a Marinella, oppure, ma qui il posto è bellissimo ed arcinoto, Gubbio con gli splendidi edifici  tardo gotici , dove è stata ambientata la prima serie di don Matteo.  Molto dipende anche dalle comunità locali, dai loro abitanti e dal legame con la storia narrata nel film. Poco, anzi direi trascurabile,  ad esempio è il turismo alla scoperta dei luoghi fenogliani, le Langhe, viceversa note universalmente per le qualità enogastronomiche  e l’essere diventate recentemente,  con il Roero ed il Monferrato, patrimonio Unesco. Eppure tutti i romanzi di Beppe Fenoglio, sono intrisi della sua terra amata ed odiata, fonte di ispirazione ma anche di delusioni. In una mia recente  visita, accompagnata dal Regista Guido Chiesa,  e la Torino Piemonte Film Commission, ho non solo rivisitato  le Langhe ed i luoghi del set ma visto con occhio diverso questo lembo di Piemonte , riscoperto dagli italiani e dagli stranieri per la  quiete, le sue dolci colline e il buon cibo oltre gli ottimi vini. Credo che pochi  turisti e villeggianti sappiano che in questo luogo nacque e visse per la tutta la sua vita, anche un importante, enigmatico scrittore, di aspetto signorile, altissimo, una parlata italiana elegante, inframezzata con un inglese letterario e arcaico, lui anglofilo ma che non era mai stato in Inghilterra.  Così diverso dai suoi compaesani, a quei tempi,  poveri contadini che parlavano unicamente il dialetto, così distaccato  ma nel contempo, così attaccato alle Langhe, ad Alba. Pochi gli amici che incontrava al bar, sempre per lo più rinchiuso a scrivere, tra gli altri, anche quello che diventerà il suo libro più celebre “Il Partigiano Johnny”. Semiautobiografico, la prima stesura era molto più lunga di quella attuale, ambientato nel 44, narra con sofferenza di un paese dilaniato dalla guerra civile, Fenoglio fu il primo a definirla così, con fratelli che militavano in fronti opposti. Pertanto i fascisti di quella zona erano morbidi mentre i tedeschi, forse anche per questo, erano  ancora più feroci. Fenoglio era monarchico e questo non solo al paese era noto ma anche a Torino, ed il libro fu rifiutato da Einaudi, che quel tempo aveva come punta di diamante Cesare Pavese, più schierato di lui, che di comunismo non ne voleva sentire parlare,  dopo molti anni viceversa, dimostrò simpatie per il socialismo. Il solo che l’appoggiò e convinse l’Einaudi a pubblicare nella serie “I gettoni”, due piccoli libri, fu lo scrittore e giornalista siciliano, Elio Vittorini, tra l’altro sposato con Rosa Quasimodo. Fu l’unico, nel chiuso circo letterario, che aveva all’epoca, parliamo degli anni 50, /60, come icone, Pavese, Calvino, Lajolo, ad apprezzarne le doti.  Dopo un lungo peregrinare, arrivò a Garzanti che gli impose tagli drastici, fino a dimezzarlo, nonché il  cambio del titolo, che non doveva essere equivoco, come ” Racconti di  guerra civile”, secondo gli intendimenti dello scrittore ma quello inventato dall’editore, “Il Partigiano Johnny” . Il regista ha confessato che anche adesso nelle zone, nonostante il successo mondiale dei suoi libri, Fenoglio è considerato scomodo, irritante tant’è, e ne è la prova, delle difficoltà riscontrate a girare scene ad Alba, nella campagna albese in generale, altre scene per praticità furono girate a Roma, a Grottaferrata  e nei Castelli Romani. Ancora adesso faticano ad identificare  e a dare un nome ed un significato ai luoghi  fenogliani, un’assurdità se non altro  fosse per meri interessi di ritorni economici, se non proprio di stima ed affetto per un loro concittadino  illustre. Si deve dar atto al Centro Studi Beppe Fenoglio ed Associazione Sviluppo Langhe, di aver iniziato ad invertire la tendenza. Una terra bellissima, ma che non ha reso chi la abita e chi ne  gode i frutti adesso per l’ambiente e l’enogastronomia , fiera sino in fondo di uno scrittore raffinato che tanto la ha amata mai corrisposto e mai fu così giusta per Fenoglio la locuzione latina “Nemo propheta in patria“!