Non possiamo restare indifferenti all’iniziativa di rendere un “bene sociale“ un centro sociale violento che occupa un edificio da decine d’anni ed è stato protagonista di guerriglie urbane anche recenti ed in Valle di Susa ha creato un gravissimo danno ai cantieri e al lavoro della Tav. Questo flirtare con il centro sociale ha radici lontane che risalgono al vicesindaco grillino che la stessa Appendino allontanò per il suo estremismo. Riprendere un discorso che neppure Appendino si sentì di condividere ,appare una scelta non condivisibile anche perché il centro sociale non ha mai dato segni di ravvedimento. Le parole di Caselli e di Saluzzo sono ampiamente condivisibili, mentre il sostegno dello storico Barbero rivela una superficialità e perfino un demagogismo incompatibili in chi si occupa seriamente di storia. Sembra che a Barbero la storia non abbia insegnato quasi niente. Il pluralismo culturale e il dibattito tra idee diverse può solo riguardare chi rispetta le leggi e la libertà di chi la pensa diversamente. Chi ricorre alla violenza non può essere considerato un interlocutore come gli altri. E il Comune non non può “legalizzare“ una situazione di evidente illegalità che dura da anni. Specie se poi constatiamo che centri culturali liberi e indipendenti che garantiscono al loro interno un confronto non settario tra opinioni diverse, vengono ignorati dal Comune, la proposta di “premiare“ Askatasuna appare ancora più difficile da accettare. La città non capirebbe una capitolazione buonista verso i violenti. Non solo i sindacati di polizia non accettano questo strano giro di valzer mentre i veri problemi di Torino rischiano di marcire senza trovare soluzione. E’ la città che studia e che lavora che non può accettare una capitolazione senza la minima giustificazione . Chi aggredisce ,crea danno sociale ed attenta sistematicamente alla convivenza civile va fermato. Anche nel ‘68 ci fu chi ritenne di credere alla “nuova Resistenza” dei contestatori. I risultati li paghiamo ancora oggi.
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