Un tema molto attuale, quello nel titolo, e un tema che anche recentemente è stato portato all’attenzione dei lettori del Magazine. Vorrei spenderci due parole per presentare un punto di vista molto laico, e magari un po’ sulfureo. Premetto che non sono un tifoso della pace ad ogni costo. Egoisticamente preferisco vivere in un tempo di pace, ma sono convinto che pace senza giustizia sia addirittura un disvalore. Parole da spendere ci sono anche a favore della guerra, e non parlo solo di quelle spese da un futurista come Marinetti e da un poeta come D’Annunzio. In un libro sapientemente curato da Massimo Mori (“Gli intellettuali e la grande guerra” , 2019, ed. il Mulino) trovo due citazioni interessanti. La prima è del grande storico Jacob Burchkardt, per il quale una pace troppo lunga <non produce soltanto snervamento, ma consente il sorgere di una gran massa di esistenze stentate, miserabili e paurose […] che si aggrappano poi all’esistenza con alte strida sul loro “diritto”>. La seconda è di uno dei creatori del pensiero moderno, Georg W.F. Hegel, nientemeno: “La guerra mantiene la salute etica dei popoli […] come l’agitarsi dei venti preserva dalla putredine cui una calma duratura ridurrebbe i mari, e una pace duratura, o addirittura perpetua, i popoli”. Forza ragazzi, due statue da abbattere! Woke! E non è innocente neppure Benedetto Croce: “una qualche forma di guerra continuerà sempre, perché la guerra è insita nella vita”.

Comunque, viva la pace, per carità. Il punto sul quale qui mi soffermo è il ruolo delle religioni monoteiste.  Sono esse promotrici di pace? Poche riflessioni a volo di uccello. La prima sul Vecchio Testamento: la lettura del Libro di Giosue o del Secondo Libro di Samuele non inducono pensieri di pace; ma è in tutta la raccolta che il Dio degli Eserciti sta raramente in ozio. In  2 Sam (10, 18) diede una mano a Davide che con i Siri non ci andò leggero. Va detto che nel nostro mondo secolarizzato quei libri non trovano molti cultori (preferito il Cantico dei Cantici).

Se passiamo all’induismo troviamo la Baghavad Gita, nella quale il Dio Krishna, indossati i panni del cocchiere, porta verso la battaglia l’eroe Arjuna, un po’ riluttante in quanto sa che nell’armata nemica ci sono i suoi parenti. Lo richiama al suo dovere di combattere, come impone il suo status di guerriero: “trasforma quello che fai in un sacrificio per il Supremo!”. È la splendida “Gita”, libro sacro per eccellenza.

Per quanto riguarda il Corano, mi limito a poche citazioni: “Combattete coloro che non credono né in Allah né nel giorno estremo e non considerano proibito quello che Allah e il suo messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino utilmente il tributo [gizya] e siano soggiogati” (9, 29);  “non esser debole e non chiedere la pace mentre hai il sopravvento, perché Allah è con te e non diminuirà mai il compenso delle tue opere” (47, 37; altra versione 47, 35); “la ricompensa di coloro che fanno la guerra a Allah e al suo messaggero, e seminano la corruzione sulla terra sarà unicamente che vengano messi a morte, o crocefissi, o vengano loro tagliate le mani e i piedi in modo alternato o vengano esiliati dal paese. Ciò sarà per essi un’ignominia in questo mondo, e nell’altro ad essi toccherà un grave castigo (5,37; altra versione 5, 33); “Non prendetevi amici tra loro [i miscredenti] finché non emigrano per la causa di Allah. Ma se vi volgono le spalle, allora afferrateli e uccideteli (4, 89; altra versione 4, 91); “Vi è stato ordinato di combattere anche se non lo gradite. Ebbene, è possibile che abbiate avversione per qualcosa che invece è un bene per voi ed è possibile che amiate una cosa che invece vi è nociva. Allah sa e voi non sapete” (2, 216). Non proprio roba da bandiera arcobaleno. E potrei continuare: esempio 8, 12-17…

Sul ruolo delle religioni, una breve conclusione per proporre una risposta alla domanda sopra formulata: sono esse promotrici di pace? In dissenso con papa Bergoglio, la mia risposta è no, non lo sono. Mi sento più vicino alla posizione di Jean Guitton, il grande intellettuale cattolico che fu l’unico laico invitato al Concilio Vaticano II (dubito che oggi avrebbe lo stesso privilegio). Sentiamolo (da “Un siècle, une vie”, 1988, éd. Robert Laffont): “il n’y a d’affrontement que sur l’absolu, il n’y a de guerres que les guerres religieuses”. Un’altra statua da abbattere!