Si sta celebrando il centenario della nascita di Enrico Berlinguer, leader del PCI dopo Togliatti e Longo , dopo essere stato per tanti anni alla guida della Federazione Giovanile comunista . Proveniva da una famiglia aristocratica sarda legata alla Massoneria. Il giovane Berlinguer divenne comunista nel 1943, trascurando gli studi universitari. Una vita nel partito e per il partito che lo porto ‘ a ritenere che Giorgio Amendola “non conoscesse l’Abc del marxismo“. Ho grande rispetto per la sua coerenza ,ma gli uomini e le donne “tutti casa e partito“ non mi sono mai piaciuti. Io amo gli spiriti liberi, gli eretici, gli organici ad un partito stento persino a considerarli uomini di cultura . Berlinguer venne preferito come segretario a Giorgio Napolitano. Non sono in grado di esprimere un giudizio ,anche se ricordo che nel 1956 Napolitano si gettò in difesa dell’URSS che aveva invaso l’Ungheria e Berlinguer assunse posizioni più caute ed avvedute ,anche se nel solco della disciplina ferrea di partito che caratterizzava i comunisti . Ricordo che come segretario dei giovani comunisti portò ad esempio di vita Santa Maria Goretti, suscitando un qualche scalpore per il suo giansenismo un po’ bacchettone, almeno per un comunista dichiaratamente ateo come lui. Lo andai a sentire una sola volta nel 1968 al palazzetto dello Sport e non mi piacque perché estremamente freddo. In quello stesso anno ero andato a sentire Pietro Nenni che invece mi appassionò al pari di La Malfa. Guidare il Pci credo sia stata un’impresa difficilissima, pressato tra l’obbedienza politica e la dipendenza economica da Mosca e la necessità di diversificare il Pci. Penso ‘ all’Eurocomunismo che Massimo L. Salvadori considerò incredibilmente addirittura un punto di arrivo della storia contemporanea ,un errore clamoroso che rivelò come nello storico torinese prevalesse l’ideologia rispetto al ragionamento storico. L’Eurocomunismo fu un’utopia inconsistente e senza futuro, come avrebbe dimostrato la storia che segnò con il crollo del Muro di Berlino la fine del comunismo sovietico e non. L’idea del “compromesso storico” invece si può considerare un approccio più realistico perché malgrado la tragica fine del suo interlocutore Aldo Moro, consentì al partito comunista di “riciclarsi”, malgrado tutto, anche nella seconda repubblica. Il ciclone partito da Berlino ,ad esempio, travolse i comunisti francesi che rappresentavano in Europa una forza politica importante . /Può sembrare strano che un comunista duro e puro come Berlinguer abbia pensato al compromesso ,proseguendo e sviluppando per altri versi la linea togliattiana partita dal voto all’articolo 7 della Costituzione che inserì nel testo i Patti Lateranensi ,per aprire un dialogo con i cattolici che De Gasperi rifiuto ‘. Sul versante democristiano trovo ‘ di fatto nel cinico Andreotti e nella sinistra Dc interlocutori privilegiati ,se si esclude la posizione netta e coraggiosa di Carlo Donat Cattin che spese gli ultimi anni della sua vita ad osteggiare quella che Spadolini aveva definito la “Repubblica conciliare“. Ampiamente modificato e aggiornato ai tempi, quel dialogo catto-comunista consentì di passare indenni anche durante Tangentopoli e il Pd è qualcosa che ancora oggi riflette il compromesso storico che persino Ugo La Malfa considerava ineluttabile. Berlinguer fu astiosamente antisocialista e vide in Craxi un nemico. I tempi non sono maturi per stabilire confronti, ma certo è fuor di dubbio che il moralismo giacobino con cui venne condannato Craxi ,si rivela oggi un vecchio arnese propagandistico travolto dai tempi. Berlinguer teorizzò una presunta superiorità morale dei comunisti. Credo che gli si debba dar atto dell’alto profilo morale della sua figura pubblica e privata, anche se quella teorizzazione di superiorità portò a conseguenze negative per la stessa sinistra che venne accusata di supponenza. Al di là’ delle Messe cantate per il centenario di Berlinguer, va iniziata una riflessione distaccata volta a capire che la sua storia non può essere appiattita nel rigore fideistico- ideologico perché, sia pure molto tardivamente, prese apertamente le distanze da Mosca, riconoscendo che la spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre si era inceppata. In effetti va detto che come quasi tutti i comunisti della sua generazione aveva accettato supinamente lo stalinismo visto in tempi successivi come deviazione dal socialismo, mentre in effetti esso fu lo sbocco naturale della Rivoluzione d’ottobre, trasformata in un regime del terrore non solo per colpa di Stalin ,ma dal divenire inevitabile della storia successiva alla morte di Lenin. Ma nello stesso tempo va anche considerato il suo astio verso il socialismo come se la scissione di Livorno fosse un punto di non ritorno. Il suo puritanesimo comunista non era affatto laico ,come una volta mi disse testualmente Marco Pannella che non riuscì mai ad avere un buon rapporto con lui. Con lui alla guida il Pci raggiunse nel 1976 il massimo storico, superato subito dopo la sua morte dal sorpasso della Dc alle Europee del 1994, a cui seguì un tonfo l’anno successivo alle Amministrative che segnarono la fine delle Giunte rosse. Balzò comunque evidente che il Pci non sarebbe mai riuscito ad andare al potere e realisticamente Berlinguer prese atto che dopo il golpe in Cile, non sarebbe stato possibile governare con il 51 per cento. Forse il punto massimo a cui è giunto Berlinguer fu quando disse a Giampaolo Pansa che si sentiva più tranquillo come comunista italiano a starerà sotto l’ombrello della Nato. Mi spiace di non aver mai avuto l’idea di chiedere a Pansa quali fossero le parole esatte usate da Berlinguer . Certo quella frase fu emblematica di un riconoscimento esattamente opposto alla teoria dell’Eurocomunismo elogiato da Salvadori come una svolta di lunga durata nella storia del Novecento.
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