Heinrich Böll, autore di riferimento del secondo dopoguerra tedesco, premio Nobel per la letteratura nel ’72, mago nella scelta dei titoli: Casa senza custode, Il pane dei verdi anni, Il treno era in orario, E non disse nemmeno una parola, Foto di gruppo con signora, Biliardo alle nove e mezzo, L’onore perduto di Katharina Blum, ecc. La sua biografia e la storia del suo impegno civile prima ancora che politico, sono sorprendenti. Nato a Colonia nel’21, generazione sfortunata – avevano vent’anni ai tempi della guerra – oppure generazione fortunata – i sopravvissuti hanno potuto farsi interpreti degli anni irripetibili della ricostruzione e del boom economico. In gioventù antinazista. Poi soldato nella Wehrmacht. Poi interprete dei sensi di colpa della Germania e critico dell’ipocrisia della società tedesca del dopoguerra. Della politica. Dell’economia. Della Chiesa. Del capitalismo. Solidale con i dissidenti sovietici come Solženicyn. Pacifista. Ecologista. La sua storia personale e letteraria è stata un impegno a 360 gradi, alla continua insoddisfatta ricerca di verità,  genuinità, giustizia, valori umani. Cosa resta a mezzo secolo di distanza dai lavori letterari che hanno dato testimonianza di questa problematica esperienza umana e sociale? Di questa appassionata, sincera denuncia di un sistema sociale spesso ingiusto e opprimente? Rileggere oggi “Opinioni di un clown” rivela in effetti quanto la denuncia sociale di Böll fosse calata nel periodo storico degli anni ’50 e ’60 e quanto fosse legata a quel contesto. La critica sociale non suona più così vicina alla nostra sensibilità e non corrisponde più al nostro, pur vivo, critico dissenso. Paradossalmente sopravvive molto di più la freschezza e l’autenticità delle vicende umane e personali narrate. Quel che resta sempre vitale è il dramma comune, borghese, individuale. E’ la storia del clown protagonista abbandonato dalla compagna per una migliore sistemazione sociale, quello che davvero rimane nella memoria del lettore.