Il degenerare della crisi russo-ucraina ha sorpreso i molti (e tra questi il sottoscritto) che ritenevano essere, quella di Putin, una rischiosissima strategia per ottenere il massimo risultato da una posizione negoziale di forza. L’ invasione del territorio della ex repubblica sovietica ci riporta purtroppo indietro nel tempo, a prima dell’epoca della “Guerra fredda” (“combattuta” tra il 1947 e la caduta del muro di Berlino) che promosse al ruolo di superpotenza mondiale il gigante euro-asiatico. La memoria della Conferenza di Monaco del 1938 non può non tornare alla mente di chi conosce la storia (sempre meno studiata) del “secolo breve”. Le trattative condotte nella capitale bavarese non servirono ad altro che a rinviare l’inizio del secondo conflitto mondiale consentendo alla Germania di Hitler di preparare meglio i suoi passi successivi. Ma le suggestioni che ci avvicinano, istintivamente, all’esplosione del secondo conflitto mondiale ritengo siano davvero eccessive e non dovrebbero troppo influire nella nostra lettura degli avvenimenti di questi giorni. Si tratta senza dubbio di una situazione da non sottovalutare ma, per quanto grave, non esistono oggi, fortunatamente, le condizioni per ritenere possibile un allargamento del conflitto ed un coinvolgimento diretto di altri Paesi. L’obiettivo minimo e più ragionevole della Russia sembra non essere più solo quello di consolidare “l’indipendenza” delle due enclavi filorusse (nella regione orientale del Donbass) ma anche di arrivare sino alla capitale Kiev per potere instaurare un governo amico. La leadership russa aveva coltivato la speranza di un Paese in rotta di riavvicinamento quando l’ex comico (attore e regista) Volodymyr Zelensky era stato eletto presidente dell’Ucraina, nel maggio del 2019. Il giovane presidente, conoscitore della Russia della quale parla correntemente la lingua, sembrava l’uomo più adatto per riappacificare (a vantaggio dei ribelli) la regione del bacino del Donec mettendo fine agli scontri tra l’esercito e le milizie filorusse. Presto però l’atteggiamento dei confronti dello scomodo vicino era diventato assai poco accomodante e le tensioni erano costantemente cresciute e a nulla sono valsi, come sappiamo, tutti i tentativi di mediazione. Venendo, cinicamente, alle conseguenze sull’economia mondiale e sui mercati finanziari, è indubbio che le difficoltà di approvvigionamento di alcune materie prime (gas e petrolio in testa) renderanno meno rapida di quanto si poteva prevedere la discesa dell’inflazione mettendo i bastoni nelle ruote della ripresa economica e innervosendo (per usare un eufemismo) gli investitori (alle prese con un futuro meno brillante di quanto si stimava qualche settimana fa). A parziale soccorso potrebbe arrivare una dose extra di pazienza da parte delle banche centrali che, di fronte ad un peggioramento delle previsioni, potrebbero essere meno dure di quanto annunciato negli ultimi mesi nell’aumentare i tassi di interesse: questo sarebbe poco più di un “cerotto su di una gamba di legno” ma renderebbe comunque meno tetro l’umore degli operatori dei mercati.  Passato lo schock iniziale (e la stagione invernale che ci farà pagare ancora carissimo l’aumento dei prezzi delle risorse energetiche) potremo freddamente considerare tutto ciò come un brutto incidente di percorso che coinvolge un Paese, la Russia, che ha le stesse dimensioni economiche (il PIL) del Brasile ed un altro, l’Ucraina, che è appena il 10% della Russia stessa. Le sanzioni (che potrebbero risparmiare il settore energetico, per evitare che si tramutino in un boomerang per chi le impone) avranno certamente un peso negativo su Mosca ma l’asse politico ed economico, rinsaldatosi da qualche anno, con la Cina (che consentirà, tra le altre cose, l’utilizzo di un sistema di pagamenti alternativo a quello, lo Swift, dal quale è stata bandita) aiuterà a limitarne i danni Vale la pena a questo punto ricordare come le fasi negative si siano sempre trasformate in opportunità di acquisto per tutti coloro che hanno saputo mantenere la mente fredda, considerandole un evento del tutto atteso (anche se, magari, non nelle cause, nei tempi e nei modi) ed ineluttabile.  Il trasferimento di ricchezza dagli stomaci deboli (incapaci di affrontare lo stress generato dalle perdite finanziarie) a quelli forti (abituati a fronteggiare le oscillazioni negative del loro patrimonio come inevitabili) è uno dei fattori che hanno portato, storicamente, alla crescente divaricazione tra i più ricchi ed i meno abbienti.  E’ un dato di fatto, purtroppo, che la minore disponibilità di risorse finanziarie provoca una maggiore sensibilità alle loro variazioni negative (arrivando sino al panico e con questo alla liquidazione totale) in quanto queste pongono seriamente a rischio la possibilità di mantenere il proprio tenore di vita.  Se, razionalmente, si ritiene che la guerra (così come la, non ancora completamente sconfitta, pandemia) possa provocare un rallentamento solo temporaneo (e non l’inizio di una recessione dalla durata imprevedibile) varrà la pena di non farsi troppo coinvolgere emotivamente evitando il cortocircuito testa-stomaco che conduce solitamente alle peggiori decisioni.  Un famoso banchiere, il barone di Rotschild, predicava, più di 200 anni fa, di mantenere i nervi a posto e di acquistare quando il sangue inizia a scorrere nelle strade.  Ma se si ha paura, comprensibilmente, del sangue basterà non guardare, evitando così pericolosi sbandamenti. Ricordando sempre il monito di uno degli investitori di maggior successo dell’ultimo secolo, lo statunitense Warren Buffet: nei mercati finanziari bisogna essere timorosi quando gli altri sono avidi e avidi quando gli altri sono timorosi.  Le guerre rappresentano, è vero, un salto nel vuoto ma queste fasi convulse e drammatiche si sono sempre rivelate le migliori occasioni di fare acquisti, a prezzi di saldo, di ciò che tutti vogliono vendere e, con pazienza, di realizzare i maggiori guadagni. Dai saldi ai soldi il salto è breve…