“Sia i deva sia gli asura erano nati dal loro padre Prajapati e volevano entrare in possesso della eredità di Prajapati, che consisteva nella parola – sia la verità sia la menzogna. Gli uni e gli altri dicevano il vero, gli uni e gli altri dicevano il falso; giacché parlavano allo stesso modo erano eguali. Poi i deva abbandonarono la menzogna e si attennero alla verità, e i deva abbandonarono la verità e si attennero alla menzogna. Allora la verità, che era stata presso i deva, vide questo e disse: ‘I deva hanno abbandonato la menzogna e si attengono alla verità. Benissimo, mi recherò là’. E si recò presso i deva. E la menzogna che era stata presso i deva vide questo e disse: ‘Gli asura hanno abbandonato la verità e si attengono alla menzogna. Benissimo, mi recherò là’. E si recò presso gli asura. Da allora i deva hanno detto solo il vero, gli asura solo il falso. I deva, dicendo costantemente il vero, divennero via via più deboli e si impoverirono; ed è per questo che chi dice costantemente il vero diviene via via più debole e si impoverisce; ma alla fine egli trionfa, come trionfarono i deva. E allora gli asura, dicendo costantemente il falso, si irrobustirono e divennero ricchi come un terreno salato, ed è per questo che chi dice costantemente il falso si irrobustisce e diviene ricco come un terreno salato, ma alla fine viene sconfitto, come vennero sconfitti gli asura. Mentre i deva mettevano in atto il sacrificio animale, gli asura, venuti a conoscenza della cosa, arrivarono sul posto quando i deva ne avevano compiuto una parte. Appena i deva videro gli asura, tolsero via il sacrificio e si misero a fare qualcos’altro; gli asura pensarono che i deva stavano facendo qualcos’altro e se ne andarono. Quando gli asura se ne furono andati i deva distesero di nuovo il sacrificio e lo portarono a compimento, e una volta che lo ebbero completato ottennero la verità per intero. Per questo gli asura furono sconfitti e i deva trionfarono. E chiunque sa questo sconfigge il suo avversario, il suo nemico fraterno sarà sconfitto” (dallo Shatapathabrahmana). Per la mitologia induista i deva sono gli dei intesi come esseri sovrannaturali benevoli. Sono chiamati anche SURA e sono opposti agli ASURA, i demoni, cioè le divinità malevoli. I deva sono i reggitori del trimundio così some sistematizzato dalla Trimurti, cioè i tre mondi della mitologia induista. Nei testi più antichi non v’era contrapposizione qualitativa fra deva e asura. Solo nella letteratura tardo vedica e post vedica, gli asura assumono connotazioni negative e prende forma la dicotomia deva/asura. Nella tradizione avestica avviene lo stesso fenomeno ma rovesciato, per cui i deva finiscono per essere considerati inferiori e negativi, rispetto agli asura (il benevolo Dio supremo avestico prende nome da loro: Ahura Mazda). Il mito induista del frullamento dell’Oceano (che troviamo nei Purana e nel Mahabharata) pone le basi della dicotomia deva/asura. È interessante il fenomeno per cui nei Purana gli asura sono brahmani, o comunque personaggi di casta alta, molto devoti che perdono la retta via. Il mito del frullamento dell’Oceano di latte dice questo:

  • Lotta infinita fra deva e asura
  • Gli asura sono in vantaggio
  • I deva per vincere il dominio sul triloka hanno bisogno dell’amrita
  • L’amrita si trova nell’oceano di latte che tutto contiene (ma in
  • disordine!)
  • Su suggerimento di Vishnu deva e asura si associano per tirar fuori dall’oceano di latte l’amrita
  • Costruiscono un frullino
  • Il monte Mandara fa da frullino
  • Il serpente Vasuki fa da corda per mettere in moto il frullino
  • Gli asura chiedono di poter tenere il serpente dalla parte
  • più nobile, cioè la testa
  • Vishnu suggerisce ai deva di accettare e reggere la coda
  • Durante il frullamento gli asura sono intossicati dal miasma che emana dalla bocca di Vasuki
  • Inoltre Vasuki stanco comincia ad emettere il suo veleno halahala
  • Shiva salva l’oceano e quindi tutto il creato dall’avvelenamento inghiottendo il veleno, è per questo che ha la gola blu
  • Altra difficoltà è reggere in equilibrio il Mandara
  • Interviene Vishnu sotto forma di Kurma a fare da base al frullamento
  • Il frullamento va avanti per lungo tempo, tanto che si perde la memoria delle motivazioni
  • Alla fine comincia a venir fuori qualcosa dall’Oceano
  • Nell’oceano era nascosto tutto il creato e vengono fuori anche i ratna, cioè i tesori, tra cui l’elisir dell’immortalità amrita.
  • Segue il contenzioso per la distribuzione dell’amrita, di cui si incarica Vishnu sottoforma di Mohini che con l’inganno riserva l’amrita solo ai deva.

Il cambiamento di stato da latte a burro, indica una trasformazione interiore. L’accordo fra deva e asura è il compromesso e l’armonizzazione delle proprie energie opposte. È possibile una lettura yogica del mito, in cui il Mandara è la colonna vertebrale e Kurma il pavimento pelvico da cui deve dipartire la Kundalini. La Kundalini è la energia cosmica che abita nella colonna vertebrale degli esseri umani. Svegliando la quale si ottiene la liberazione. Vasuki indica le negatività da affrontare e superare per raggiungere il supremo obiettivo di liberazione. Il veleno è il turbamento insorto all’inizio del processo trasformativo. Superato il veleno, vengono fuori i tesori, cioè le realizzazioni spirituali. Ma questo antico mito induista ci dice anche che nella vita l’uomo deve lottare con le energie opposte, cioè con i propri asura, vale a dire con tutto ciò che gli impedisce la realizzazione. Tutti noi abbiamo un fratello gemello che ci combatte per impedire la nostra realizzazione. Sono i nostri pensieri negativi, gli ostacoli che la nostra stupidità e testardaggine crea proprio a noi stessi. Per realizzarci dobbiamo vincere innanzitutto noi stessi. Le nostre spinte regressive e negative. La vita è una grande lotta e la vittoria (amrita) è riservata solo a colui che persevera nel combattimento. Come una madre dà al mondo un figlio con dolore, così bisogna ottenere l’amrita, cioè rinascere alla nuova natura di realizzati, solo dopo aver lottato strenuamente e con fatica e dolore lungo il percorso di questa vita terrena. In questo percorso alla fine della croce sboccia la rosa, cioè l’oro alchemico.

Una volta il cavaliere del Medioevo lottava con la spada. Oggi stiamo in un altro mondo, ci si afferma e quindi si combatte per affermarsi soprattutto con la parola: sul posto di lavoro e negli affari. Solo l’uomo possiede un linguaggio verbale, quindi intuitivamente le persone avvertono che la parola sia qualche cosa di molto importante. La parola viene anche studiata con molta passione da linguisti, filologi, letterati, psicologi, neuroscienziati, e così via. La prima testimonianza di scrittura la abbiamo nel mondo sumerico. Il primo scrittore di cui si ha memoria era una sacerdotessa della Mesopotamia: la poetessa Enheduanna. Poi vennero le importanti composizioni egiziane, tra cui il primo romanzo: il Racconto dell’Oasita Eloquente. È suggestivo poter leggere questi testi che hanno millenni di storia. E poi sono anche letterariamente raffinati e linguisticamente sontuosi. Pensiamo per esempio anche al Papiro Westcar, redatto in uno splendido medio egiziano, considerato l’egiziano classico. Addirittura nel poema epico indiano Ramayana si cantano le battaglie di Rama per riavere la sua bella Sita rapita da un demone: queste battaglie procedono dal nord dell’India fino ai confini meridionali e gli studiosi vi hanno visto la trasfigurazione del processo storico di sanscritizzazione del subcontinente indiano, che appunto procedette da nord a sud. Il Ramayana ha come autore Valmiki (in sanscrito “quello del formicaio”, cioè colui il quale è profondamente immerso nell’ascesi da venir ricoperto da un formicaio), considerato l’adikavi, cioè il primo poeta, precursore della lirica sanscrita classica. È Valmiki ad aver inventato lo śloka, una forma poetica del sanscrito, solitamente formato da 4 pāda (quarti di verso) di 8 sillabe ciascuno, oppure da 2 mezzi versi di 16 sillabe ciascuno. Lo śloka segue regole metriche molto stringenti. La parola è come la lingua biforcuta di un serpente, è buona e cattiva al tempo stesso, come dicevano gli scrittori medioevali, può fare tanto bene ma anche tanto male. il serpente Kundalini e il serpente Vasuki evocano anche i pericoli della realizzazione per mezzo della parola. Le energie contrarie che si scatenano contro chi segue la via del bene. Il motivo del serpente è ricorrente in tutte le culture del mondo tanto da far pensare che una religione basata sul culto del serpente sia stata la prima religione della storia ma di cui non si ha il ricordo se non in queste tracce superstiti in tutte le culture del pianeta. Lo sciamano acquisiva potere allorché sposava una donna serpente, simbolo dei poteri della sua anima ai quali si era ricongiunto. La Kundalini della tradizione indiana è un serpente che riposa alla base della colonna vertebrale e attende di destarsi: segno della acquisizione dei poteri da parte dell’iniziato, del ricongiungimento con la propria natura divina. Per questo i grandi re e i grandi iniziati della storia sono spesso raffigurati come serpenti, pensiamo a Cecrope, primo re di Atene, che significa tra l’altro “caudato”, o a Patanjali, autore del celebre Yogasutra, o alle Pizie, cioè “pitonesse”, le sciamane del mondo greco.  Nella tradizione sciamanica come si ritrova pressoché agli albori di tutte le culture, lo sciamano viene iniziato quando ha esperienze di pre-morte. Si parla di morte iniziatica. Iniziare vuol dire uccidere, come scriveva Clemente Alessandrino. Lo sciamano può sognare il proprio scheletro o può sognare o vedere nella realtà ordinaria degli esseri divini o angelici che gli sostituiscono degli organi. Lo stesso Maometto ebbe un’esperienza del genere. Quando aveva tre anni e stava giocando con il fratello di latte dietro le tende, accadde un episodio molto significativo. Gli apparvero due angeli vestiti di bianco che recavano un bacile d’oro pieno di neve. Presero il bimbo e lo distesero a terra, gli aprirono il petto e con le mani gli estrassero il cuore. Tolsero un piccolo grumo nero, che buttarono via. Poi lavarono il cuore e il petto del bambino con la neve e lo lasciarono andare. Il racconto del fratellino che riferì alla nutrice la allarmò. Questa riportò subito Maometto dalla sua famiglia avendo paura che potesse succedergli qualcosa di grave. Lo sciamano si avvicina alla morte anche con la malattia, pensiamo alla malinconia, che non era considerata nel passato una malattia, ma la via d’ingresso per la pratica della magia e della mistica. Il lato opposto della malinconia, che è tristezza, è la euforizzazione mediante delle droghe: lo sciamano assume delle sostanze che creano estasi artificiali mediante le quali si avvicina agli dei o agli angeli. Nei misteri dionisiaci ci si ubriacava e ci si lasciava andare a balli sfrenati, nei misteri eleusini vi era una sostanza misteriosa detta ciceone. Si parla di funzione en-teogena, cioè queste sostanze avevano la capacità di generare il divino dentro la mente dell’iniziato. Uno stato estatico può essere ottenuto anche dal tamburo. I suoni ritmici sono molto presenti nel mondo sciamanico e iniziatico. Il suono può indurre una trasformazione nello sciamano, per esempio mentre suona può mutarsi nell’animale guida. Il tamburo può indurre stati estatici e metamorfosi perché il suo ritmo è quello del battito cardiaco. Quando il cuore inconsapevolmente o anche più o meno consapevolmente accompagna i suoni dello strumento, avviene una trasformazione profonda, persino a scopo terapeutico. Ricordiamo a margine che Platone nella sua città utopica voleva bandire gli strumenti a fiato e a percussione privilegiando invece quelli a corda: questi ultimi sono più apollinei (gli altri più dionisiaci, erano usati nelle converticole delle baccanti per ottenere l’ebrezza estatica). Dopo il tamburo uno strumento altrettanto importante è la maschera, anche questa può trasformare lo sciamano non solo in un animale ma anche in un defunto. Pure in questo caso si assiste a riti di pre-morte. Nella cultura tibetana la dea protettrice della morte è Citipati. In tali riti tibetani ci si avvicina anche fisicamente al passaggio estremo con delle performance che prevedono persino lo smembramento dei corpi che poi vengono esposti agli avvoltoi. Le tecniche della mistica e dei percorsi esoterici hanno lo scopo di avvicinare la persona al divino anche mediante la ripetizione ritmica di formule o mantra. Pensiamo solo alla preghiera islamica ortodossa (salat) e a quella sufi detta dhikr. Una grande studiosa dell’Islam è stata Eva de Vitray-Meyerovitch, la quale era una grande accademica e poi si convertì all’Islam. Sul letto di morte dettò a una collega un libro sulla preghiera islamica, affrontando tutti gli aspetti fondamentali sia della preghiera ortodossa sia di quella sufi: La preghiera islamica. La forma e l’essenza. Il rosario islamico ha 99 grani come sono i Nomi di Allah, più un altro pendente il quale è simbolo del nome impronunciabile di Allah, simbolo della sua ineffabilità. A volte le formule sono accompagnate da alcuni movimenti: i dervisci danzanti ruotano su sé stessi e mediante il suono e la ripetizione di formule entrano in trance estatica. Nell’assedia di Vienna parteciparono anche i sufi, i quali facevano le loro piroette all’aperto per dare forza energetica all’attacco musulmano. I cittadini viennesi li guardavano e si chiedevano cosa stessero facendo, ne restarono ammirati e anche da queste premesse nacque il valzer viennese. Le visualizzazioni sono un altro aspetto di queste tecniche. Una visualizzazione esterna è più un aspetto religioso e non mistico, come la adorazione delle immagini, che aiuta anche la concentrazione mentale, pensiamo solo alle icone russe. La religione tende a raccogliere insieme i fedeli, mentre la mistica tende a isolare lo sciamano o l’iniziato. Pensiamo anche agli ideogrammi indiani detti yantra o mandala, che sono più o meno la stessa cosa, però di solito gli yantra sono delle linee bianche su schermo nero, mentre i mandala sono spesso più elaborati e anche colorati. Gli yantra più semplici li troviamo nell’induismo tantrico, mentre i mandala più complessi in Tibet e in Giappone (nell’esoterismo giapponese, lo shingon, ci sono pochi mandala ma di una complessità esagerata). L’antenato di questi diagrammi è sciamanico: un punto bianco su uno sfondo nero, simbolo del disco lunare, molti esoteristi giapponesi si recano si notte sui monti e meditano la luna. Il punto bianco su sfondo nero può indurre il sogno lucido, che possiamo definire quale una forma superiore di prodotto della meditazione. Qualcosa del genere c’è anche nel cristianesimo. Ignazio di Loyola, il fondatore dei Gesuiti, diede al suo ordine una organizzazione militaresca, ma c’è l’invito ai membri più avanzati dell’ordine di visualizzare nello stato di veglia di scene tratte dai vangeli, nella fase più spinta il contemplante deve entrare nella scena come partecipante della scena e lì interagire mentalmente come in una performance teatrale. La visualizzazione interna, invece, come nella meditazione, è più un percorso mistico e iniziatico. Certamente la visualizzazione esterna deve essere anche introiettata mentalmente e qui sconfina nell’esoterismo, come nel sogno lucido. Ma ci sono anche vie che privilegiano solamente schemi mentali i quali, meditati a lungo, portano a uno stato di pacificazione, e oltre.