Abbiamo iniziato a parlare di legge elettorale ad inizio 2020, commentando i risultati delle elezioni inglesi e delineando le differenze tra i sistemi maggioritario e proporzionale (si veda Quale legge elettorale per l’Italia?). Quindi abbiamo seguito, giugno 2021, (Legge elettorale, un anno dopo) l’evoluzione politica dei due paesi più esemplificativi: Gran Bretagna per il maggioritario, Israele per il proporzionale. E’ giunto il momento di aggiornare il nostro osservatorio (chiamarlo esperimento scientifico sarebbe eccessivo), alla luce del fatto che in tutti e tre i paesi, Italia inclusa, c’è stata una crisi di governo.
Gran Bretagna.
Boris Johnson, travolto dagli scandali, si è dimesso da presidente del partito e, di conseguenza, anche se non subito, da primo ministro. Non c’è stato alcun passaggio parlamentare, né alcuno pensa che ci saranno elezioni anticipate. Il sistema maggioritario è talmente forte che il partito che domina la Camera dei Comuni può permettersi di cambiare il premier senza aprire una crisi al buio rischiando la sostituzione dei parlamentari. Anche quando il passaggio è epocale: quando Magareth Thatcher, dopo un decennio, lasciò Downing Street in lacrime, non si andò alle urne, semplicemente iniziò un governo Major. Le elezioni si tennero due anni dopo.
Israele.
Dalla parte opposta, invece, Israele si avvia alle quinte elezioni in meno di quattro anni. La coalizione di otto partiti che prevedeva la staffetta di due primi ministri è saltata per un paio di cambi di casacca tra i deputati. Al di là di considerazioni politiche sul fatto che Netanyau abbia dimostrato che senza di lui non si può governare, è ormai evidente che questo sistema puramente proporzionale non funziona, per lo meno non funziona bene. Quando dico puramente mi riferisco non solo alla bassa soglia di sbarramento esplicita (dichiarata ex-lege), ma anche alla inesistente soglia implicita, data dal collegio unico nazionale.
Italia.
A che punto siamo in Italia? Archiviata la rielezione di Mattarella, sembra giunto il momento del «liberi tutti» in vista di elezioni che, per scadenza naturale, si dovrebbero tenere ad inizio 2023. Mentre si parlava di prolungare la legislatura a maggio, sono esplose le fibrillazioni nel Movimento 5 Stelle con la scissione verso il centro del gruppo di Di Maio. Ne segue naturaliter che la parte restante sposti il proprio baricentro verso sinistra e sia tentata di uscire dal governo. Ricordo che questa maggioranza è talmente ampia da non avere un’opposizione a sinistra ed è comprensibile che vi si crei uno spazio politico, per il malcontento generato da crisi e difficoltà varie. Nulla di più ovvio che qualche soggetto politico voglia intercettare questo malcontento, come Fratelli d’Italia sta facendo a destra. A mente fredda, va però osservato che la crisi italiana è a dir poco surreale: Draghi si dimette avendo ottenuto la fiducia e, presumibilmente la riotterrà mercoledì prossimo. Forse con l’appoggio esterno di Conte, peraltro non determinante. Quindi se il Paese correrà verso il baratro di elezioni anticipate, mettendo a rischio legge di bilancio, fondi europei, Pnrr e quant’altro, la responsabilità non sarà solo di Conte. Sarà forse di altri che si sfilano (Salvini?) o dello stesso Draghi che rifiuta di andare avanti, giocandosi l’immagine di salvatore della Patria e l’elezione al Quirinale (qualora Mattarella dovesse dimettersi anticipatamente, cosa peraltro probabile). Chi va a spiegare alla stampa internazionale che in Italia i governi cadono anche quando hanno i numeri? Bennet, Lapid e Johnson saranno esterrefatti. Quanto è inaffidabile il Belpaese? Uno scenario a cui non credo e non voglio credere: gli appelli alla responsabilità saranno continui e fortissimi. Alla fine, nonostante l’ondata di caldo abbia dato alla testa a molti, si troverà una quadra. Draghi, in quanto tecnico, è al di sopra delle diatribe partitiche, ma proprio per questo noblesse oblige. Ricordo, perché gli italiani hanno la memoria cortissima, che neanche sei mesi orsono, Mattarella aveva assicurato che mai si sarebbe prestato alla rielezione. Aveva anche preparato gli scatoloni; poi dovette correre dietro al camion dei traslochi e farsi riportare tutto al Quirinale. Nel frattempo si ripropone il problema della legge elettorale, tanto più incalzante, quanto più vicine saranno la elezioni. La tentazione di rivederla in senso proporzionale è forte, anche per la spinta delle tante, più o meno nuove, formazioni che cercano di ritagliarsi uno spazio al centro. Il rischio, però, è di ritrovarsi in una situazione come quella israeliana; possiamo permettercelo? Nel frattempo, la recente tornata elettorale amministrativa, (elezione diretta dei sindaci con premio di maggioranza in consiglio comunale, quindi nettamente maggioritaria) ha premiato il campo largo a scapito delle rivalità del centrodestra, non solo a Verona. Da sempre i contesti locali sono utilizzati per laboratori politici o prove di forza nazionali, in questo caso la lezione è evidente. Se la prossima legge sarà maggioritaria, spingerà il centrodestra, e non solo, all’unità e, nel caso la realizzasse (tutt’altro che scontato) gli potrebbe dare un vantaggio. Se, invece, sarà proporzionale, spingerà ai personalismi ed alle frammentazioni, aprendo il parlamento ad una quantità di partiti al centro; tanto maggiore, quanto minore sarà la soglia di sbarramento. Ribadiamo quanto detto due anni fa: un paese serio, una democrazia matura, non cambia continuamente la legge elettorale sulla base dei tatticismi del momento, dell’una o dell’altra parte. La classe politica dovrebbe decidere uno schema ed impegnarsi a mantenerlo per decenni. La battaglia politica andrebbe fatta all’interno delle regole, non per adattarle, di volta in volta, alla propria convenienza.