“LA LIBERAZIONE DI TORINO” di Gigi Padovani

                                                    –   Aprile 1945: le sette giornate dell’insurrezione   –      

PREFAZIONE di Paolo Borgna

    Il Direttore del Centro Pannunzio, Pier Franco Quaglieni, intervenendo sul PANNUNZIO MAGAZINE del 28 aprile 2022, ha sostenuto la necessità di storicizzare la Resistenza anzi che mitizzarla. Convengo con le motivazioni da lui espresse che ritengo trovino conferma nel libro dell’ex giornalista dell’Unità (già organo del P.C.I.), Gigi Padovani, comprese alcune affermazioni contenute nella Prefazione a cura del Presidente di ISTORETO, Paolo Borgna.  

OSSERVAZIONI

   A mio modesto avviso (non sono uno storico), alcune affermazioni dell’illustre magistrato Paolo Borgna non sono condivisibili. Egli sostiene, infatti, che De Gasperi, nel suo discorso del 10 agosto 1946 alla conferenza di pace di Parigi, rivolgendosi alle ventun potenze vincitrici con il celebre incipit: Sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me “ sa bene che in realtà sarà ascoltatoconrispetto ed è consapevole che ciò avverrà grazie a quella minoranza di italiani che, dopo l’8 settembre 1943 avevano fatto la Resistenza. Era stata quell’avanguardia minoritaria ma non irrilevante di combattenti contro il nazifascismo a difendere l’onore della patria, dimostrando che non tutti gli italiani stavano con l’Italia che nel giugno 1940 aveva pugnalato la Francia già in ginocchio”. L’autore della Prefazione aggiunge che “in alcune città quei combattenti erano riusciti a cacciare i tedeschi prima che arrivassero gli Alleati. Per questo, l’Italia poteva chiedere di non essere trattata come la Germania”.  Tali asserzioni, a mio giudizio, attengono più alla mitologia della Resistenza che non alla sua storia fattuale. Al riguardo una circostanziata documentazione attesta una realtà abbastanza diversa che mi limiterò a evidenziare citando alcuni brani dei seguenti libri:

(1) “DE GASPERI – Ritratto di uno statista”, della figlia e collaboratrice Maria Romana, edito dalla Biblioteca di Repubblica nella Collana “BIOGRAFIE DEL ‘900 – Le storie che hanno segnata la Storia”

(2) “I miei condannati a morte“ (Collana Bancarella) di Padre Ruggero (Il Cappellano del Carcere Le Nuove)

(3) “Le grandi battaglie della Linea Gotica” di Franco e Tomaso Cravarezza (Edizioni del Capricorno)

(4) “PER L’UNITA’ D’ITALIA”  (A cura dell’Ufficio Stampa e Comunicazione della Presidenza della Repubblica) Conferenza a Classi Riunite dell’Accademia dei Lincei “Verso il 150° dell’Italia unita: tra riflessione storica e nuove ragioni di impegno condiviso” tenuta il 12 febbraio 2910 dal Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano.

(1) Maria Romana De Gasperi Catti (Già Presidente onoraria del Centro Studi Giorgio Catti)                     Testimonianza sul discorso di De Gasperi del 10 agosto 1946

Al palazzo del Lussemburgo i delegati italiani vennero formalmente trattati come i rappresentanti di uno Stato nemico: nessuno li salutò escluso il Presidente Bidault che doveva presentarli ufficialmente. Con visibile angoscia mio padre saliva i gradini della pedana di fronte ai Ventuno….notaio delle sconfitte altrui, nel difficile compito di convincere che la nuova Italia democratica poteva meritare fiducia….il suo piano fu quello di separare la responsabilità morale dell’antifascismo del popolo italiano da quella del Regime fascista; dare rilievo alla cobelligeranza attuata dalle forze regolari e dalla resistenza partigiana e soprattutto sottolineare che gli avvenimenti militari non avevano determinato , ma solo reso possibile il crollo del regime fascista. Cadeva così la giustificazione di dare al trattato un carattere esclusivamente punitivo… De Gasperi reclamava giustizia. “Tuttavia, scrive Byrnes (il Segretario di Stato americano – ndr), quando lasciò il rostro per tornare al posto assegnatogli nell’ultima fila, scese la navata centrale della sala silenziosa passando accanto a molte persone che lo conoscevano, Nessuno gli parlò. La cosa mi fece impressione, mi sembrava inutilmente crudele”. Così quando arrivò davanti alla delegazione degli Stati Uniti, Byrnes stesso si alzò e gli tese la mano “Volevo fare coraggio a quest’uomo” dichiarò poi nelle sue memorie “che aveva sofferto personalmente nelle mani di Mussolini ed ora stava soffrendo nelle mani delle Nazioni Unite”.

(2) Lettera di addio del S.Ten. Spe “Pedro” Ferreira (Comandante della VII^ Divisione GL                                   (M.O. V.M. alla memoria) ai Compagni e Amici del P.d’A).                                                                          Testimonianza sull’apporto determinante degli Alleati alla liberazione dell’Italia tutta

    Carissimi, come avrete già saputo, ieri sera è terminato il processo a mio carico del Tribunale Speciale di Guerra repubblicano di Torino. Domani all’alba verrò fucilato. Terminerà così la mia breve ma intensissima esistenza il cui ultimo periodo dall’8 settembre 1943 fino all’ultimo giorno fui dedicato interamente alla Patria. Muoio soddisfatto e contento di aver compiuto fino al supremo sacrificio il mio dovere verso la Patria e verso me stesso……………… Tra poco le armate alleate spezzeranno l’ultimo baluardo difensivo tedesco, anche l’Italia tutta verrà liberata e terminerà per voi questo lungo periodo di lotte cospiratorie che tanto ha assottigliato le vostre file. E allora sarà per voi la vita, l’aria, la luce, la gioia di aver combattuto e vinto, e l’esultanza della libertà raggiunta…. siate felici…. addio. Un abbraccio a tutti. Vostro Pedro.

(3) Gen.C.A Franco Cravarezza

Presidente di Assoarma, Sezione di Torino – Presidente Vicario dell’Associazione Centro Studi Giorgio Catti

Sfondamento alleato della Linea Gotica,

Come descritto nel suo libro (a seguire ampiamente citato), lo sfondamento dell’ultimo baluardo difensivo tedesco sulle propaggini settentrionali dell’Appennino tosco-emiliano a ridosso dell’indifendibile pianura Padana, avvenne, (dopo 8 mesi di stallo ndr) , nei quindici giorni  di scontri violentissimi tra l’8 ed il 23 Aprile 1945. Tra i reparti combattenti impegnati vi erano anche le Divisioni italiane (denominate impropriamente ‘Gruppi di combattimento’) “Friuli”,”Cremona” ,“Folgore” e  “Legnano”.   Quest’ultimo, il 19 aprile, aveva iniziato l’attacco come richiesto da una delle ipotesi della pianificazione preventiva conquistando con brillante azione di sorpresa del Battaglione Alpini ‘Piemonte’, il caposaldo tedesco di Quota 363, chiave della difesa nemica sul contrafforte tra la val Zena e la val Idice, ritenuto inespugnabile per le sue fortificazioni in caverna. Nella stessa notte il “Legnano” si era mosso con determinazione lungo la valle Idice in una spregiudicata gara in velocità verso l’obiettivo comune. Tra le 9,30 e le 10 del 21 aprile, in concomitanza con i Polacchi del II° Corpo, i Bersaglieri e gli Arditi del “Legnano” entravano in Bologna accolti entusiasticamente dalla popolazione. In quel 21 aprile si concludeva la prima fase dello sfondamento e, come da pianificazione, scattò senza soluzione di continuità la grande manovra avvolgente di annientamento.

Seconda fase dello sfondamento di tutto il fronte con obiettivo il Po

Già a mezzogiorno del 23 aprile i genieri della 5^ Armata americana aprivano al transito un primo ponte Treadway sul Po seguito subito dopo da molti altri per cui, completato l’accerchiamento delle forze tedesche rimaste intrappolate al di qua del Po iniziarono l’inseguimento in profondità. Per i britannici, in particolare, aveva inizio lungo il litorale adriatico una corsa contro il tempo per raggiungere Trieste in gara con le armate russe e Jugoslave. Partecipavano all’inseguimento anche i due Gruppi di combattimento  “Cremona”, che liberò Venezia dove sbarcarono pure gli Inglesi ed il “Legnano” che proseguì l’avanzata fino all’area Brescia – Bergamo conducendo varie azioni autonome di contrasto e disarmo di colonne tedesche in ritirata e con il privilegio di arrivare per primi a Torino il 2 maggio con  reparti di avanguardia  del Battaglione Alpini ‘Piemonte’ davanti alla 1^ Divisione brasiliana e, il 5 maggio, con il Battaglione Alpini ‘L’Aquila’, a Bolzano intasata di truppe e automezzi tedeschi ormai inoffensivi. Gli altri due Gruppi due Combattimento “Friuli” e “Folgore” si erano fermati a presidio dell’area di Bologna. Quanto alla Divisione Folgore merita la citazione del vittorioso lancio dei paracadutisti del Reggimento “Nembo” e del 1° squadrone  da ricognizione “F” otre le linee nemiche tra Modena, Ferrara e Mantova a sud del Po nell’ultima azione aviotrasportata della seconda guerra mondiale, denominata Herrings: 26 pattuglie di paracadutisti con l’appoggio dei partigiani locali, il 20 aprile riuscirono ad infiltrarsi nelle linee tedesche per ostacolare e attaccare le colonne nemiche in ritirata, per sabotare le loro linee telefoniche e, soprattutto, per impedire la distruzione dei ponti e delle infrastrutture utili all’avanzata alleata. L’azione, che registrò anche duri scontri, riportò un notevole successo tattico ed anche psicologico sulle unità in ritirata che lasciarono nelle mani dei paracadutisti circa due mila prigionieri.

Liberazione dell’Italia settentrionale

Nei giorni successivi i reparti alleati raggiungevano le principali città del Nord costringendo alla resa le formazioni tedesche. Il Comitato Nazionale di Liberazione Alta Italia insediato a Milano ordinò per il 25 aprile l’insurrezione generale in tutta quella parte dell’Italia settentrionale ancora occupata dalle unità tedesche e della R.S.I. dell’ormai disciolto Stato fascista. In poco tempo le formazioni del Corpo Volontari della Libertà s’impadronirono dei maggiori centri urbani (man mano che venivano sgomberati dai tedeschi – ndr) contribuendo a rendere ancor più aleatoria per le unità tedesche la possibilità di muovere per completare la ritirata. Un ruolo particolare venne svolto a Milano, nei giorni della Liberazione, dalla Guardia della Finanza che, con un Reggimento di Formazione, si impadronì di sorpresa dei principali edifici pubblici della Città. Il 2 maggio veniva firmata la resa incondizionata del XIV Gruppo di armate della Wehrmacht nella Reggia di Caserta, quartier Generale del generale americano Clark. Il 7 maggio si concludeva la guerra in Europa con la resa incondizionata della Germania. L’Italia era stata liberata dalle forze angloamericane, con il concorso determinante di reparti italiani e delle formazioni partigiane.

Consistenza dell’apporto delle Forze Armate Italiane Regolari alla Liberazione nazionale

Le pagine conclusive dei due autori del libro citato sub (3) si possono riassumere come di seguito riportato.   530.000 furono i soldati nei reparti regolari delle tre Forze Armate (compresi Carabinieri e Guardie di Finanza) 30.000 i soldati inquadrati in reparti regolari combattenti a fianco della Resistenza Jugoslava                                        80.000 i militari che parteciparono alla lotta partigiana nelle formazioni  del Corpo Volontari della libertà 600.0000 furono gli  Internati Militari in Germania che opposero il loro No al rimpatrio nelle file di Salò.                                       I caduti fra  gli I.M.!. (che nella definizione di Natta fecero l’altra resistenza) e tutti i combattenti delle forze regolari e degli ausiliari impegnati nelle prime linee in Italia, in Corsica, nei Balcani e nel Dodecanneso fra l’8 settembre ’43 e il maggio 1945 furono 87.000.

 Il commento del generale Luigi Poli, che da giovane ufficiale partecipò nei reparti cobelligeranti a tutta la campagna già dalla prima battaglia di Montelungo nel dicembre 1944, è stato: L’equipaggiamento, soprattutto all’inizio, era scarso e rimediato, il reclutamento difficile, frequenti le diserzioni. Ma ciò nonostante, si sentiva intorno una disperata volontà di non mollare, una vena profonda di dignità nazionale che confortava. Si aveva la sensazione, o meglio, la certezza di combattere una guerra veramente volontaria contro tutti, contro l’impotenza dei Comandi superiori, contro la diffidenza dei partiti, contro l’indifferenza degli alleati.  

Giudizio finale

  Nelle sue Considerazioni conclusive riportate nel libro dal generale Franco Cravarezza  leggiamo: …L’Italia non ne usciva come Paese vincitore, nonostante il  cambiamento promosso ed il contributo offerto. Peraltro, dal punto di vista militare, aveva superato le diffidenze iniziali degli Alleati e si era ritagliata un ruolo significativo nella condotta delle operazioni tanto che potrà essere invocato dal Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, nel discorso del 10 agosto 1946 a Parigi, dinanzi ai rappresentanti dei 21 stati vincitori chiamati a definire il trattato di pace richiamando il comunicato di Potsdam del 2 agosto 1945 al termine dell’incontro fra i capi dei governi britannico, russo e statunitense, in cui si riconosceva che “l’Italia fu la  prima delle Potenze dell’Asse a rompere con la Germania, alla cui sconfitta diede un sostanziale contributo”   poteva anche rivendicare che si trattava di tutta la Marina da guerra, di centinaia di migliaia di militari per i servizi di retrovia, del Corpo Italiano di Liberazione, trasformatosi poi nelle (sei) divisioni denominate ‘Gruppi di combattimento’ e ‘last but not least’ dei partigiani, autori soprattutto dell’insurrezione del Nord. Era l’affermazione istituzionale di un contributo alla vittoria finale che l’Italia chiedeva alle altre nazioni di riconoscere e che ancor più avrebbe dovuto aver caro al proprio interno, purtroppo non sempre e non ancora completamente onorato nella coscienza nazionale.

(4) Il suggello storico del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano

    A suggello istituzionale di quanto sopra esposto si richiama infine l’autorevole giudizio storico su quegli avvenimenti formulato dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel suo discorso citato con il n° (4) nell’elenco riportato in premessa. In quella prestigiosa occasione, infatti, Egli si espresse nei seguenti termini: …..tra il ’43 e il ’45 l’Italia unita rischiò di perdere la sua dignità e indipendenza nazionale e vide persino insidiata la sua compagine territoriale…..L’Italia poté nel 1945 ricongiungersi come paese libero e indipendente nei confini stabiliti dal trattato di pace grazie a tre fattori decisivi: quel moto di riscossa partigiana e popolare che  fu la Resistenza di cui nessuna ricostruzione storica attenta a coglierne limiti e zone d’ombra può giungere a negare l’inestimabile valore e merito nazionale; il senso dell’onore e la fedeltà all’Italia delle nostre unità militari che seppero reagire ai soprusi tedeschi e impegnarsi nella guerra di liberazione fino alla vittoria sul nazismo; la sapienza delle forze politiche antifasciste, che trovarono la strada di un impegno comune per gettare le basi di una nuova Italia democratica e assumerne la rappresentanza nel quadro internazionale che andava delineandosi a conclusione della guerra.