Il dramma di Giacomo Matteotti è ancora oggi una fonte inesauribile di cronache appassionanti. Cronaca nera: un deputato nel cuore di Roma scompare fino all’orrenda scoperta nel quartiere della Quartarella. Cronaca politica: un regime che trema, l’Aventino, il ricatto dei falchi del partito fascista su Benito Mussolini. Cronaca giudiziaria: il processo di Chieti del 1926, dove Roberto Farinacci rovescia le parti e fa di Amerigo Dùmini un eroe romantico, di Matteotti un provocatore, e il nuovo processo di Roma del 1947 che apporta definitivi chiarimenti sulla delittuosa vicenda. Gli atti processuali rivelano sicari, mandanti, intrallazzatori e politicanti, alcuni dei quali al vertice del partito fascista e dediti al doppio gioco. Emerge un sottobosco affaristico, su cui si innestano le principali motivazioni, via via addotte per spiegare «il delitto Matteotti», che è attribuito all’odio politico di Mussolini nei suoi confronti, alla pista petrolifera, alla trama del gioco d’azzardo e alla salvaguardia della monarchia. Tuttavia la domanda più impellente riguarda la modalità dei fatti e se essi configurino un disegno premeditato del delitto.
L’esito del rapimento e dell’omicidio di Matteotti ha una larga eco in tutti i Paesi europei e innesca una grave crisi politica che Mussolini riesce a superare per i contrasti dei suoi avversari. Gli eventi, che si svolgono tra il giugno 1924 e il gennaio 1925, costituiscono il capitolo finale della sconfitta subìta dalla Sinistra italiana. Con il discorso pronunciato alla Camera il 30 maggio 1924, Matteotti esprime un grande rispetto delle istituzioni politiche e, al termine del discorso, prevede quasi la sua fine. È un atto di lotta che paga con la vita. La scomparsa consegna al Paese una lezione politica che, oltre ad opporsi all’estremismo velleitario dei comunisti, resta un modello di democrazia rappresentativa. È il primo delitto politico dell’Italia unita, che si colloca in uno scenario intriso di sangue e si sviluppa in una narrazione avvincente, densa di vicende suggestive e di personaggi implicati negli affari più loschi.
Al di là dell’omicidio del deputato socialista, di cui quest’anno ricorre il 100° anniversario della morte, bisogna ricordare che Matteotti è uno studioso di economia e diritto, un amministratore, un promotore di cooperative e di iniziative scola stiche. È questa molteplicità di interessi che rende ancora oggi interessante una figura intrisa di precise denunce durante un impegno quotidiano volto a fustigare il costume compromissorio delle alchimie politiche, a contrastare la violenza e a combattere la corruzione del nascente regime fascista. Il rigore morale è una caratteristica peculiare della sua azione pubblica, svolta a contatto dei lavoratori per salvaguardare la loro dignità e rendere più umana la condizione sociale.
Diventato militante socialista nei primi anni del XX secolo, Matteotti – denominato «il compagno dalle braghe curte» –s’impegna attivamente nella costituzione di circoli, cooperative agricole e di leghe nel Polesine con lo scopo precipuo di risollevare le misere condizioni dei contadini, colpiti dalla malaria per la cattiva nutrizione e sfruttati da un padronato senza scrupoli. La formazione culturale e l’esperienza politica maturano a stretto contatto con i contadini, ai quali non fa mancare la propria assistenza giuridica, difendendo le loro rivendicazioni sociali nel consiglio comunale e provinciale.
Colto e raffinato, Matteotti può intraprendere una tranquilla carriera politica tra i conservatori oppure seguire la carriera universitaria per i suoi lavori giuridici, ma preferisce dedicare la propria vita all’emancipazione dei contadini, seppure sia consapevole che questa scelta gli avrebbe nociuto sul piano personale. Tacciato di essere un «socialista milionario» e un «rivoluzionario impellicciato», Matteotti segue la sua coscienza con passione e con una dedizione quasi da calvinista. L’origine benestante non preclude a Matteotti di vivere tra la «sua gente» del Polesine, dove compie le prime esperienze politiche e il passaggio da amministratore locale a personaggio di statura nazionale. Lo studio di quel «mondo rurale» avvia l’uso di categorie interpretative come quelle relative al socialismo territoriale e di democrazia verticale dalla periferia comunale al centro statale. Tra continuità e ripresa dei codici etici, Matteotti matura una fedeltà assoluta ai valori democratici. Per questo motivo difende i principi di eguaglianza e di giustizia sociale in un’Italia che sottomette i diritti più elementari dei lavoratori al potere consolidato del ceto politico.
Lontano dai massimalisti dogmatici quanto dai riformisti inclini ai patteggiamenti o, peggio ancora, ad alleanze di opportunismo politico, Matteotti non si sente vincolato a formule teoriche astratte e professa una visione pragmatica, le cui radici affondano nella tradizione gradualista del socialismo europeo. Il confronto tra Matteotti e Turati è significativo per comprendere il socialismo riformista e l’opposizione all’insorgenza del fascismo. Non sempre concorde con il veterano del socialismo italiano, Matteotti è tra i primi a comprendere la natura eversiva del fascismo e la manipolazione dell’opinione pubblica da parte del regime dittatoriale. La costituzione del Partito socialista unitario risponde ad un’esigenza di lotta, a cui buona parte delle masse è estranea o indifferente. La centralità della Parlamento diventa così il luogo preferenziale del dialogo, ma anche di denunce per ripristinare il rapporto tra Stato e cittadino.