Premessa di Ilya Prigogine, Prefazione di Eugenio Garin, Nuova edizione accresciuta, collana “I Fari”, La nave di Teseo, Milano, 2017, Ꞓ 20,00.

Lo si può definire “il libro di una vita”. Sul tema dell’asinità in Giordano Bruno, Nuccio Ordine ha cominciato a lavorare fin dai tempi della sua Tesi di Laurea e del successivo Dottorato di Ricerca. La prima edizione di questo saggio risale al 1987: da allora, altre edizioni si sono susseguite, fino a questa, la terza, in cui l’Autore, oltre a corredare il volume di un interessante apparato di illustrazioni, è “intervenuto in molti capitoli, aggiungendo anche ex novo interi paragrafi e, soprattutto, proponendo qui e là spunti e riflessioni su probabili fonti e letture bruniane” (Avvertenza alla terza edizione, p. XXIII). Siccome, poi, su molte questioni sollevate nella prima edizione di questo libro l’Autore è tornato a riflettere in altri studi dedicati a Bruno (La soglia dell’ombra. – Letteratura, filosofia e pittura in Giordano Bruno, Contro il Vangelo armato. – Giordano Bruno, Ronsard e la religione, Tre corone per un re – L’impresa di Enrico III e i suoi misteri), non stupisce che molte riscritture siano mirate ad aggiornare il saggio alla luce di quelle ulteriori riflessioni, nonché “della produzione scientifica più recente” (Ib., p. XXV). Ho detto in apertura: il libro di una vita. A ben vedere, La cabala dell’asino è assai di più: è il libro che testimonia il progressivo ampliarsi e approfondirsi di una ricerca, secondo una prospettiva di indagine schiettamente bruniana. L’idea germinale del saggio viene da Ordine stesso enunciata nell’Avvertenza alla prima edizione, riprodotta alle pp. XXIX-XXX dell’ampio apparato introduttivo, di cui fanno parte anche la premessa di Ilya Prigogine e la “storica” prefazione di Eugenio Garin: “La lettura tradizionale dell’asinità come metaforica etichetta negativa con cui Bruno contrassegnava i suoi avversari ci è sembrata, fin dal primo momento, improduttiva; una lettura troppo facile e scontata, che non dava giustizia alla particolare attenzione che il Nolano poneva nel simbolo dell’asino” (p. XXIX). Seguendo “un percorso più complesso” (p. XXX), Ordine è riuscito a rintracciare nel pensiero di Bruno una duplicità del simbolo, che oscilla tra un polo positivo e un polo negativo. Di questa duplicità, l’Autore cerca le tracce innanzitutto nella tradizione antica, greco-romana e biblica. Nel secondo capitolo del saggio, intitolato Miti, favole racconti: i materiali “asinini”, egli individua tre coppie di opposizione legate alla figura simbolica dell’asino, quasi tutte oscillanti tra un polo positivo e un polo negativo: benefico/ demoniaco, potente/ umile, sapiente/ ignorante. È un immaginario che influisce sulla riflessione filosofica bruniana, non solo per la vastità delle letture di Giordano Bruno, ma anche per la sua straordinaria capacità di accogliere nel suo pensiero spunti e temi provenienti dalle fonti e dalle tradizioni più disparate, sintetizzandoli e rielaborandoli in modo originale: è così che da questa ricerca, che potremmo definire preliminare, emerge già quell’aspetto che fa di Bruno il massimo filosofo del Rinascimento. Seguendo puntualmente la riflessione bruniana, Ordine individua nella reazione dell’uomo alla scoperta della sua ignoranza la discriminante tra le due opposte accezioni – negativa e positiva – dell’asinità: l’ignoranza umana può infatti essere percepita o come dato inalterabile di realtà cui rassegnarsi passivamente – o di cui andare presuntuosamente orgogliosi -, o come stimolo ad intraprendere un percorso di ricerca e di conoscenza destinato a non trovare mai un approdo definitivo. Sempre seguendo la riflessione bruniana, Ordine classifica nel polo dell’asinità negativa tre categorie: i “nostalgici dell’età dell’oro”, Aristotele e gli aristotelici, cui Bruno associa gli scettici, e infine Cristo e i riformatori evangelici. Curiosa, e nel contempo significativa, è l’equiparazione di Aristotele e degli aristotelici, presuntuosamente convinti di “sapere tutto”, agli scettici, ostinatamente persuasi che “nulla si possa sapere”: a dispetto delle apparenze, per il Nolano queste due posizioni sono due facce di una stessa medaglia, perché “in entrambe, Bruno individua un atteggiamento rigido, incapace di dar vita a un rapporto positivo col sapere (…). Il “nulla sappiamo” degli scettici e il “tutto sappiamo” degli aristotelici finiscono per coincidere (…). Non ci può essere conoscenza all’interno di universi chiusi, uniformi, immobili, lontani da ogni vicissitudine del sapere.” (p. 94). Non meno “chiuso e immobile” dell’orizzonte culturale di aristotelici e scettici risulta essere quello di chi fa della “santa ignoranza” e della “pia divozione” “l’unica via di salvezza” (p.103). Qui l’affondo polemico di Bruno investe “alcuni princìpi del Cristianesimo” (p. 103), “che in nome della conquista dell’immortalità ultraterrena, invitano all’immobilismo e all’ignoranza” (p. 85). In questa sezione del saggio, particolarmente acuta è l’analisi del celebre sonetto sulla “santa asinità” premesso da Bruno alla Cabala del cavallo pegaseo: “All’immobilismo della “santa ignoranza” fa seguito il modello alternativo dell’”uman ingegno” che si interroga su “quel che fa la natura”. Non c’è posto nello spazio dell’’asinità negativa per la Fatica” (p. 104). Particolarmente dura è, poi, la polemica bruniana contro i riformatori evangelici, che con le loro “assurde pretese”, “hanno distrutto la “civile conversazione” e la pace dei popoli” (p. 108). Risuonano nelle parole di Bruno l’orrore e l’indignazione provocati in lui dalle guerre di religione: dei teologi riformati, poi, egli rifiuta categoricamente il principio della “giustificazione per sola fede”, che toglie all’uomo ogni spazio per un intervento positivo nel mondo. Ho lasciato per ultima la categoria di asini-negativi che Ordine cataloga per prima, quella dei “nostalgici dell’età dell’oro”: anch’essi “ripropongono una visione del mondo basata essenzialmente sull’immobilismo”, in cui non c’è spazio per “qualsiasi intervento dell’uomo nella costruzione della propria esistenza” (p. 89) e in cui “gli uomini vivono una indignitosa condizione di uguaglianza, costruita su un terreno comune di inoperosità” (p. 91). Col loro vagheggiamento di una primitiva età felice, in cui la natura offriva spontaneamente agli uomini il necessario per vivere, i nostalgici dell’età dell’oro bandiscono dal loro orizzonte la Fatica, cui Giove nello Spaccio de la bestia trionfante assegna un ruolo fondamentale nella riforma celeste che deve presiedere alla riforma etica e civile del mondo: siccome, poi, alla Fatica viene assegnato il compito di attingere al “polo sublime della verità”, ne deriva che bandirla dal proprio orizzonte equivale a bandire lo sforzo umano che deriva dalla tensione alla verità. “Immobilismo, santa ignoranza, arroganza, presunzione, inoperosità, rinuncia, attesa: queste le qualità negative che Bruno pone alla base della bestialità umana” (p. 110). Al polo opposto sta l’asinità positiva, che prende le mosse dall’“umile presa di coscienza della propria asinità di fronte all’infinità del sapere universale”: essa sola “può far scattare la molla della faticosa e perpetua ricerca di verità inafferrabili, sfuggenti e provvisorie” (p. 111). Oltre all’umiltà, l’altro tratto distintivo dell’asinità positiva è proprio l’accettazione della fatica imposta dalla ricerca della verità, che non ha né un limite, né un punto d’arrivo: “Ogni volta in cui riteniamo che rimanga una qualche verità da conoscere e un qualche bene da raggiungere, noi sempre ricerchiamo un’altra verità e aspiriamo a un altro bene. Insomma, l’indagine e la ricerca non si appagheranno nel conseguimento di una verità limitata e di un bene definito”, scrive Bruno in un passo del De immenso citato da Ordine: in questa prospettiva, “la verità (…) sembra coincidere con la stessa ricerca della verità” (p. 160), che “non è fatta per tutti, ma solo per quegli asini-positivi, come il Nolano, che sopportano la “soma” delle difficoltà che essa impone” (p. 136). Ulteriore caratteristica dell’asinità positiva è la Tolleranza: essa nasce dalla constatazione che “la complessità dell’Universo non può essere indagata attraverso una sola filosofia” (p. 158), per cui tante sono le vie attraverso cui ci si può incamminare alla ricerca della verità. L’intolleranza è figlia della presunzione di sapere già tutto, ed è perciò appannaggio degli asini-negativi. Non poteva poi mancare in questo saggio il riferimento all’interpretazione bruniana del mito di Atteone, che negli Eroici furori esemplifica il Furioso, la cui ricerca della divinità nell’infinita natura lo porta a farsi tutt’uno con essa, eliminando in sé ogni differenziazione: proprio per questa sua tensione alla verità, il Furioso è l’asino-positivo per eccellenza. Attraverso il mito di Atteone, “Bruno, a differenza di Cusano, salda la frattura tra la divinità e il mondo: Dio viene a identificarsi con la materia che produce tutto, con la natura che vivifica ogni cosa” (p. 166). Oltre alla rilettura del mito di Atteone, altri aspetti del pensiero di Bruno vengono recuperati dall’Autore attorno al polo dell’asinità positiva: in particolare, merita di essere ricordata la riflessione sul tema del silenismo, che affonda le sue radici nel celebre elogio di Socrate tessuto da Alcibiade nel Simposio di Platone, e che invita a non fermarsi alle apparenze, ad andare oltre alla “rozza scorza dell’asino” per scoprire i tesori di sapienza celati al di sotto di essa. Riproponendo questo tema, Bruno distingue, sulla scorta di Erasmo da Rotterdam, tra “veri Sileni” e “falsi Sileni”. La distinzione è perfettamente parallela a quella tra asini-positivi e asini-negativi: sono “veri sileni” coloro che non si curano dell’aspetto esteriore e celano sotto un’apparenza trasandata un sapere autentico, mentre, per converso, sono “sileni negativi” (o “antisileni”) coloro che sotto e dietro ad un’immagine esteriore curata fino all’ostentazione mascherano la loro vacuità interiore e la loro ignoranza. A questo punto, il pensiero del lettore non può non correre alla descrizione di Nundinio e Torquato, i due pedanti di Oxford sostenitori del geocentrismo con cui Bruno discute nella Cena delle ceneri, “uomini da scelta, di robba lunga, vestiti di velluto, un de’ quali avea due catene d’oro lucente al collo”, che guardano con disprezzo “al petto del Nolano, dove più tosto arrebbe possuto mancar qualche bottone”. Eppure, sono proprio i due “uomini da scelta, vestiti di velluto” a difendere nel dialogo una falsa visione del mondo. Sono riflessioni che rivelano una sorprendente e inquietante attualità. L’indagine di Nuccio Ordine arriva ad investire anche il problema della lingua, dello stile, della scrittura e dell’anticlassicismo – e antipetrarchismo – bruniani: “Quale lingua per la rivoluzione filosofica bruniana?” è il significativo titolo di un paragrafo del cap. 13, tutto dedicato al problema della scrittura bruniana e della sua ”entropia”. In sede critica, lo stile di Bruno è stato spesso definito “barocco” e artificioso: è un giudizio di vecchia data, che risale addirittura a Carducci e a De Sanctis. Certo, la sua prosa non è di facile lettura; ma dopo la riflessione di Nuccio Ordine sul Bruno scrittore, risulta semplicistico liquidarlo col giudizio di “artificiosità”. Nella visione bruniana, anche il linguaggio e la scrittura, con la loro complessità, debbono testimoniare non solo la complessità del reale, ma anche e soprattutto “la rottura col chiuso universo aristotelico” e “la rivoluzione cosmologica e gnoseologica del Nolano” (p.245). A lettura ultimata, si scopre che quello dell’asinità è a tutti gli effetti uno dei temi-chiave della “nolana filosofia”, attorno a cui si può costruire una sintesi completa, efficace ed esauriente del pensiero di Giordano Bruno. Altro pregio del volume è costituito dalle abbondanti ed estese citazioni testuali, tratte per lo più (ma non solo) dai Dialoghi italiani, che vengono a costituire una ricca antologia, utile e preziosa per chi si accosti per la prima volta alla lettura di Bruno.

  “È un libro che mi è costato tanta fatica”, mi ha confidato l’Autore. Si vede. Ed è una fatica ben spesa leggerlo.