Ha fatto “rumore” la sentenza sulla tragedia dell’hotel Rigopiano avvenuta il 18 gennaio 2017. Tutti noi ricordiamo il grande impatto mediatico per quella devastante valanga che uccise 29 persone travolgendo in pieno la struttura dell’hotel. L’accusa aveva chiesto 26 condanne per un totale complessivo di 151 anni e mezzo di reclusione e quattro assoluzioni. La sentenza sancisce l’assoluzione di 25 imputati perché “il fatto non sussiste”. Dunque cinque sole condanne che cumulano così dieci anni e quattro mesi in totale, di gran lunga inferiori rispetto alle richieste della procura. Alla lettura della sentenza si è scatenata la rabbia dei parenti delle vittime con lacrime e urla, rabbia tale da richiedere l’intervento delle forze dell’ordine.  Senza entrare nel merito delle sentenze, alcune osservazioni mi sorgono spontanee. Abbiamo assistito ad un’onda mediatica che grida allo scandalo successivamente al pronunciamento in aula. Nel nostro Paese appare molto semplice gridare allo “scandalo” con attacco alla Magistratura quando le sentenze non vanno nella direzione dell’accusa. Inoltre risulta molto più facile per certa critica e per certa stampa enfatizzare, non solo le mancate condanne, ma troppo spesso il semplice fatto che qualcuno venga indagato, rovinando così la vita della persone coinvolte, le quali restano così “marchiate” in attesa di processo. Per non parlare dei diversi casi mediatici che poi si sono rivelati essere veri e propri errori giudiziari a processi conclusi da tempo. Il ruolo svolto dall’informazione in materia di Giustizia è davvero cruciale e dovrebbe essere svolto il più possibile con equilibrio. Spesso si perde l’occasione per rimarcare che la “giustizia” non è quella che condanna a prescindere o che consegna colpevoli da dare “in pasto” all’opinione pubblica o alle vittime. La Giustizia che funziona è una Giustizia che rispetti e segua sempre i principi cardine dello Stato di Diritto.