In Italia non si conosce e non si studia nelle scuole la filosofia. È una disciplina che si apprende solo all’università da parte di quelli che, per passione, autentico interesse, imparano a studiarla. La filosofia che si impara nei nostri licei è ferma al Settecento cioè alla vigilia della Rivoluzione francese. Ciò perché i primi manuali che lodevolmente si pubblicarono per divulgare il pensiero dei filosofi furono scritti nell’Ottocento da divulgatori che in gran parte ignoravano la filosofia contemporanea sia italiana, sia soprattutto straniera. La loro formazione aveva le sue basi nella filosofia illuministica che tuttavia appariva loro un po’ vecchia. Il fatto è che non è facile leggere e interpretare un libro di filosofia e più ancora il pensiero di un filosofo che nel corso della sua vita muta orientamento per ragioni complesse ma del tutto comprensibili. I manuali di filosofia pubblicati in Italia nel Novecento hanno in gran parte fatta salva l’impostazione tradizionale, svolgendo negli ultimi capitoli qualcosa che somiglia a un aggiornamento. Ma ti voglio a tirar fuori da tanti di quei manuali qualcosa che somigli a una prospettiva di pensiero che possa nel suo complesso dirsi tipica del Novecento! E siamo nel Duemila! Per chi come me ha studiato filosofia, tutta la vicenda del processo ad Alfredo Cospito è anacronistica. Lo è sul piano della logica, perché la logica bivalente del vero e del falso è stata superata prima dalla logica trivalente del sì, del no e del non lo so, quindi da quella polivalente del sì, del no, del forse, del chissà, dell’indecidibile, magari perché, vedessi mai, ci sono asserzioni che non hanno senso. È il caso della famosa esclamazione di Wittgenstein che propose di riflettere sulla frase “Piove ma non ci credo”. Ma su questo mi riservo di tornare più avanti, evitando di parlare della logica fuzzy e di quanto ne è derivato. La vicenda del processo Cospito è anacronistica sul piano culturale perché la visione anarchica è così poco condivisa da essere propugnata, come abbiamo visto in questi giorni, almeno in Italia, da pochi che, a conti fatti, non hanno la forza di dar vita a un movimento unitario. L’impressione, oltretutto è che ciascun anarchico abbia una sua visione dell’anarchia. Da questo punto di vista processare un anarchico in quanto complottista, è quasi come fare un processo a un garibaldino redivivo, che minacci le mura vaticane, al grido “Vaticano o morte!”. È anacronistica sul piano sociologico perché è priva di senso una condanna a scopo preventivo, dove per scongiurare il rischio che si compiano reati, non si assicurano i cittadini sospetti alle patrie galere, ma si aprono ospedali, si rendono le scuole rispondenti alle reali necessità dei cittadini, e si fa del carcere un luogo seriamente rieducativo. A questo punto la voglia di delinquere viene fatalmente meno. Ora, se fare tutto questo costa troppo, non si giustificano poi misure prese per sanare l’economia per poi scoprire che, per dirla alla padovana, “xe pèso el tacòn del buso”. Ricordo infine che in Italia la legge proibisce il suicidio assistito. Ora io non sono un medico ma mi dicono che la morte per fame sia dolorosa. Ciò significa che un’iniezione sedativa fatta per soccorrere il moribondo possa decretarne accidentalmente la fine, inducendo di fatto una “dolce” morte. Parlo di cose che conosco poco, ma sono certo che, qualora la situazione ipotizzata diventasse concreta, non si introdurrà nel nostro paese una legge che permetta da un giorno all’altro quel che non è permesso. Sennò tutti gli italiani imparerebbero il padovano. Certo tornando alle questioni di logica, per come Wittgenstein seppe vederle, ne deriverebbe che tanto il governo quanto i “compagni” di Cospito, potrebbero trovarsi d’accordo su una medesima conclusione: “Alfredo Cospito si è suicidato, ma non ci credo”.
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