Tre volumi diretti da Giovanni Barberi Squarotti e Mariarosa Masoero
raccolgono romanzi, racconti, poesie, opere teatrali, articoli e la tesi di laurea

Tre volumi in cofanetto, per far conoscere il complesso degli scrittiediti e inediti di Mario Lattes (1923-2001), a vent’anni dalla morte, e considerare per la prima volta nella sua effettiva estensione e nel suo rilievo la presenza di Lattes nella scena letteraria del secondo Novecento. È l’insieme di Opere di Mario Lattes, pubblicato da Leo S. Olschki Editore, in libreria dal 3 maggio 2021, fortemente voluto da Caterina Bottari Lattes, che nel 2009 ha creato la Fondazione Bottari Lattes per portare avanti iniziative ispirate al lascito culturale dell’autore e promuovere presso il grande pubblico l’ampio patrimonio delle sue opere. Editorepittoreincisorescrittorecollezionista e animatore culturale, Lattes fu un intellettuale dai molteplici interessi e dalla personalità eclettica, testimone lucido e anticonformista del suo tempo, capace di misurarsi con l’arte, la letteratura, l’editoria e la promozione culturale.

Materiale di cartella stampa (biografie curatori, biografie lattes, foto):
https://fondazionebottarilattes.it/opere-di-mario-lattes-olschki/

Opere di Mario Lattesla cui edizione è diretta da Giovanni Barberi Squarotti e da Mariarosa Masoero, a vent’anni dalla morte dell’autore, raccoglie numerosi testi di Lattes che erano andati dispersi nel corso degli anni e un corpus importante di materiale inedito, riuniti grazie a un’attenta revisione portata avanti secondo criteri filologici, anche sulla base delle carte autografe conservate negli archivi personali (recentemente riordinati e tutelati dalla Soprintendenza), conservati presso la casa editrice Lattes e la Fondazione Bottari Lattes.

I tre volumi comprendono: 6 romanzi (La stanza dei giochi del 1959, l’inedito L’esaurimento nervoso scritto tra il 1964 e il 1965, Il borghese di ventura del 1975, L’incendio del Regio del 1976 candidato al Premio Strega 1977, L’amore è niente del 1982, Il Castello d’Acqua uscito postumo nel 2004 e ora pubblicato nell’ultima redazione messa a punto dall’autore), più di 60 racconti (tra cui la raccolta Le notti nere), le poesie2 opere teatrali, la tesi di laurea Il Ghetto di Varsavia e i tanti articoli, saggi recensioni scritti da Lattes per diverse testate italiane, fra le quali La Gazzetta del Popolo e la rivista da lui fondata, Questioni. Una produzione letteraria che spazia tra diversi generi letterari e si fonda su un autobiografismo sui generis, nel quale il grigiore e l’apatia della quotidianità si mescolano alle distorsioni del sogno, della memoria e del ricordo. A una minuziosa e accurata descrizione della realtà esteriore fanno da contraltare sogni e ricordi che proiettano la narrazione in un orizzonte simbolico e universale.

Ogni volume è accompagnato da immagini di riproduzioni di appuntimanoscrittidattiloscritti e lettere di Mario Lattes, in cui schizzi di disegni arricchiscono il contenuto, oltre che di opere pittoriche selezionate tra quelle che più hanno attinenza con i temi dei testi affrontati negli scritti.

Il progetto editoriale che ha portato alla realizzazione dei tre volumi è il frutto del lavoro di squadra di docenti e studiosi membri del Comitato scientifico per l’Edizione delle Opere di Mario LattesMariarosa Masoero, che, oltre alla direzione editoriale, ha curato la sezione PoesieGiovanni Barberi Squarotti, che, oltre alla direzione editoriale, ha curato la sezione RaccontiLoris Maria Marchetti, che ha curato l’introduzione e il commento al romanzo Il Castello d’Acqua; Gioele Cristofari, che ha curato il testo del romanzo Il Castello d’AcquaAlessandro Botta, che ha curato la sezione Scritti giornalistici, saggi e contributi criticiSimona Dinapoli, che ha curato la biografia e la bibliografia di Mario Lattes; Luca Federico, che ha curato l’introduzione, il testo e le note del romanzo La stanza dei giochiGiacomo Jori, che ha curato la pubblicazione della tesi Il ghetto di VarsaviaDamiano Moscatelli, che ha curato l’introduzione, il testo e le note del romanzo L’amore è niente; Stefano Penna, che ha curato l’introduzione, il testo e le note del romanzo Il borghese di venturaFulvio Pevere, che ha curato l’introduzione, il testo e le note al romanzo L’esaurimento nervosoMoreno Savoretti, che ha curato la sezione Opere teatrali e introduzione, testo e note del romanzo L’incendio del Regio.

Opere di Mario Lattes si inserisce tra le iniziative e i progetti che celebreranno nel 2023 i 100 anni dalla nascita di Lattes, la cui vita e la cui opera rappresentano un unicum nel panorama culturale del secondo Novecento non solo piemontese, e i 130 anni dalla nascita della casa editrice Lattes, fondata nel 1893 a Torino dal nonno di Mario Lattes. Come avvicinamento alle celebrazioni del centenario, la Fondazione Bottari Lattes ha intanto inaugurato un viaggio tra le opere pittoriche di Mario Lattes con la mostra “I mondi di Mario Lattes #1” allestita nella sede di Monforte d’Alba, esponendo per la prima volta alcuni dipinti recentemente acquisiti da collezionisti privati.

Dall’introduzione a Opere di Mario Lattes di Giovanni Barberi Squarotti:

«Attraverso le carte dell’archivio si è aperta la porta del laboratorio dello scrittore ed è stato possibile riportare alla luce una serie importante di inediti: alcuni racconti e alcuni scritti di carattere saggistico, un manipolo di poesie, i testi e gli abbozzi teatrali, ma soprattutto due romanzi, L’esaurimento nervoso (scritto nel 1964-65), che riempie la casella degli anni Sessanta, e Il Castello d’Acqua (quest’ultimo, in realtà, pubblicato postumo nel 2004, ma in una redazione intermedia, e ora restituito in quella che è sicuramente l’ultima stesura licenziata dall’autore). Il quadro è completo. E al suo interno si possono cogliere fasi, direttrici, linee di sviluppo, elementi di continuità e ripensamenti. È evidente, per esempio, che il rifiuto dell’Esaurimento nervoso da parte degli editori a cui fu offerto determina una riflessione sulle implicazioni e sulla funzione della dominante autobiografica e mette capo ai romanzi degli anni Settanta, Il borghese di ventura e L’incendio del Regio, nei quali al centro non è semplicemente la coscienza in sé e l’interiorità nella sua evidenza per quanto lacerata, ma il conflitto fra l’io e la storia o fra l’io e l’evoluzione della società e dei costumi. Qualcosa di simile avviene con Il Castello d’Acqua, concepito nei primi anni Ottanta e condannato dal rifiuto di Einaudi: la condanna provoca l’abbandono del piano più strettamente memorialistico – memoria personale o familiare che sia, già a fondamento del primo romanzo, La stanza dei giochi – e apre la strada all’architettura allegorica e metaletteraria dell’Amore è niente (1985).»

«Se dovessimo indicare un fenomeno che contraddistingue i processi compositivi di Lattes e che ricorre con frequenza statisticamente rilevante nelle sue opere, questo è la riscrittura di sé, la riassimilazione del già detto, il travaso da un testo all’altro o da un genere all’altro (specialmente dal racconto al romanzo e viceversa). L’impressione è che alla base ci sia un profondo sedimento di temi archetipici con una forte valenza simbolica e che su questa base la scrittura proceda nel suo percorso di ricerca anche come riformulazione e progressivo avvicinamento.»

APPROFONDIMENTI

La stanza dei giochi

La stanza dei giochi è la storia di Dino, ragazzo ebreo venuto su tra un padre incline alla musica classica e al misticismo, e le lunghe sedute nel salotto della nonna. La sua vecchia città, l’appartamento antico dov’egli trascorre quegli anni, sono i suoi primi, inesauribili giocattoli. Da cui non si staccherà senza trovarsi, di fronte alla vita, sconcertato e inadatto. Alla grande fuga del ’43, seguono il lungo vagare per campagne, grosse bevute di vino, nascondigli. Quando poi tutto finisce non gli rimane – della riottenuta libertà – se non la sconcertante coscienza che la grande vacanza, l’ultima possibilità di giocare, si sia definitivamente conclusa con quegli anni terribili. E un senso amaro di vecchiaia incombente sulla vita troppo difficile.

L’esaurimento nervoso

Nell’Esaurimento nervoso l’anonimo protagonista, trasparente proiezione dell’autore, descrive in prima persona l’evolversi di una malattia nervosa, la cui origine è da lui fatta risalire al trauma incancellabile della morte per parto della madre, che lo porta a una radicale presa di coscienza dell’assurdità del reale, il quale smarrisce progressivamente ai suoi occhi i propri contorni consueti, tramutandosi in un universo dissestato e onirico, avvertito come minaccioso, estraneo e impenetrabile, dove l’io stesso finisce per frantumarsi, perdendo ogni integrità. Il viaggio in Svizzera che il narratore intraprende nella speranza di distrarsi, e che occupa gran parte dell’opera, si svolgerà così interamente in un’atmosfera allucinata, una sorta di erebo umido e nebbioso dal quale egli riemergerà definitivamente prigioniero dei propri fantasmi e delle proprie ossessioni, nella sola consapevolezza dell’insensatezza del mondo.

Il borghese di ventura

Ne Il borghese di ventura, pubblicato da Einaudi nel 1975, l’autore ripercorre in prima persona le tappe del suo peregrinare per l’Italia dall’ottobre 1943, quando, non ancora ventenne, lascia Torino alla volta di Roma, per sfuggire alle persecuzioni nazifasciste, fino alla fine della guerra, annunciata dalla notizia dell’armistizio tra la Germania e gli Alleati. La narrazione storica e autobiografica si palesa come pretesto per lo scavo nelle profondità della condizione umana – vero centro del romanzo – sviluppandosi attraverso un intreccio di riflessioni, ricordi, simboli in cui, talvolta, i confini tra reale e surreale risultano sfumati. Il conflitto offre al protagonista-narratore l’occasione per esplorare il mistero dell’esistenza, penetrandone i recessi più lontani e oscuri, in cerca di quell’identità che egli crede esista solo al di sotto delle forme convenzionali. La sua, però, è una ricerca dall’esito tragico, perché approda all’unica conclusione che una vita al di fuori delle forme convenzionali è impossibile; perciò, conclusa la «grande vacanza» della guerra, a lui toccherà rientrare negli abiti consueti e orientare la propria vita verso uno scopo, come impone la norma.

L’incendio del Regio

Pubblicato da Einaudi nel 1976, L’incendio del Regio mette in scena la tragica esistenza del protagonista, alter ego dello stesso Lattes, che non riesce a ritrovare una serena quotidianità dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il ricordo iniziale dell’incendio che nel ’36 distrusse il Teatro Regio di Torino accende il flusso dei ricordi, che si confondono e si alternano con il presente, i sogni a occhi aperti, le riflessioni, le fantasticherie. Un flusso avvolgente e ipnotico che scardina qualsiasi convenzione narrativa e si condensa in un continuum affabulatorio denso e magmatico, oggettivazione della condizione esistenziale del protagonista: un uomo che non soltanto non sa adattarsi al mondo circostante, ma che in fondo non ha neppure il desiderio di farne parte. Prigioniero di un’esistenza divisa tra la mediocrità del lavoro alla «Gazzetta Stenografica» e il rapporto sempre più degradato con la moglie Lu (di cui accetta la dipendenza dall’alcol e le continue infedeltà), non gli resta che rifugiarsi nella rassicurante ripetitività di gesti quotidiani spesso assurdi e ancor più nella dimensione interiore dell’immaginazione, dove, tra incontri e viaggi surreali, prendono corpo sogni e desideri e trovano sfogo le pulsioni più inconfessabili.

L’amore è niente

Il romanzo L’amore è niente è incentrato sulle vicende e, soprattutto, sui pensieri dell’anonimo protagonista, un piccolo borghese, proprietario di un negozio di ottica e scrittore con velleità di pubblicazione. L’avanzare della narrazione corrisponde allo svelamento progressivo di un soggetto scisso e allucinato, che richiede un allontanamento e un contestuale sdoppiamento nel personaggio di Nathan Glazer, inventato dal protagonista stesso, come se soltanto l’osservazione potesse mettere l’io narrante nelle condizioni di raccogliere qualche indizio per un’autodefinizione identitaria. Il lettore si trova, così, immerso nei pensieri del narratore e nella sua realtà diffidente, incerta e inaffidabile, osservando il dipanarsi di alcuni nuclei diegetici fondamentali: un matrimonio concluso malamente, la scrittura di un romanzo incoerente ma potenzialmente rivelatore, una pseudo-storia d’amore con una conduttrice televisiva, prefigurazione simbolica del nostro sistema consumistico e delle contraddizioni della nostra cultura dell’apparenza.

Il Castello d’Acqua

È la storia di una famiglia della borghesia ebraica torinese attraverso le vicende di tre generazioni, dal 1911, anno dell’Esposizione Universale di Torino celebrativa del cinquantennio dell’unificazione italiana, agli anni Settanta. Nel progresso della narrazione – che ingloba avvenimenti storici come la Prima guerra mondiale, l’età fascista, la legislazione antisemita, il secondo conflitto mondiale, la nuova società italiana che nasce – il racconto si accentra sull’ultimo membro maschile della famiglia (proiezione autobiografica dell’Autore), conservando nella città di Torino il teatro principale, se pur non unico, degli avvenimenti. Il Castello d’Acqua, «grande fontana destinata a innalzarsi lassù sulla collina, tra due campanili con la statua della Patria in mezzo: meraviglia di domani, quando dai suoi cento getti, cascatelle, rivoli serpeggianti, illuminati, elettricamente, sarebbero piovuti – spettacolo indimenticabile – smeraldi zaffiri e rubini di luce», simboleggia la fede nella forza di una civiltà e di una cultura fondate sui valori ottimistici del Positivismo (che la Grande Guerra distruggerà). Ma l’acqua è pur indice di mutamento, di fuga, è l’elemento che scorre, che non dà stabilità, che passa e tutto trascina e travolge, anche – metaforicamente – valori morali, speranze, sentimenti. Il condominio ultramoderno degli anni Settanta, che, nel capitolo conclusivo, fa pendent al Castello d’Acqua mostrando (non senza un tocco ironico) «prestigio e armonia», segnala un contesto sociale e culturale rovesciato e stravolto, contraddittorio, incerto, un mondo dove il benessere e l’opulenza (con la loro volgarità e superficialità) non sembrano sufficienti a sanare le percosse della vita e della storia, il bruciore delle delusioni e delle perdite, le ferite dello spirito, il vuoto dell’anima accumulatisi nei decenni.

I racconti

La produzione narrativa breve di Mario Lattes è ricostruita in tutta la sua estensione, che comprende, oltre all’unica raccolta pubblicata (Le notti nere), i numerosi racconti dispersi, usciti su rivista o su quotidiano (in particolare sulla Gazzetta del Popolo), e alcuni testi inediti ritrovati nell’archivio dello scrittore. L’esercizio sul racconto per Lattes è sicuramente un banco di prova per il romanzo, ma è anche vero che nella forma breve lo scrittore trova la possibilità di un’ampia e libera sperimentazione di generi: il racconto a base memoriale e autobiografica, il racconto di viaggio, la tranche de vie urbana o di provincia, il ritratto satirico, il poliziesco e soprattutto il racconto fantastico con venature surrealiste. Grande la varietà anche per quel che riguarda i temi e le attitudini della scrittura, sia pure entro il raggio che circoscrive l’esperienza narrativa di Lattes: l’incombenza della morte, il personaggio «senile», che rinuncia a vivere o, meglio, aspira a vivere come se fosse morto, la necessità alienante di portare una maschera o di travestirsi per vivere, l’ironia del tono e della rappresentazione, anche divertita ma per lo più amara e ombrosa, il ricorso al linguaggio colloquiale accanto a forme decisamente auliche e ricercate.

Le poesie

Le poesie di Mario Lattes, documento di una produzione marginale, se paragonata a quella narrativa, ben più corposa e variegata, sono esemplari di quella faticosa ricerca, esistenziale e creativa, sottesa a ogni suo tratto di penna e di pennello. Poesia e pittura sofferte, insomma, nelle quali Mario Lattes non smette per un attimo di raccontarsi. I vari componimenti, scritti dapprima a mano, poi corretti e ricorretti, indi dattilografati per essere corretti ancora, testimoniano un lavoro che va ben oltre l’appunto intimo, il soggettivismo lirico, il semplice sfogo, il sogno che si fa memoria, il ricordo che acquista contorni onirici. Nella presente edizione le poesie sono state suddivise in tre sezioni: la prima comprende le poesie pubblicate dall’autore in volume (due le raccolte da lui licenziate); la seconda quelle uscite su rivista o in cataloghi, secondo l’ordine di pubblicazione; la terza i molti componimenti inediti.

Le opere teatrali

La produzione teatrale di Mario Lattes, finora inedita, si compone di un abbozzo di poche scene, a cui è stato attribuito il titolo redazionale [Il condominio], e dell’atto unico La testa.

Ne [Il condominio] Lattes recupera lo schema tipico della commedia antica e cinquecentesca dei due innamorati contrastati nel proprio amore dall’opposizione paterna, innestandovi il motivo, inconsueto, della gelosia da parte del giovane per la presunta infedeltà della ragazza.

I materiali superstiti di questo probabile esercizio giovanile rimasto incompiuto, vengono recuperati dopo la metà degli anni ’70 e rifusi ne La testa. La vicenda, che si svolge nel nuovo appartamento acquistato dai due protagonisti, Baldo e Alda, si pone fin da subito sotto il segno dell’incomunicabilità, efficacemente rappresentata nei dialoghi surreali tra Baldo – ennesima figura di inetto della galleria lattesiana – e i vari personaggi che si alternano sulla scena, e di cui lui solo pare cogliere l’assurdità. Incomunicabilità che caratterizza anche il rapporto fra i due coniugi, un rapporto apparentemente sereno, da perfetta coppia borghese, ma che poco alla volta mostra il proprio lato nascosto: l’atteggiamento passivo di Baldo di fronte alle osservazioni sempre più incalzanti della moglie fanno emergere un sostrato di insoddisfazioni e incomprensioni, la cui origine risiede nella deformità fisica dell’uomo, incarnazione al tempo stesso reale e metaforica di un legame con il passato che Alda non è più disposta ad accettare.

Il Ghetto di Varsavia

Il Ghetto di Varsavia, scritto nella seconda metà degli anni Cinquanta e rimasto inedito per mezzo secolo, è il primo e a tutt’oggi più completo studio sul Ghetto di Varsavia scritto da un autore italiano. È la toccante ricerca di uno scrittore che si interroga sul suo destino di ebreo, nonché di uomo e artista del suo tempo. Il volume ripercorre i tragici avvenimenti di quel periodo, dalla resa di Varsavia, 1939, ai massacri dell’aprile ’42, facendo riferimento alle voci delle vittime, in testimonianze inedite, e ai documenti dei carnefici. Lattes fu il primo in Italia e fra i primi al mondo a servirsi delle fonti storiche conservate negli Archivi di Varsavia. L’introduzione di Giacomo Jori dà conto della mancata pubblicazione, all’inizio degli anni Sessanta, presso Einaudi. Il volume è uscito per la prima volta nel 2015 a Lugano, presso le Edizioni Cenobio.

Scritti giornalistici, saggi e contributi critici

La sezione ripercorre due filoni probabilmente meno noti dell’attività di Mario Lattes scrittore: l’impegno giornalistico e l’attività di scrittura destinata a cataloghi di eventi espositivi. A partire dal 1949, Lattes incomincia a scrivere per riviste e quotidiani nazionali, occupandosi prevalentemente di questioni legate alle arti figurative. Un impegno che lo vede esordire sulla rivista triestina «Vernice. Rassegna d’arte», per approdare pochi anni più tardi all’importante settimanale culturale «La Fiera letteraria», proseguendo poi sulle pagine del quotidiano torinese «Gazzetta del Popolo» sino agli anni ’70. Le occasioni della scrittura – al di là delle circostanze giornalistiche – rappresentano una costante anche nel suo percorso di artista. Nei cataloghi delle sue mostre Lattes affianca alla produzione di pittore brevi ritratti autobiografici, riflessioni legate a specifici argomenti o ricordi della Torino del dopoguerra. Accezioni per nulla marginali, che mostrano quanto l’urgenza narrativa si possa, per Lattes, esplicitare complementarmente, attraverso espressioni e linguaggi differenti.

La Fondazione Bottari Lattes

La Fondazione Bottari Lattes è nata nel 2009 a Monforte d’Alba (Cn), dalla volontà di Caterina Bottari Lattes. Ha come finalità la promozione della cultura e dell’arte e l’ampliamento della conoscenza del nome di Mario Lattes (1923-2001) nella sua multiforme attività di pittore, scrittore, editore e animatore di proposte culturali. Porta avanti iniziative di studio e di ricerca culturale, curandole direttamente o in collaborazione con altri enti o istituzioni, e organizza progetti e appuntamenti culturali. Tra le principali attività: il Premio letterario internazionale Lattes Grinzane, il Premio biennale Mario Lattes per la Traduzione, mostre di arte e fotografia, i progetti per le scuole come Vivolibro, i convegni.

All’interno della sede della Fondazione Bottari Lattes, in via Marconi 16, a Monforte d’Alba, è stato istituito il nuovo Centro Studi Mario Lattes, un luogo di ricerca e di approfondimento di tutte le attività che ruotano attorno alla figura di intellettuale, scrittore, artista ed editore di Lattes e che riunirà: la Biblioteca Mario Lattes, l’Archivio delle carte di Mario Lattes e di altri fondi documentali in possesso della Fondazione e la Quadreria dei dipinti Mario Lattes. Il centro Studi opererà in sinergia con il Ministero della Cultura, le Università e tutte le Istituzioni culturali che nel tempo verranno coinvolte dalla sua programmazione, in modo da costruire un ecosistema di alto valore scientifico e culturale capace di fare rete su tutto il territorio nazionale e di collaborare con Istituzioni internazionali.

Al primo e al secondo piano della Fondazione è allestita la mostra I mondi di Mario Lattes #1, la prima tappa di un viaggio artistico attraverso i dipinti di Lattes, molti dei quali mai esposti prima, che sono stati acquisiti di recente a collezionisti privati per arricchire e rendere il più completo possibile il patrimonio dell’archivio.

Nel 2017 la Città di Torino-Presidenza del Consiglio Comunale ha intitolato a Mario Lattes i giardini pubblici di Piazza Maria Teresa, come riconoscimento all’impulso culturale profuso da Lattes nei suoi tanti impegni e iniziative portati avanti nel capoluogo piemontese.

Fondazione Bottari Lattes

0173.789282 – segreteria@fondazionebottarilattes.it, book@fondazionebottarilattes.it

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Ufficio stampa: Serena Ruffilli pressoffice@olschki.it

Comitato scientifico per l’edizione Opere di Mario Lattes
Maria Rosa Masoero
Mariarosa Masoero, già professore ordinario di Letteratura italiana presso l’Università degli Studi
di Torino e direttore del Centro Interuniversitario «Guido Gozzano – Cesare Pavese» dello stesso
Ateneo, nel quinquennio 2013-2018 è stata presidente della Fondazione “Centro di Studi
Alfieriani” di Asti. La sua attività scientifica si è orientata dapprima sulla letteratura del Cinque e
del Seicento con attenzione ai problemi legati ad alcuni generi letterari (la favola pastorale, la
letteratura di viaggio, l’autobiografia e l’epica). Si è poi occupata, a più riprese, di autori del
Novecento: oltre a Giovanni Arpino e a Lalla Romano, Guido Gozzano e Cesare Pavese, procurando
edizioni commentate di testi inediti: il Quaderno dantesco e il Quaderno petrarchesco,
l’epistolario giovanile con Ettore Colla e il copione cinematografico San Francesco d’Assisi, per
quanto riguarda Gozzano; Le poesie, Tutti i racconti, gli Scritti e soggetti cinematografici e Il
quaderno del confino del secondo. Sempre di Cesare Pavese sono usciti, nel 2003, il romanzo a
quattro mani con Bianca Garufi Fuoco grande, nel 2011 il carteggio inedito tra Cesare Pavese e
Bianca Garufi, la donna più importante per la sua scrittura creativa, e nel 2020 quello tra Cesare
Pavese e Nicola Enrichens, per dieci anni Direttore della scuola elementare di S. Stefano Belbo.
Studi su Maria Savi Lopez, Carola Prosperi e Paola Guglielminetti, cugina della più nota Amalia,
documentano i suoi interessi per la letteratura femminile di fine Ottocento e inizio Novecento. Ha
curato due volumi dell’edizione nazionale delle opere di Vittorio Alfieri (Traduzioni, da Virgilio e da
Terenzio). Da alcuni anni si interessa della memorialistica della deportazione.
Giovanni Barberi Squarotti
Professore associato di Letteratura italiana, dal 2001 al 2008 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università della Calabria; dal 2008 presso l’Università di Torino, Dipartimento di Studi
Umanistici. Presidente della Commissione per l’Edizione Nazionale delle Opere di Giovanni Pascoli,
socio dell’Associazione degli Italianisti e della Società dei Filologi della Letteratura Italiana.
Coordinatore del Comitato scientifico della Fondazione Bottari Lattes. Laureato in Letteratura
greca presso l’Università di Torino. Ha collaborato alla redazione del Grande Dizionario della
Lingua Italiana di Salvatore Battaglia (UTET) ed è stato redattore del Grande Dizionario Italiano
diretto da Tullio de Mauro. Concentra le sue ricerche sulle poetiche del classicismo e sui rapporti
fra letterature antiche e letteratura italiana, con particolare attenzione a Dante, Petrarca, Carducci,
Pascoli e il classicismo di fine Ottocento. Ha studiato tra l’altro il tema della caccia nella letteratura
italiana («Selvaggia dilettanza». La caccia nella letteratura italiana dalle origini a Marino, Marsilio,
2000; La caccia nella letteratura della corte sabauda, Zamorani, 2010), la moderna traduzione
d’autore dei classici greci e latini, pubblicando l’edizione critica della traduzione delle Odi di Orazio
realizzata da Cesare Pavese (Olschki, 2013). Ha pubblicato edizioni commentate di opere di autori
greci e umanisti e ha curato il commento a Poemi conviviali, Poemi italici, Canzoni di Re Enzio,
Poemi del Risorgimento, Inno a Roma, Inno a Torino di Giovanni Pascoli (UTET, 2009). Per
l’Edizione Nazionale delle Opere di Giovanni Pascoli sta curando l’edizione dei Poemi del
Risorgimento.
Loris Maria Marchetti
Loris Maria Marchetti (Villafranca Sabauda, 1945) si è laureato in Lettere Moderne alla scuola
torinese di Giovanni Getto. Saggista di letteratura e di musica, ha collaborato e collabora a
importanti riviste (Lettere Italiane, Nuova Antologia, Rassegna Musicale Curci, nuova informazione
bibliografica, ecc.), a giornali (l’Umanità, Il nostro tempo), a miscellanee, Festschriften,
enciclopedie, e ha pubblicato: Il secondo Ottocento e Il Novecento (entrambi in collaborazione con
Folco Portinari; Marietti, 1976), Pascoli (Marietti, 1976); Un Santo e una Dea e altre cronache di
iniziazione (Edizioni dell’Orso, 1994), Carducci e Wagner. Un incontro europeo (Pàtron Editore,
2009), “Espressione senza immagine”. La musica nel pensiero e nell’opera di Alfredo Oriani (Società
Editrice “Il Ponte Vecchio”, 2011), Muse a Torino. Figure della cultura dell’Otto e Novecento
(Achille e La Tartaruga, 2013). Ha curato edizioni di Classici e, tra l’altro, il volume di AA. VV., Mario
Lattes: narrativa e questioni di cultura (Fondazione “Mario Lattes” 2007). Come poeta ha all’attivo
una ventina di titoli, spesso premiati (tra i riconoscimenti più importanti: il Premio Torino, 1979; il
Bergamo-Cenacolo Orobico, 1981; il Città di Moncalieri, 1990; il Marcel Proust, sezione Poesia,
2018). Come narratore ha pubblicato tre volumi di racconti e un romanzo breve, conseguendo il
Premio Letterario Pannunzio (1988) e il Premio Goffredo Parise, per la sezione Narrativa (2008).Dal
1989 dirige la collana La linea d’ombra per le Edizioni dell’Orso di Alessandria. Dal 2007 è
condirettore degli Annali del Centro di Studi e Ricerche Mario Pannunzio di Torino. È componente
del Comitato Scientifico della Fondazione Bottari Lattes di Monforte d’Alba. Nel 2017 gli è stato
attribuito il Premio Francesco de Sanctis. Una vita per la cultura.
Alessandro Botta
Alessandro Botta si è formato a Torino e ha svolto il Dottorato di ricerca in Storia dell’arte presso
l’Università degli Studi di Udine, ateneo dove ha precedentemente concluso il percorso di Scuola
di Specializzazione. Si è occupato di fonti visive dell’arte italiana tra Ottocento e Novecento con
contributi dedicati a Giovanni Segantini, Gaetano Previati, Umberto Boccioni e Luigi Russolo,
pubblicati in rivista o su volumi collettanei. I suoi interessi di studio si concentrano, inoltre, sul
panorama artistico torinese tra le due guerre e sul rapporto tra arti figurative e letteratura. È
coautore del catalogo generale della pittrice Nella Marchesini (Silvana Editoriale, 2015). Nel 2017
ha pubblicato il volume Illustrazioni incredibili. Alberto Martini e i racconti di Edgar Allan Poe
(Quodlibet).
Gioele Cristofari
Gioele Cristofari (Torino, 1995) è dottorando in Ecologia dei sistemi culturali e istituzionali presso
l’Università del Piemonte Orientale. Laureato in Lettere moderne (2017) e in Letteratura, filologia
e linguistica italiana (2020) all’Università di Torino, si è occupato principalmente dell’opera poetica
di Cesare Pavese; la sua tesi di laurea magistrale, con la quale ha procurato l’edizione critica delle
Poesie del disamore, ha ottenuto la dignità di stampa ed è consultabile online (PubbliTesi).
L’edizione del Castello d’Acqua è il suo primo lavoro edito in tipografia.
Simona Dinapoli
Simona Dinapoli si è laureata in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Università di Genova nel

  1. Dopo la laurea ha conseguito la qualifica specialistica da Bibliotecaria e poi il Diploma di
    Archivistica, Paleografia e Diplomatica presso l’Archivio di Stato Di Torino, oltre vari attestati di
    aggiornamento e formazione continua. Per diversi anni ha collaborato anche con il Centro Studi
    «Guido Gozzano-Cesare Pavese» dell’Università di Torino specializzandosi nella valorizzazione,
    conservazione, inventariazione e catalogazione di archivi e biblioteche di personalità letterarie del
    secondo Novecento. Dal 2016 al 2020 è stata la responsabile dell’Archivio e della Biblioteca
    Pinacoteca Mario Lattes della Fondazione Bottari Lattes di Monforte d’Alba (CN.). Presso la
    Fondazione ha curato l’organizzazione e la gestione dei vari fondi della biblioteca e il riordino e
    l’inventariazione degli archivi dell’autore M. Lattes. È stata inoltre autrice e referente del progetto
    di valorizzazione della figura dell’artista e segretaria del Comitato per l’Edizione dell’Opera di M.
    Lattes. Lavora come professionista qualificata presso Archivi e Biblioteche di Enti ed Istituzioni
    pubbliche e private.
    Luca Federico
    Luca Federico insegna Lingua e cultura inglese al liceo. Ha conseguito un Dottorato di ricerca in
    Letterature e culture classiche e moderne presso la Scuola di scienze umanistiche dell’Università
    degli Studi di Genova. Si è laureato a Torino in Lingue e letterature moderne e comparate. Ha
    studiato inglese e francese alla School of Modern Languages, Literatures and Cultures della Royal
    Holloway, University of London. I suoi interessi di ricerca sono rivolti principalmente alla storia,
    alle forme e ai modi della narrativa moderna e contemporanea in lingua italiana, inglese e
    francese. Si è occupato di Tommaso Landolfi e di Raffaele La Capria e, più in generale, di racconto
    fantastico, romanzo di formazione, letteratura giovanile e favola d’autore.
    Giacomo Jori
    Giacomo Jori, torinese, è professore straordinario di Letteratura italiana nell’Università della
    Svizzera italiana. È vicedirettore della «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa» e condirettore di
    «Lettere Italiane». Con Valerio Gigliotti, Paolo Heritier, Carlo Ossola ha fondato e dirige la collana
    “Nova et novissima. Diritto Filosofia Letteratura Storia”, Roma, Aracne (Collana Novaetnovissima –
    Aracne editrice). È membro della Fondazione Federica Spitzer, Lugano
    (http://www.fondazionespitzer.ch/); coordina per l’USI le attività scientifiche del centro di
    “Judaica” della Fondazione Goren Monti Ferrari. Studia la Letteratura italiana e i suoi classici
    previlegiando le forme della poesia e la letteratura religiosa, nei secoli XVI-XVII e XX; in particolare
    il Tasso, la tradizione del Laudario di Jacopone nell’età della stampa, la letteratura dell’età barocca,
    e autori del Novecento. Lavori più recenti: l’edizione commentata delle poesie di Furio Jesi,
    L’esilio, 1970 (Torino, Aragno, 2019); il saggio L’architetto della Pietà («Lettere Italiane», LXXII,
    2020, pp. 256-286); lavora all’edizione della Pietà trionfante (1660) di Guarino Guarini; ha in
    preparazione un progetto di ricerca dedicato a Carlo Dionisotti.
    Damiano Moscatelli
    Damiano Moscatelli (La Spezia, 15/06/1985) è dottore di ricerca in Italianistica e docente a tempo
    indeterminato presso il Liceo Scientifico “A. Pacinotti” della Spezia; ha lavorato nel mondo
    dell’editoria e svolge attività di ricerca su vari ambiti della letteratura italiana e sulla fortuna dei
    classici. Ha all’attivo diverse pubblicazioni (articoli su rivista e recensioni), sull’Ottavia e sulla
    Finestrina di Vittorio Alfieri, sull’Eneide e sulla poesia italiana contemporanea (Enrico Testa, Elena
    Salibra, Antonella Anedda), ha preso parte come relatore ad alcuni convegni ed è stato più volte
    borsista presso il seminario residenziale organizzato dalla Fondazione Vittorio Alfieri. Ha
    conseguito il Dottorato di Ricerca presso l’Università di Pisa nel gennaio del 2014, discutendo una
    tesi su Vittorio Alfieri traduttore dell’Eneide.
    Stefano Penna
    Stefano Penna (Alba, 15/12/1984) ha conseguito la maturità classica presso il liceo “G. Govone” di
    Alba, quindi ha proseguito gli studi presso la Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università degli Studi
    di Torino, dove, sotto la guida del Prof. Valter Boggione, si è laureato in Letteratura, filologia e
    linguistica italiana, con una tesi sul teatro di Andrea Calmo (Non più, non ancora: Andrea Calmo tra
    teatro rinascimentale e Commedia dell’Arte), in parte successivamente pubblicata sulla rivista
    «Campi immaginabili» (fascicoli I-II, anno 2011). Conseguita nel 2013 l’abilitazione
    all’insegnamento per la classe di concorso A051 (Latino e materie letterarie nei licei, oggi A011) e
    vinto il concorso a cattedra del 2016 per la medesima classe di concorso, è attualmente è docente
    di ruolo di materie letterarie e latino presso il l’Istituto Statale “A. Monti” di Asti e, parallelamente,
    prosegue l’attività di ricerca nel campo della filologia e della letteratura italiana.
    Fulvio Pevere
    Fulvio Pevere (Torino 1964) si è laureato in lettere moderne presso l’Università di Torino col prof.
    Giorgio Barberi Squarotti e ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Italianistica all’Università
    di Lecce. Attualmente è docente di materie letterarie e latino nel liceo classico e collabora con
    attività di studio e di ricerca col Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino. Ha
    lavorato alla redazione del Grande Dizionario della Lingua Italiana S. Battaglia. È autore di saggi
    sulla letteratura del Seicento (L’ordine della retorica, Torino 1998 e L’ingegnosa finzione,
    Alessandria 2003) e dell’Ottocento (L’innato amore alla menzogna, Milano 2010), ha curato le
    edizioni del Ragionamento delle corti di Pietro Aretino, delle favole pastorali di Agostino Beccari,
    Alberto Lollio e Agostino Argenti e delle Opere scelte di Federigo Tozzi. Ha inoltre pubblicato in
    rivista o in volumi miscellanei contributi dedicati a Tassoni, Salvator Rosa, d’Annunzio, Thovez,
    Pirandello, Savinio, Arpino.
    Moreno Savoretti
    Moreno Savoretti è Ricercatore di Letteratura italiana presso il Dipartimento di Studi Umanistici
    dell’Università di Torino e Membre associé del Centro di ricerca LLSETI dell’Université Savoie Mont
    Blanc, dove ha insegnato per due anni. Nel 2019 ha conseguito l’Abilitazione Scientifica Nazionale
    di II Fascia per il settore concorsuale 10/F1 (Letteratura italiana) e ha ottenuto la Qualification aux
    fonctions de Maître de conférences per la sezione CNU 14 (Langues et littératures romanes) in
    Francia. Ha pubblicato i volumi Il carteggio di Parnaso. Il modello ovidiano e le epistole eroiche nel
    Seicento (Edizioni Sinestesie, 2012), L’orto delle Muse. Studi sulla poesia bernesca del Cinquecento
    (Edizioni dell’Orso, 2016) e curato le sezioni dedicate ai poeti berneschi e alle opere in prosa del
    Berni nel volume Opere di Francesco Berni e dei berneschi (Classici Utet, 2014). Ha inoltre
    pubblicato, su riviste italiane e francesi, contributi dedicati a temi e autori del Cinquecento (Berni,
    Dolce, Lasca, Molza), dell’Ottocento (De Sanctis, Graf) e del Novecento (Calvino, Montale).

MARIO LATTES
Mario Lattes (Torino, 1923 – 2001), pittore, scrittore ed editore, è stato
personaggio di spicco nel mondo culturale del capoluogo piemontese del
secondo dopoguerra. Durante il periodo bellico sfugge alle leggi razziali
rifugiandosi a Roma e a Rieti unendosi poi alle truppe alleate, tra cui l’VIII
Armata Inglese, in qualità di interprete. Rientrerà a Torino, la sua amata e
odiata città, nel 1945. Dopo la seconda Guerra mondiale dirige la Lattes
Editori, la Casa Editrice fondata dal nonno Simone Lattes nel 1893, una tra le
più importanti nel settore dell’editoria scolastica, ma che pubblica anche i
romanzi di Il’ja Erenbúrg (Le avventure di Julio Jurenito) e William Faulkner
(Questi tredici), i saggi di Filippo Burzio (La nascita del demiurgo) e di Léon
Blum (Del matrimonio). Collabora con scritti e disegni alle più importanti riviste culturali del
momento, tra cui Il Mondo, la Fiera letteraria e la Gazzetta del Popolo. Con un gruppo di amici
(Vincenzo Ciaffi, Albino Galvano e Oscar Navarro) nel 1953 fonda la rivista Galleria che dall’anno
seguente, con il titolo Questioni, diventa voce influente del mondo culturale non solo locale. Vi
partecipano intellettuali italiani e stranieri come Nicola Abbagnano, Albino Galvano, Theodor
Adorno e molti altri. Nel 1960 si laurea all’Università di Torino con il professor Walter Maturi,
discutendo una tesi in storia contemporanea su Il Ghetto di Varsavia.
Tra il 1958 e il 1985 pubblica diversi romanzi e racconti, tra cui: Le notti nere (Lattes, 1958), La
stanza dei giochi (Ceschina, 1959), Il borghese di ventura (Einaudi, 1975; Marsilio, 2013), L’incendio
del Regio (Einaudi, 1976; Marsilio, 2011), L’Amore è niente (Editore La Rosa, 1985), Il castello
d’acqua (Aragno, 2004) postumo. Le vicende personali, i sentimenti, le paure, le speranze, la vita
di tutti i giorni, sono i temi di cui sono fatti i romanzi di Mario Lattes, che sono spesso opere
autobiografiche, scritte con sensibilità profondamente surreale ed epico senso dell’inconcludenza
umana. Sopravvive però sempre l’ironia. Nel libretto Fine d’anno, pubblicato nel 1972, sono
raccolte alcune poesie di Lattes che ripropongono i temi centrali della sua riflessione e della sua
ossessione: la nostalgia per ciò che si è dovuto lasciare, che non c’è più se non nella memoria, il
male assoluto, la morte e la natura, l’amore che passa crudelmente, l’esilio. Nel 2015, per volontà
degli eredi, vede la luce Il Ghetto di Varsavia, tesi di Laurea di Mario Lattes pubblicata per la prima
volta, dopo 55 anni dalla sua stesura, da Edizioni Cenobio, a cura del professor Giacomo Jori.
Del 1947 è la sua prima mostra alla galleria La Bussola di Torino, a testimonianza delle maturate
esperienze artistiche, nate durante il soggiorno laziale e coltivate per tutta la sua vita, come artista
e collezionista. Fino alla fine degli anni novanta allestisce personali a Torino, Roma, Milano, Firenze
e Bologna e partecipa con successo a due edizioni della Biennale di Venezia, della Quadriennale di
Torino e di Roma oltre a diverse esposizioni collettive. Il suo lavoro pittorico e la sua attività
culturale sono stati oggetto di numerose recensioni e alcuni studi critici.
Dopo la sua scomparsa, importanti istituzioni gli hanno dedicato antologiche e retrospettive. Il
Comune di Torino, in data 11 maggio 2017, con una cerimonia pubblica, gli ha intitolato l’area
verde di Piazza Maria Teresa, nel quartiere Borgo Nuovo.