Il principale divulgatore scientifico italiano, entrato con la sua semplicità nelle case e nell’immaginario di generazioni di italiani, si è spento. Ci mancherà. Viene meno una delle poche certezze di questo paese, sempre originale, nei contenuti, e sempre fedele a sé stesso, nei metodi e nelle forme, come La Settimana Enigmistica. Nel corso di decenni di attività era diventato un’istituzione informale. Magari non lo seguivi per mesi, preso da altre faccende, ma sapevi che era sempre lì, ad offrire nuovi stimoli da apprezzare con rinnovato interesse.

Piero Angela è stato un giornalista televisivo, non un luminare od un accademico di una qualche disciplina, ma un curioso che le ha fatte proprie tutte, trasferendole agli altri, anche ai meno istruiti. La scelta del mezzo televisivo, intrattenimento per antonomasia, richiama quella che Manzoni fece con I Promessi Sposi: il romanzo era allora un genere letterario minore, popolare, con cui molti non si sarebbero sprecati. Un po’ come se Hitchcock avesse scelto di dare una svolta alla storia del cinema, con i suoi arditi montaggi e movimenti di macchina, girando delle soap opera, invece che dei film. È stato la crasi (ma lui avrebbe preferito sintesi) tra il rigore del metodo scientifico e la semplicità della spiegazione, accessibile ai più. Ricordo una sua scherzosa polemica sulla macchinetta del tram che timbra il biglietto, non lo oblitera, termine oscuro ed incomprensibile che, a sua volta, avrebbe bisogno di spiegazione. Forse all’Accademia della Crusca non apprezzavano. Riuscì a tenere davanti allo schermo milioni di italiani, stando seduto su un cubo a presentare documentari sugli animali, mentre su altri canali i quiz regalavano soldi a palate, tra scenografie roboanti e ballerine minigonnute. Non abbiamo mai conosciuto delle quarkine che facessero stacchetti tra un esperimento e la sua spiegazione. I suoi programmi erano invece dei contenitori in cui trovavano spazio tanti, validi contenuti e collaboratori; come dimenticare i cortometraggi di animazione sul corpo umano (che lui chiamava la macchina meravigliosa) Siamo fatti così, o le pillole di Bruno Bozzetto, finalizzate a fare un minimo di educazione civica ad un popolo troppo spesso maleducato, o ancora gli splendidi interventi di Danilo Mainardi sul comportamento degli animali. Su tutto, il metodo scientifico, per come lo ha descritto Galileo Galilei: formulare ipotesi senza pregiudizi, quindi verificarle sperimentalmente con serietà e pazienza. Per dirla alla Sherlock Holmes: «escluso l’impossibile, quello che rimane, per quanto improbabile, deve essere la verità». In questo senso, la sua più alta lezione rimane Viaggio nel mondo del paranormale (1978), frutto di una lunga indagine su vari fenomeni dalla telepatia, alla psicocinesi, ai guaritori, ai poltergeist. L’approccio di Angela è, cosa assai difficile, senza pregiudizi, né quelli del credulone che si fa turlupinare dal ciarlatano di turno, né il rifiuto aprioristico del mondo accademico. Il metodo è quello della verifica sperimentale, con la curiosità, quasi il desiderio, di riscontrare qualcosa che sia effettivamente paranormale, ma senza riuscirci. A farne le spese personaggi notissimi, completamente demoliti, quali Uri Geller che si vantava di piegare i cucchiai con la sola forza del pensiero. Da quell’inchiesta e dalla collaborazione con il coetaneo, amico, James Randi, nasce in Italia il CICAP (Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze), con l’obiettivo di diffondere la mentalità scientifica e lo spirito critico. Cosa di grandissima necessità ed attualità in un paese nel cui parlamento c’è chi crede alle scie chimiche! Tanto più perché, come amaramente constatato, le bufale si diffondono più rapidamente di quanto non ci si metta per verificarle e smentirle. Oggi questo fattore negativo è moltiplicato dalla vorticosità che ha assunto l’informazione (o la falsa informazione) sui social.

Altro elemento notevole, se non unico, di Piero Angela è il rapporto professionale con il figlio Alberto. La relazione padre-figlio è sempre problematica, sin dalla teogonia di Esiodo: Crono spodesta il padre Urano evirandolo, quindi, temendo per sé stesso, divora i figli. Contrariamente a quanto ritratto da Goya (Saturno che divora i suoi figli) li fagocita senza ucciderli, metafora di un padre che tarpa le ali, impedisce loro di agire perché non gli facciano ombra. Le conseguenze sono pesanti. I figli o si allontanano dal solco tracciato, come il Siddharta di Hesse e sono considerati ribelli; o attendono pazientemente, ma comodamente, di dire la loro sotto l’ala protettrice e sono considerati dei poverini, su tutti il Principe del Galles, ma potrei citare un noto imprenditore chierese. Spesso gli uomini più grandi sono quelli che hanno perso prematuramente il padre: Alessandro Magno non avrebbe conquistato tutto il mondo conosciuto, se non fosse stato orfano a vent’anni; Amleto non avrebbe trovato il coraggio di agire se non avesse avuto «un padre assassinato, una madre insozzata, due pungoli roventi nella mente e nel sangue». Adriano Olivetti non avrebbe trasformato la Fabbrica di mattoni rossi in una multinazionale, se il padre Camillo non si fosse ritirato presto, salvo constatare che «adesso Adriano mi ascolta molto di più». In quella che abbiamo definito la mitologia contemporanea, è la morte del mentore a segnare il passaggio all’età adulta che consente all’eroe di agire in prima persona. Piero Angela ha continuato a presentare programmi fino alla fine, ma questo non ha impedito ad Alberto Angela di costruirsi una strada diversa, prediligendo l’archeologia alle scienza naturali, pur con forti elementi di continuità. Basta osservarne le movenze, i gesti, il tono della voce, lo scandire lentamente per capire che è stata assimilata un’importante lezione. Piero ci mancherà, ma grazie a questo ci mancherà un po’ di meno.