Nella grande confusione in cui si svolge la polemica sulla prescrizione, cerchiamo di mettere alcuni punti fermi.

In Italia la prescrizione del reato è un problema molto serio perché i processi durano in misura sproporzionata rispetto a qualunque criterio di ragionevolezza.

Se ognuno di noi fosse certo che un processo arriva a sentenza in primo grado entro tre anni, in appello entro un altro anno e in Cassazione entro il quinto anno, nessuno si preoccuperebbe più di tanto. 5 anni per una sentenza definitiva non sono pochissimi ma, considerando i tre gradi di giudizio, si tratta di una durata “ragionevole”, come vuole la nostra Costituzione.

Purtroppo non è così e la media della durata dei processi è di almeno il doppio; spesso alcuni procedimenti durano ben oltre i 15 anni. Un tempo aberrante.

Invece di occuparsi della prescrizione, Parlamento e Governo dovrebbero occuparsi di riportare la durata dei processi in termini dignitosi, assumendo magistrati, cancellieri, dotando di strumenti informatici gli uffici giudiziari e depenalizzando molti reati lievi. Ma così non è.

E qui si aprono vari fronti. Ci sono due esigenze da contemperare: la vittima di un reato, sia la singola persona che lo Stato, ha il diritto che il colpevole sia scovato, processato e condannato. Se lo Stato non è in grato di garantire questo diritto, lo Stato ha fallito. Ma c’è un altro principio da salvaguardare: poiché nessuno è colpevole fino a sentenza passata in giudicato nessuno deve subire un processo infinito e chiunque ha diritto di sapere in termini ragionevoli e certi se lo Stato lo considera colpevole o innocente in via definitiva.

Per assicurare il rispetto di questi due principi il nostro ordinamento penale andrebbe corretto in più punti, senza cancellare l’istituto della prescrizione o renderlo superfluo.

Innanzitutto bisognerebbe stabilire che la decorrenza dei termini della prescrizione si calcola non da quando il reato viene commesso ma da quando il reato è stato “scoperto”. Chi ha commesso un crimine ed è stato abile nel nasconderlo o nel nascondersi o nell’inquinare le prove per non farlo scoprire non può beneficiare di un “regalo” da parte dello Stato: sarebbe come premiare i rei che sono pure furbi e che si fanno beffa delle forze dell’ordine e della magistratura e riescono a tenere sotto la cenere le loro malefatte. Certo, scoprire un reato anni dopo che è stato commesso complica notevolmente la raccolta di prove e l’accertamento delle responsabilità e questo potrà incidere successivamente sulla durata del processo. Ma non c’è alcuna logica né alcun rispetto per le vittime dei reati e dell’esigenza di giustizia della collettività nel concedere uno sconto rispetto ai tempi di decorrenza della prescrizione che devono scattare solo quando lo Stato avvia l’azione penale.

Il secondo punto essenziale è che la prescrizione dovrebbe essere ancorata ad una tabella di marcia delle singole durate delle tappe processuali.

Il principio da stabilire è il contrario rispetto a quello attualmente applicato. La prescrizione deve essere un disincentivo ad allungare i processi e non il contrario.

Si stabilisce che la sentenza di primo grado deve arrivare entro tre anni? Vuol dire che se essa arriva in tempo, si interrompe il calcolo della prescrizione, ma se la sentenza non arriva, passati i tre anni, la prescrizione continua a fare il suo corso. Si stabilisce che il processo di Appello deve durare un anno? Vuol dire che se la sentenza arriva entro quel termine la prescrizione si interrompe, altrimenti i tempi continuano a scorrere e così via. Quindi, nessun reato potrebbe essere prescritto prima dei cinque anni dall’inizio del processo inteso come avvio dell’azione penale con l’iscrizione nel registro degli indagati. Per disincentivare il reo dall’occultare le sue malefatte si potrebbe stabilire un rapporto di proporzionalità inversa tra il ritardo con cui il reato viene scoperto e la durata della prescrizione: più tardi c’è la notitia criminis meno tempo dura la prescrizione, quindi il rischio che un reato sia estinto per prescrizione diminuisce quanto più tardi si avvia l’azione penale.

A questi principi si potrebbe derogare per alcuni reati di particolare gravità o allarme sociale, per i quali l’acquisizione delle prove è resa particolarmente complessa. In questi casi, sia i tempi dei processi che quelli della prescrizione potrebbero subire un allungamento, sempre “ragionevole” e motivato.

Ma non può mai essere considerato motivo valido per allungare un processo la carenza di cancellieri, di magistrati e di mezzi tecnici. Uno Stato civile non risparmia sulla Giustizia.

Se si vuol uscire dall’impasse sul blocco della prescrizione in vigore, il Governo si impegni entro dicembre  a modificare le norme penali e processuali, a depenalizzare molti reati, ad assumere 10.000 cancellieri (anche attingendo ad altre amministrazioni) ad avviare i concorsi per assumere in due anni 3000 magistrati, ad istituire la figura dei manager non magistrati che devono gestire l’organizzazione degli uffici giudiziari e a destinare le risorse economiche necessarie per dotare di mezzi tecnici Tribunali e Corti di Appello. O si fa sul serio o si continua a fare ingiustizia.