‘E’ bene promuovere la lettura’, frase spesso ripetuta, in particolare con riferimento ai giovani. Affermazione abbastanza ovvia, perfino scontata. Anche a chi scrive è capitato di pronunciarla e sostenerla in più di una occasione. Non mancano gli argomenti, le valenze formative della lettura sono molteplici. I tempi distesi per la riflessione personale, il confronto con altre esistenze, l’arricchimento lessicale ed espressivo, l’esercizio della fantasia e dell’immaginazione, l’immedesimazione, l’evasione, l’emozione, la cultura. Leggere fa bene. E’ importante esserne consapevoli e ribadirlo, specie in un’epoca in cui altri strumenti di comunicazione più semplici e diretti distraggono giovani e meno giovani, assorbendo l’attenzione e inaridendo gli schemi di pensiero. Forse i libri affaticano la vista e richiedono tempo e concentrazione, ma in genere migliorano le persone. Però un conto è la promozione della lettura, magari proponendo e valorizzando le pagine più imperdibili della letteratura antica e moderna, e un conto è la promozione dell’editoria, cioè il sostegno economico a un settore economico che come gli altri appare guidato dalle leggi del mercato e del profitto e che solo in maniera abusiva si ammanta di aura culturale. Innegabile che le case editrici pubblichino spesso opere e lavori senza riscontro di lettori (verrebbe da dire per fortuna) al solo scopo di beneficiare degli incentivi economici pubblici, o che viceversa altre volte diano alle stampe lavori che meriterebbero piuttosto di essere dati alle fiamme solo per ragioni commerciali, e che in generale ben poca promozione della crescita culturale del Paese venga da un settore che dovrebbe invece ritenere questo obiettivo come prioritario della propria ragion d’essere. Certamente le politiche scolastiche, lo sviluppo esponenziale delle tecnologie delle telecomunicazioni con annessi fenomeni social e digital, l’evoluzione degli stili di vita, la pervasività delle leggi del mercato, danno ragione in gran parte del declino culturale e artistico della modernità. Ma anche l’amministrazione miope ed economicistica delle case editrici (per le quali invece dovrebbero valere in modo particolare i principi dell’etica d’impresa), la pochezza dei premi letterari, così come la politica pubblica di sostegno al settore, portano una buona fetta di responsabilità.
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