La fase storica che stiamo attraversando mi ha riportato alla mente una vecchia, ma sempre piacevole e interessante, lettura. Cinquant’anni fa, più precisamente nell’estate del 1973, l’economista canadese, naturalizzato americano, John Kenneth Galbraith veniva contattato dalla BBC per realizzare una serie di trasmissioni divulgative sulla storia del pensiero economico. Lo studioso racconta, con il suo ben noto sarcasmo, che gli era spesso richiesto dal rettore dell’università di Harvard, dove era professore, di manifestare pubblicamente entusiasmo per l’insegnamento e come questa consuetudine fosse per lui sempre più pesante e poco sincera (col passare degli anni si rendeva conto di provare un malcelato fastidio nei confronti dei giovani studenti). L’impegno televisivo, durato tre anni, lo riconciliò con il mondo accademico, rinverdì i rapporti con i partecipanti ad i suoi corsi e gli fornì il materiale per scrivere uno dei suoi libri di maggior successo: “L’età dell’incertezza”. La tesi, in estrema sintesi, espressa nelle pagine del volume del 1977 è quanto mai attuale: le grandi aziende del sistema capitalistico occidentale, contribuiscono all’incertezza sul futuro dei sistemi sociali ed economici in quanto perseguono obiettivi che non sono compatibili con gli interessi generali ed il bene comune. Winston Churchill, in uno dei suoi aforismi più fulminanti, sosteneva che “il capitalismo è un’ingiusta ripartizione della ricchezza mentre, per contro, il comunismo è una giusta distribuzione della miseria” e la storia non può che confermarlo ma quello che è avvenuto nei rapporti con la Cina e la Russia ci rende oggi più che mai consapevoli dei rischi che il nostro sistema ha accettato di correre, per mancanza di lungimiranza politica e a causa di un sempre maggiore e pervasivo potere delle grandi multinazionali. L’età dell’incertezza si riflette naturalmente anche sulla sempre maggiore difficoltà di prevedere il futuro dell’economia, in balia di potenti quanto imprevedibili correnti. La pandemia ci ha ricordato la vulnerabilità di un mondo circumnavigabile ormai in una piccolissima frazione degli ottanta giorni narrati da Jules Verne, nel suo omonimo romanzo, nel 1872. La sensazione di insicurezza che ci pervade da due anni e mezzo è stata poi drammaticamente rafforzata dall’esplosione di un conflitto che, così vicino al nostro continente, epitome del “mondo civilizzato”, non immaginavamo potesse più avvenire. Le forze che si sono scatenate hanno sgretolato il vaso di Pandora nel quale era rimasto rinchiuso per molti anni (uno degli effetti benefici della globalizzazione) il demone dell’inflazione e messo a repentaglio il fragile equilibrio che si stava ricreando dopo la fase più acuta della diffusione del coronavirus. Di tutto ciò non potevano certo disinteressarsi i mercati finanziari che sono ora sospesi tra l’incudine dell’inflazione e dei tassi di interesse in salita e il martello della recessione incombente. D’altro canto, è risaputo che ciò che più detestano gli investitori non sono tanto le notizie negative certe e ben definite quanto l’indeterminatezza che caratterizza i cambiamenti imprevisti. L’incertezza, dunque, è la peggiore iattura che possa affliggere gli investimenti. Meglio, allora, cercare di comprendere quando e come una ormai probabile recessione si materializzerà, perché solo allora l’”aggiustamento” dei prezzi potrà completarsi e si inizierà a pensare ad un futuro dove l’obiettivo non sarà più quello di riportare l’inflazione sotto controllo ma di fare ripartire la crescita economica e, con essa, le borse mondiali. Va ricordato che non è certo un caso che si parli di “ciclo economico”: la ruota economica girando velocemente sviluppa energie positive (grazie alla innata capacità dell’uomo di generare innovazioni e maggiore ricchezza globale, secolo dopo secolo) fino a che la pedalata frenetica non provoca la rottura della catena, le inevitabili recessioni, o, molto più raramente, rovinose cadute, le depressioni. L’era dell’incertezza ci sta portando a ripensare a un modello consolidato, quello derivato dalla globalizzazione, caratterizzato da un trentennio di crescita economica completamente priva di inflazione (cancellata dallo spostamento della produzione in Paesi a basso costo e sempre più in competizione tra loro). L’apertura indiscriminata dei mercati internazionali delle merci e dei capitali seguita alla caduta della cortina di ferro, nel 1989, ha completamente trascurato le sue potenziali future conseguenze geopolitiche, rafforzando oltre misura gli avversari storici del mondo occidentale. Le parole dell’economista francese del XIX secolo Frédéric Bastiat, “Dove non passano le merci, passeranno gli eserciti”, hanno guidato negli ultimi decenni le strategie europea e statunitense, trascinate anche dall’interessato entusiasmo delle grandi corporations, prime beneficiarie del nuovo verbo. Ora che gli eserciti si sono rimessi in moto siamo in attesa di comprendere quale sarà il nuovo equilibrio. Il progresso mondiale certamente non si arresterà ma, memore di quanto sta accadendo, sarà forse più sostenibile… e meno incerto.
Articoli recenti
Categorie
Archivio
- Novembre 2024
- Ottobre 2024
- Settembre 2024
- Agosto 2024
- Luglio 2024
- Giugno 2024
- Maggio 2024
- Aprile 2024
- Marzo 2024
- Febbraio 2024
- Gennaio 2024
- Dicembre 2023
- Novembre 2023
- Ottobre 2023
- Settembre 2023
- Agosto 2023
- Luglio 2023
- Giugno 2023
- Maggio 2023
- Aprile 2023
- Marzo 2023
- Febbraio 2023
- Gennaio 2023
- Dicembre 2022
- Novembre 2022
- Ottobre 2022
- Settembre 2022
- Agosto 2022
- Luglio 2022
- Giugno 2022
- Maggio 2022
- Aprile 2022
- Marzo 2022
- Febbraio 2022
- Gennaio 2022
- Dicembre 2021
- Novembre 2021
- Ottobre 2021
- Settembre 2021
- Agosto 2021
- Luglio 2021
- Giugno 2021
- Maggio 2021
- Aprile 2021
- Marzo 2021
- Febbraio 2021
- Gennaio 2021
- Dicembre 2020
- Novembre 2020
- Ottobre 2020
- Settembre 2020
- Agosto 2020
- Luglio 2020
- Giugno 2020
- Maggio 2020
- Aprile 2020
- Marzo 2020
- Febbraio 2020
- Gennaio 2020
Contatti
Centro Pannunzio
Associazione culturale libera fondata a Torino nel 1968
Via Maria Vittoria, 35 H
10123 Torino (TO)
Tel 011 8123023
redazione@pannunziomagazine.it
www.centropannunzio.it