I mesi di lockdown trascorsi nella solitudie e nel silenzio delle nostre case sono stati faticosi e duri per tutti, tra didattiche a distanza, figli che in ogni momento chiedevano la nostra attenzione, mariti insofferenti alla sola idea di dover dare una mano nelle “faccende domestiche”, ore trascorse a cercare una spesa on line disponibile prima di due settimane e l’immancabile acquisto su Amazon di libri che non sarebbero mai stati letti proprio a causa delle sopradette amene occupazioni. Ma ancora più pesante è stato l’isolamento per chi, studiando la storia dell’arte o semplicemente amandola, non ha potuto godere delle visite magari già programmate da tempo alle grandi mostre allestite a Milano, Roma e in ogni angolo del nostro Bel Paese. A me personalmente ha lacrimato il cuore non avere la possibilità di andare a Roma a vedere la mostra dell’anno, quella allestita alle Scuderie del Quirinale per i 500 anni della morte di Raffaello Sanzio, un vero mostro sacro della nostra pittura occidentale. Se pensiamo al trattamento riservato dal nostro Paese all’altro grande Maestro del Rinascimento maturo, Leonardo da Vinci – la mostra più bella ed importante a lui riservata non è stata a Milano o Roma, ma al Luovre di Parigi – mi pareva ancora più triste che la mostra delle Scuderie avesse dovuto chiudere il giorno dopo l’inaugurazione: è stato come quando, da bambini, ci facevano vedere la più succulenta delle pietanze per poi togliercela da sotto il naso quando la posata non era ancora arrivata alle nostre labbra. Una assoluta crudeltà. Proprio per questo motivo, non appena si sono riaperti i cancelli, sono ripartiti i treni e gli alberghi hanno tirato su le saracinesche, ho deciso di andare a Roma. Per prima cosa ho dovuto prenotare i biglietti: ormai non è più pensabile mettersi in fila e aspettare in coda magari per ore. Magnifico,  la prenotazione è stata facile e scaglionata in gruppi ogni 5 minuti. Poi il treno, altrettanto semplice, i posti sono assegnati in modo alternato, c’è l’obbligo della mascherina,  perciò pochi rischi di contagio, quand’anche il vicino avesse il raffreddore. Sembra strano, ma già solo il ritrovarsi in una stazione,  situazione di straordinaria banalità, ha caricato l’evento di una fortissima aspettativa. All’arrivo ho respirato immediatamente un’aria diversa: pochissimo traffico, strade pulite, poca gente, nessun venditore ambulante che con insistenza vuole vendere un colosseo di plastica. Roma nel suo splendore, le piazze linde e assolate, quinte sceniche spettacolari per edifici, fontane chiese di straordinaria bellezza. E tuttavia una tristezza di fondo nel percepire una città ferita, che fa fatica a riaprirsi al mondo, come se il silenzio e la solitudine che l’ha avvolta per mesi le avesse confermato che le sue bellezze non meritano di essere guardate in un secondo e poi subito dimenticate. Vedere e non solo guardare. Il ritorno alla lentezza, al tempo necessario per cogliere il particolare e non solo l’insieme.La visita alla mostra è fissata per domenica mattina alle 10.00, quindi il sabato ho il tempo di rientrare dopo anni ai Musei Vaticani, giusto per rinverdire la memoria della bellezza assoluta delle Stanze Vaticane, il Raffaello monumentale e celebrativo di un potere, quello pontificio, che mai come negli anni di Raffaello è stato superbo mecenate. Quella Scuola di Atene che narra della grandezza del nostro pensiero mi viene incontro quasi da sola. Io e lei, lei ed io, ed è grande emozione. E’ domenica, la città è ancora più vuota del giorno precedente, colpa forse anche del caldo afoso. Davanti alle Scuderie siamo in dieci. Alle 9.55 un addetto ci chiama e ci fa entrare uno per volta, ci misura la temperatura, ci fa lavare le mani con il gel, ci impone di rimettere  la mascherina sul naso,  scesa sul mento per non morire soffocati durante la salita al Colle. Ed è subito magia. La mostra è stata allestita a ritroso, dalla morte del Maestro, il 1520, agli anni della giovinezza e della formazione: una scelta azzeccata, sopratutto per un pittore che ha saputo far proprie tutte le suggestioni con cui è venuto in contatto, da Piero della Francesca a Perugino, da Leonardo a Michelangelo fino ai maestri fiamminghi, che si possono incontrare e riconoscere più compiutamente leggendoli dalla fine  verso l’inizio. Procediamo con la visita divisi in gruppi di 8 persone e non uno di più,  scortati da un inserviente da una sala all’altra al ritmo di un gong che segna il tempo concesso per  rimirare le opere collocate a giusta misura e con didascalie scarne ma funzionali: e allora via con l’autoritratto insieme al fido Giulio Romano,  il ritratto di Baldassare Castiglione, che riesce ad incantare con i suoi magnetici occhi azzurri, e poi Papa Leone X, finissimo intellettuale, maestoso nella sua morbida porpora, il grandissimo Giulio II, stanco e anziano con lo sguardo sgomento di chi sa di aver perso l’ultima battaglia e ancora la sensuale Fornarina, la stupenda Velata e i magnifici disegni che rivelano tutto il genio del Maestro. Il gong arriva inesorabile mentre si vorrebbe ancora bere alla fonte della bellezza, ma non si può, gli altri 8 spingono per cambiare sala e allora bisogna salutare e andare al prossimo capolavoro. Eppure il tempo pare sospeso: non c’è rumore, nessuna parla, ammutolito dalla forza di ciò che si sta ammirando. I disegni del Raffaello architetto, le lettere archeologighe di e per Leone X, le meravigliose Madonne del Granduca e Tempi, di struggente dolcezza. Gong, gong, gong. Si giunge alla fine, si torna al mondo, al sole, alle voci. Però per un istante ho avuto la sensazione di avere Raffaelllo accanto, di averlo così vicino da capire fino in fondo la forza del suo genio. Mai ci è capitato prima della pandemia, quando per visitare una mostra o un museo bisognava dar di gomito e scansare le mille teste dei gruppi con guida. Penso che allora qualcosa di positivo questa tragedia ce lo abbia donato: finalmente non più tutto “di massa”, non tutto per tutti, ma per pochi, per chi sa scegliere cosa vedere con consapevolezza. Torno alla realtà all’ora di pranzo accecata da un sole rovente e mi ritrovo a far la fila spintonata e sgomitata da una banda di giovanotti che cerca di passare davanti a tutti per accaparrarsi l’ultimo pezzo di pizza. Evviva. Le buone abitudini non sono andate perdute. Ma stavolta far la coda per vedere Raffaello e far la coda per mangiare un pezzo di margherita non è più la stessa cosa. Gong.