Con la scomparsa di Sergio Balestracci, avvenuta a Padova il 22 dicembre 2024, la vita musicale italiana perde uno dei suoi rappresentanti più eminenti e autorevoli.

            Figlio del dott. Milton Balestracci, senese, simpatica figura di Commissario di Pubblica Sicurezza, Sergio, nato a Torino il 7 febbraio del 1944, in questa città si diplomò al Liceo Classico “Massimo d’Azeglio” e si laureò in Lettere Moderne (fu in queste occasioni studentesche che sorse e crebbe la nostra bella e affettuosa amicizia). Compì studi musicali presso il Conservatorio di Piacenza, studiò Flauto Diritto con Edgar Hunt, specializzandosi e diplomandosi poi in questo strumento al Trinity College of Music di Londra. Da qui l’inizio di una prestigiosa carriera di strumentista e vocalista nel campo della musica rinascimentale e barocca, poi soprattutto di direttore d’orchestra, musicologo, docente, compositore.

            Fondatore e direttore a Torino dell’Accademia Fontegara (1971), nella stessa città fondò l’Accademia del Flauto Dolce e l’Accademia del Santo Spirito (concerto inaugurale il 24 febbraio 1985), che diresse fino al 2003 (attuale direttore artistico ne è l’organista e musicologo Luca Ronzitti), partecipando inoltre, nel 1994, alla formazione dell’orchestra barocca “Academia Montis Regalis” a Mondovì. Dal 1996 fu direttore artistico dell’ensemble vocale e strumentale “La Stagione Armonica” di Padova.

            Come didatta, ha insegnato Letteratura poetica e drammatica al Conservatorio di Alessandria e Flauto Dolce al Conservatorio di Padova. È stato inoltre docente presso la Scuola di Alto Perfezionamento Musicale di Saluzzo, presso l’Accademia Filarmonica Trentina e ha insegnato Storia della prassi esecutiva al Conservatorio di Milano.

            Nelle vesti ampie e pluriformi di musicologo, ha effettuato studi, ricerche, trascrizioni e registrazioni di importanti partiture inedite, nonché accurate revisioni di altre già edite. Nel 1992 pubblicò la prima traduzione italiana del celeberrimo Versuch einer Anweisung die Flöte traversière  zu spielen (“Trattato sul Flauto Traverso”; 1752) del flautista, compositore e teorico tedesco Johann Joachim Quantz.

            Come direttore d’orchestra e di coro, fu a capo dell’Orchestra dell’Università di Padova, dell’ ”European Baroque Ensemble” e di altri importanti formazioni italiane e internazionali, affrontando un amplissimo repertorio comprendente, fra le tante, musiche vocali, strumentali, operistiche, ballettistiche di Josquin Desprès, G. P. da Palestrina, Andrea e Giovanni Gabrieli, G. Allegri, T. L. de Victoria,  C. Monteverdi (che eseguì a Utrecht e a Caserta nel 1991), A. Banchieri (che eseguì a New York nel 1991), G. B. Fergusio,  F. Cavalli, G. Legrenzi, H. I. F von Biber, A. Stradella, G. B. Bassani, A. S. Fiorè, Alessandro e Domenico Scarlatti, A. Caldara, Johann Sebastian Bach (Magnificat; Oratorio di Pasqua; Johannes-Passion nel 1987), J. A. Hasse, F. Paër, dedicandosi nel prosieguo di una luminosa carriera anche a musicisti otto-novecenteschi quali Liszt, Albéniz, Respighi, Pizzetti, Schoenberg, Weill, Nono.

            Come compositore, Balestracci ha creato lavori per coro e strumenti e per coro e percussioni su testi di anonimi trecenteschi, Francisco de Quevedo, Hugo, Ungaretti, Slataper, Miguel Hernández.

            Senza dubbio Balestracci amò profondemente Torino, città che lo vide nascere, ma sono certo che tale amore non fosse paragonabile a quello per Siena (città d’origine della sua famiglia) sulla quale in gioventù scrisse vivacissimi elzeviri, pieni di brio e di colore. Un pomeriggio verso il tramonto, uscendo da Palazzo Campana in via Carlo Alberto, sede della nostra Facoltà di Lettere, ci trovammo a guardare piazza San Carlo dando le spalle a piazza Castello e inquadrandola in poetiche tinte vespertine con sullo sfondo le due chiese affiancate di Santa Cristina e San Carlo: «Questa è la più bella piazza di Torino, e senza dubbio una delle più belle d’Italia» mi disse profondamente convinto, col suo armonioso accento toscano, Sergio.

            Un altro pomeriggio sedevamo su una panchina sotto gli alberi di corso Re Umberto in prossimità  di corso Stati Uniti, discutendo su quale disciplina scegliere per la nostra tesi di laurea circa la quale non avevamo ancora deciso. In linea di massima eravamo orientati a optare per Storia della Musica sotto la guida di Massimo Mila. «Su chi ti piacerebbe farla?» domandai a Sergio. «Beh, su Bach» mi rispose. «Ma… su tutto?» replicai ingenuamente, un po’ atterrito. «No, magari sui Concerti Brandeburghesi» precisò, limitando il campo! (Per quanto mi concerne, proprio non ricordo su quale argomento avrei voluto cimentarmi). Curiosamente, né Sergio né io ci laureammo in Storia della Musica, bensì in Storia moderna con Franco Venturi lui, in Letteratura italiana con Giovanni Getto io. Ma chi, alla grande, coltivò, onorò, praticò da autentico e completo artista, con invidiabile competenza e squisita sensibilità, l’arte di Euterpe fu lui, Sergio Balestracci, amico carissimo fin dai banchi del liceo.