A Roma, a Palazzo Merulana, dal 9 febbraio al 26 maggio prossimi, Antonio Donghi (1897-1963) sarà protagonista di una personale dedicatagli a diciotto anni di distanza dall’ultima monografica che lo vide protagonista nel 2007 a Roma, al vittoriano, e successivamente a Palazzo Reale di Milano.
“Antonio Donghi. La magia del silenzio” è il titolo dell’esposizione prodotta da CoopCulture, con main sponsor Unicredit, che ha contribuito con sedici importanti prestiti delle opere di Donghi, provenienti dalla straordinaria collezione esposta a palazzo de Carolis. Saranno 34 le opere esposte, tra cui non pochi capolavori degli anni Venti e Trenta, acquistati alle maggiori mostre del tempo, quali la Biennale di Venezia e le Quadriennali di Roma e scelte oggi nei patrimoni di istituzioni pubbliche, cui si aggiungono prestiti da privati, dalla Banca d’italia, da Unicredit e i tre quadri presenti nella raccolta della Fondazione Elena e Claudio Cerasi, che ha sede nello stesso palazzo Merulana.
Antonio Donghi fu uno dei maggiori interpreti del realismo magico in italia. Il suo immaginario attrattivo e al tempo stesso realista ha impressionato, dopo un silenzio critico di molti decenni, pubblico e studiosi a partire dagli anni Ottanta del Novecento, al punto che ormai le sue opere sono incluse nella maggior parte delle rassegne internazionali relative all’arte degli anni Venti e Trenta.
La scelta antologica e la curatela della retrospettiva, dal suggestivo titolo “La magia del silenzio”, sono affidate a Fabio Benzi, tra i maggiori studiosi di arte italiana tra le due guerre, il quale nel saggio in catalogo vuole aggiungere sostanziali novità interpretative a partire dalle fonti culturali del pittore, assai più eclettiche di quanto individuate fino ad oggi. Benzi si interroga in merito alla svolta di Donghi, a quel mutamento radicale e rapidissimo che, nel volgere di qualche mese, portò l’artista da una pittura tutto sommato tradizionale, di matrice ottocentesca, a una visione completamente rinnovata, che lo avrebbe incluso, tra la fine del 1922 e l’inizio del 1923, nella corrente del Magischer Realismus, realismo magico, lanciata in Germania da Franz Roh. In passato era stata indicata come la ragione della fortuna ritrovata di Donghi consistesse nella lezione metafisica di Giorgio de Chirico. Questa posizione critica, sostenuta da Maurizio Fagiolo Dell’arco non è condivisa dal critico Benzi che afferma: ”Anche figurativamente la pittura di de Chirico metafisico non ha alcun rapporto con il realismo inquietante e ‘lenticolare’ di Donghi”. La pittura dei due artisti non è figurativamente né esteticamente assimilabile, non vi sono somiglianze esplicite né negli effetti, né nei colori o nelle paste pittoriche, completamente diverse tra loro”.
Della Fondazione Elena e Claudio Cerasi sono esposti tre capolavori fondamentali dal titolo “Lavandaie” (1922-23), primo vertice in assoluto del maestro, “Gita in barca” del 1934 e “Piccoli salimbanchi” del 1938. Sulla trama delle opere di Donghi è possibile in queste collezioni ricostruire il suo intero percorso artistico, attraverso una serie di autentici capolavori. Dall’esposizione emerge il profilo di un artista colto, immerso nel clima generale della sua epoca, capace, però, di inventare uno stile figurativo originale e riconoscibilissimo. Unica eccezione a una certa retorica del Novecento l’algido ritratto di Mussolini a cavallo del 1937, in origine dipinto con il braccio teso, cui fa da contraltare la figura di Lauro de Bosio, aviatore che nel 1931 perse la vita lanciando da un volo su Roma manifesti antifascisti.
Donghi fece innamorare schiere di letterati ancor più che di storici dell’arte, da Guido Piovene a Leonardo Sinisgalli, da Attilio Bertolucci allo stesso Roberto Longhi.
La magia del silenzio a cura di Fabio Benzi, dal 9 febbraio al 26 maggio.
Palazzo Merulana, via Merulana 121 roma.
Orari di visita dal mercoledì alla domenica dalle 12 alle 20.