Non è facile scrivere di Eugenio Scalfari dopo aver letto e ascoltato le Messe cantate su di lui che esaltano quasi totalmente in modo acritico  un giornalista che ebbe un successo senza precedenti nella creazione di un giornale che cambiò il giornalismo italiano anche tecnicamente. E’ comprensibile che sia così e non vogliamo steccare nel coro degli estimatori, anche se noi non abbiamo un particolare culto nei  suoi confronti, anzi avremmo da esprimere qualche critica. Nel 1988,alla presenza di Montanelli, parafrasando una storiella che riguardava Berlinguer e Craxi, io dissi che Pannunzio non doveva essere considerato un oscuro giornalista vissuto nell’età di “Repubblica “ come si diceva di Berlinguer a proposito di Craxi che appariva il nuovo astro della politica. La storia non fu benevola con Craxi, mentre lo è con Berlinguer a cent’anni della sua nascita. Certo Scalfari ha creato un quotidiano che ha contaminato l’intero giornalismo italiano. I grandi giornalisti del secolo scorso sembrano scomparire di fronte alla sua figura. I due Barzini, Missiroli, Frassati, Longanesi, Montanelli, Pannunzio, tanto per citare qualche nome, appaiono ricordi sfocati col passare del tempo rispetto al quasi centenario che, novello Ulisse, ha attraversato tutte le epoche storiche di un tempo molto lungo che non è riuscito a logorare il suo mito. Lo conobbi a casa di Giulio De Benedetti ,direttore de “La Stampa”, nel 1968 quando Scalfari venne eletto deputato socialista nel collegio di Torino, togliendo il seggio a Frida Malan. C’era stata la condanna di Scalfari che insieme a Jannuzzi aveva diffamato il generale De Lorenzo, accusato di un golpe inesistente, e Scalfari aveva la necessità della immunità parlamentare. Era raggiante per la vittoria elettorale in cui il suocero ebbe una parte non indifferente, come si può constatare rileggendo le cronache de “La Stampa” che riuscivano ad avere un larghissimo seguito con la regia fidata di Ferruccio Borio. Scalfari allora si diceva un allievo di Pannunzio che era morto nel febbraio di quello stesso anno. Il destino  dei due fu molto diverso : il direttore – maestro mori a 58 anni dopo che nel 1966 aveva chiuso il suo settimanale, “Il Mondo”, mentre l’allievo – fondatore avrà una vita lunghissima carica di onori, successi, riconoscimenti. Dopo essere stato un pannunziano, Scalfari decise di fare da sé e questa scelta fu il motivo del suo successo che fu il frutto di una abilità indiscutibile. Pannunzio aveva anche litigato con Scalfari , vietando in punto di morte a Eugenio di presentarsi ai suoi funerali, come racconto ‘ lo stesso Scalfari in un libro in cui illustro a modo suo la stagione del “Mondo”. Non è qui il caso di raccontare quella storia, ma va detto che la linea di Pannunzio era liberale senza incertezze anche nel periodo radicale ,mentre quella di Scalfari era liberal o più esattamente azionista. Divise i due l’anticomunismo perché Scalfari fini ‘ di essere un fiancheggiatore del PCI che voleva portare al governo. Una e che fa la differenza, liberale e liberal sono due concezioni diverse, per non dire di certo azionismo che Dino Cofrancesco ha definito gramsciazionismo. Oggi va reso onore al grande giornalista e scrittore, anche se non è tutto oro quel che luccica . Scalfari fu uomo di potere  molto spregiudicato, ma non è questa la circostanza per scriverne. Pannunzio morì giovane ed apparentemente sconfitto ma seppe mantenere fino all’ultimo sempre la schiena diritta.