“Solo l’abbondanza di denaro in uno Stato produce la sua grandezza e potere”[1] – afferma Jean Baptiste Colbert nel 1664. Egli aveva già sostenuto che, in ambito economico, il commercio è il nerbo della finanza e la finanza è il nerbo della guerra; la guerra è ancora la principale occupazione di uno Stato nel XVII secolo ma, aggiunge Colbert, che “la quantità di denaro dello Stato poteva essere aumentata soltanto sottraendo nello stesso momento quella stessa quantità agli Stati confinanti”[2]; era necessario quindi far affluire capitali da altri Stati e trattenerli all’interno della Francia. L’istituzione della tassazione sui prodotti di lusso ebbe come conseguenza una riduzione della loro importazione; allo stesso tempo il ministro, al fine di stimolare i produttori francesi, scoraggiò l’importazione di prodotti lavorati o semilavorati, favorendo quella dei materiali grezzi; migliorò, inoltre, la qualità dei beni di consumo quotidiano. Sul fronte della politica estera inaugurò una politica di potenziamento dell’espansione coloniale e di stimolo dell’espansione militare.[3] La deflazione caratterizzò la seconda metà del Seicento; il denaro non era sufficiente per nuovi investimenti: in modo continuativo si assistette ad una riduzione dei profitti mentre i commercianti e gli artigiani non erano più in grado di pagare le tasse. La Francia, in generale, aveva accesso limitato all’oro – fondamentale per la liquidità – proveniente dalle miniere del Messico, della Colombia, del Perù in quanto sovrastata dalla presenza spagnola. Anche l’agricoltura era in difficoltà: il mancato pagamento dei contadini della Provenza, sostiene Guido Gerosa, fece sì che essi non erano in grado di vendere il loro grano alle altre regioni. Emergevano anche grandi difficoltà per la nobiltà fondiaria. Si aggiungeva a questo quadro la scarsità, già ricordata, della liquidità in circolazione che, secondo Colbert, limitava gli acquisti dall’estero e i progetti di finanziamento dell’industria. Per ovviare a questi problemi il ministro cercò di regolamentare con numerosissimi editti la produzione, sviluppando una politica mercantilistica e protezionistica volta a creare un accumulo di ricchezze nel Regno di Francia e a sviluppare colonie economicamente funzionali all’accrescimento della potenza del regno stesso per esempio la Compagnia delle Indie Occidentali e Orientali.[4] Le numerose guerre, provocate dalla politica espansionistica voluta da Luigi XIV, si rivelarono molto dispendiose con una forte crescita del debito pubblico: la guerra di Devoluzione, combattuta nel 1667-1668 tra Francia e Spagna per conquistare le Fiandre e la Franca Contea, la guerra franco-olandese durata dal 1672 al 1678, la Guerra dei nove anni o guerra della Lega d’Augusta durata dal 1688 al 1697, motivata dalla successione del Palatinato, la guerra di Successione spagnola durata dal 1701 al 1713, scoppiata alla morte di Carlo II d’Absburgo, ultimo re di Spagna. La necessità di denaro costrinse il re di Francia a rivolgersi a finanziatori di vario genere tra cui degli ex-Ugonotti o Ugonotti tout-court che erano stati costretti a espatriare dopo la revoca dell’Editto di Nantes oppure a banchieri di professione: “Quando aveva bisogno di denaro, Luigi XIV dimenticava i suoi pregiudizi.”[5] Questo fatto accrebbe l’indebitamento del Regno a fronte dei risultati militarmente irrilevanti delle campagne tra il 1667 e il 1715. Venne a crearsi un sistema economico sostanzialmente guidato dalla monarchia, definito mercantilismo. Il potere sovrano assunse la funzione di imprenditore: promosse le industrie manifatturiere francesi, le protesse dalla concorrenza straniera con alti dazi e strutturò un sistema amministrativo molto preciso fondato sugli Intendenti regi reclutati nell’ambito del Terzo Stato. Con Colbert tali figure di amministratori assunsero una valenza ponderale importante diventando i veri signori della monarchia francese; essi furono la base di una straordinaria amministrazione pubblica che sostenne nel suo complesso il sistema istituzionale francese. La conseguenza fondamentale fu che la nobiltà fondiaria perse il proprio primato nella produzione della ricchezza del Regno a vantaggio degli imprenditori, dei commercianti e dei banchieri. In campo finanziario, alla luce di quanto sostiene Francesco Benigno, la finalità dell’azione di Colbert si orientò verso la razionalizzazione e la riorganizzazione del sistema finanziario e tributario del regno. Il progetto operativo si caratterizzò, da una parte, per una diminuzione del grandissimo debito pubblico e dall’altra per un incremento del prelievo fiscale. Nel 1661 il debito pubblico aveva consumato il 62% delle entrate statali; il prelievo fiscale subì un processo di accelerazione ed ottimizzazione attraverso la lotta contro la abitudine assai diffusa di sottrarsi alla tassazione. Semplificò la burocrazia, la contabilità dello Stato e istituì le Fermes générales, ma non poté rinunciare agli appalti delle imposte perché la pressione fiscale sui contadini dovette intensificarsi, mentre aristocrazia e clero mantennero le tradizionali esenzioni. Le Fermes générales, erano un complesso strutturale finalizzato alla riscossione delle imposte indirette e delle imposte su sali e tabacchi. Tuttavia, le spese, legate alle guerre di Luigi XIV, incisero in misura così importante sulle condizioni delle finanze statali francesi al punto che Colbert fu nuovamente costretto a ritornare all’indebitamento.[6] Insieme alla burocrazia, all’esercito di Stato, l’Assolutismo impose alla Francia anche un sensibile aumento del carico fiscale. Burocrazia, esercito e tasse – affermano De Luna e Meriggi – rappresentano tre elementi fortemente dipendenti l’uno dall’altro in quanto burocrazia ed esercito per rinforzarsi necessitano del fisco. L’esercito, negli anni di pace, assorbì un terzo della spesa pubblica mentre durante le guerre esso assorbì i due terzi della stessa. Si calcola che, su complessivi 54 anni del regno di Luigi XIV, ben 37 vennero scanditi dalla guerra. I ministri finanziari, per far fronte alle spese, ricorsero da una parte alla vendita di cariche pubbliche e dall’altra all’imposizione di nuove tasse tipo la capitazione (tipologia di imposta che interessava ogni maschio adulto indipendentemente dal suo reddito) e il decimo imposta quantificata in 1/10 del reddito, attivate rispettivamente nel 1695 e nel 1710. Il fine di queste imposte avrebbe dovuto essere quello di istituire una uguaglianza fiscale in quanto coinvolgente tutti i sudditi senza distinzioni di ceto: in realtà gli ecclesiastici vennero esclusi dal pagamento mentre i nobili difesero i loro privilegi o contribuendo alla tassazione in misura ridotta o astenendosi completamente dal pagamento. “La crescita della pressione fiscale ricade quasi completamente sulle spalle dei contadini, che si trovarono a sopportare il nuovo peso dello Stato accentrato ed esigente, senza per questo venir liberati dagli oneri tradizionali, derivati dall’ineguaglianza di status tipiche dell’antico regime”.[7] Dal 1663 al 1674 si registrò un costante dislivello fra le entrate e le uscite. Le uscite superarono in maniera più o meno consistente le entrate; 1670: uscite 77 milioni di lire tornesi, entrate 74 milioni; 1680: uscite 96 milioni, entrate 92 milioni. In tempo di guerra, ad esempio 1674, uscite 107 milioni, entrate 106 milioni. Va calcolato inoltre che il mantenimento dell’esercito e delle fortificazioni incisero per più del 50% sulle entrate.[8] Peraltro le principali fonti delle entrate fiscali erano rappresentate dalla taglia imposta ai non nobili in base alla quantità di terra posseduta o coltivata[9], la gabella e le aides, cioè le imposte indirette su altri prodotti, come il vino. Le tasse colpivano soprattutto i meno abbienti, date le esenzioni tradizionali di cui godeva la nobiltà; nonostante l’aumento delle tasse, le entrate fiscali dovute alla taglia diminuirono dai 53 milioni di lire del 1657 ai 35 milioni del 1680; dopo il 1680 le tasse continuarono ad aumentare. Oltre a questa pesante situazione fiscale incidevano irregolarità dovute a falsificazioni delle anagrafi tributarie, circoscrizione per circoscrizione, sicché i meno abbienti si trovarono sottoposti ad una pressione fiscale particolarmente forte.[10] Non mancarono gli eccessi nella riscossione dei tributi: Luigi XIV, il 21 luglio del 1691, scrisse una lettera al maresciallo Catinat: “È seccante essere obbligato a bruciare dei villaggi per convincere la gente a pagare le tasse. Ma poiché né con le minacce né con la dolcezza lì si convince, è bene continuare con questi rigori”.[11] Questi rigori si scontrarono con le condizioni comunque critiche degli agricoltori; la Francia dell’epoca di Luigi XIV andò incontro a numerose carestie, anche perché nell’ammodernamento delle tecniche agricole non si investiva a sufficienza. Inoltre avvennero alcune modificazioni significative sul piano istituzionale: “Nel 1665 Luigi XIV toglie alle Corti l’appellativo di sovrane riducendole a superiori e, con le ordinanze del 20 aprile 1667 e del 24 febbraio 1673, ne regola l’attività e le funzioni togliendo loro di fatto il diritto di resistenza che era la loro grande arma politica. Gli editti regi avrebbero dovuto essere registrati immediatamente senza alcuna modificazione e restrizione e soltanto dopo tale atto sarebbe stato concesso di presentare al re delle rispettose rimostranze”.[12] Nel lungo Regno di Luigi XIV (1638-1715), la monetazione e le sue Riforme rappresentarono un momento di non secondaria importanza nella dinamica economica che caratterizzò l’Ancien Régime francese: la moneta, infatti, si rivelò centrale non solo sotto il profilo economico ma anche sotto il profilo artistico-propagandistico. Essa fu strumento che consentì al popolo di soddisfare necessità quotidiane di sopravvivenza, favorì il piccolo commercio nei mercati cittadini e rurali, consentì alla classe borghese e alla piccola nobiltà di arricchirsi, alimentò il lusso a cui tendeva la grande nobiltà; quest’ultima fu esempio di spreco, caratteristico di una società in via di trasformazione nella quale il carico fiscale gravava sul Terzo Stato. Da un punto di vista artistico, i lineamenti del volto del Re, sempre presente nel diritto monetale, sono finemente rappresentati attraverso ritratti giovanili che mutano fino a quelli della età matura; in particolare negli scudi d’argento, che presentano un diametro variante tra i 38 e i 41-42 millimetri, si celebra, in mancanza di altre immagini, la sacralità della figura del monarca, la dignità, il portamento solenne temperato dalla saggezza. Elvira e Vladimir Clain-Stefanelli sottolineano come “La diversità dei ritratti spesso alla moda del tempo con la grande parrucca allungata ojabot di pizzo e le varianti dei tipi di rovescio principalmente araldici, la precisa esecuzione del particolare contribuiscono molto alla bellezza di queste monete.”[13] Victor Gadoury si sofferma sul fatto che Luigi XIV, vista la gravità dei problemi finanziari, “per rimpinguare le casse dello Stato decise di aumentare il corso delle monete. Questa operazione, conveniente per il Re, lo era anche, pur in misura minore evidentemente, per i singoli sudditi. Quindi, in quattro volte, Luigi XIV ordinò il cambio forzato di vecchie specie [di monete] contro nuove, dello stesso peso e titolo, ma di tipo differente e di valore accresciuto”.[14] Lo stesso Autore sottolinea come il valore della Lira tornese, prima del 1689, era quantificabile in 3 Lire per lo Scudo di argento e in 10 lire (successivamente portato a 11 Lire) per il Luigi d’oro. Questo valore crebbe in modo direttamente proporzionale con il succedersi delle quattro Riforme: con la Prima Riforma, effettuata tra il 1690 e il 1693, venne aumentato il valore delle monete a 3 Lire 6 soldi per lo Scudo e a 12 Lire per il Luigi; con la Seconda Riforma, durata dal 1693 al 1701, il valore salì a 3 Lire 12 soldi per lo Scudo e a 14 Lire per il Luigi; con la Terza Riforma, durata dal 1701 al 1704, il valore passò a 3 Lire 16 soldi per lo Scudo e a 14 Lire per il Luigi; con la Quarta Riforma, durata dal 1704 al 1705, il valore fu stabilito a 4 Lire per lo Scudo e a 15 Lire per il Luigi. Alla luce del fatto che la rifusione della moneta comportava tecnicamente comunque una perdita di materiale aureo o argenteo e in considerazione che la coniazione della moneta, all’epoca, permetteva tecnicamente soltanto determinate operazioni, “ci si contentò di coniare il nuovo tipo direttamente sopra il vecchio […]”.[15] Jean Duplessy riferisce che si rese necessario ricorrere ad un sistema di finanziamento caratterizzato da ripetute trasformazioni delle monete, dette Riforme al fine di compensare le spese assai ingenti derivate dalle guerre effettuate nell’ultimo periodo del Regno di Luigi XIV. “Il sistema consisteva nel mettere in circolazione un luigi e uno scudo (e le loro divisioni) secondo un tipo nuovo e secondo un corso più alto rispetto alle monete precedenti, per ridurne gradualmente il valore di corso, e, poi, improvvisamente, per svalutarle e sostituirle con altre monete a un tasso elevato. Per facilitare l’operazione e per ridurre il costo, le vecchie monete non vennero rifuse, ma coniate secondo il nuovo tipo”.[16] Le Riforme “crearono un reddito per la corona, svalutando le monete correnti e rivalutandole con la semplice sovra-coniazione dopo il loro ritiro. Ne risultò una terribile confusione perché le monete con dei valori assai differenti circolavano nello stesso tempo”.[17]
[1] P. R. Campbell, Luigi XIV e la Francia del suo tempo (1993), tr. it. Bologna, Il Mulino, 1997, p. 69.
[2] P. R. Campbell, Luigi XIV e la Francia del suo tempo (1993), op. cit., p. 69.
[3] P. R. Campbell, Luigi XIV e la Francia del suo tempo (1993), op. cit., p. 70.
[4] G. Gerosa, Il Re Sole. Vita privata e pubblica di Luigi XIV, Milano. Mondadori, 1998, pp. 247-250.
[5] P. Mansel, Il re del mondo. La vita di Luigi XIV, tr. it. Milano, Mondadori, 2021, p. 525; ma si veda la pagina 526 e le note n. 1 e n. 2 al cap. XXI.
[6] F. Benigno, L’età moderna. Dalla scoperta dell’America alla Restaurazione, in collaborazione con Massimo Carlo Giannini e Nicoletta Bazzano, Laterza, Bari-Roma, 2005, pp. 220-221.
[7] G. De Luna, M. Meriggi, Il segno della storia. 2. Dalla metà del Seicento alla fine dell’Ottocento. Paravia Pearson Italia, Milano-Torino, Prima edizione 2012, pp. 50-51.
[8] P. Mansell, Il re del mondo. La vita di Luigi XIV, op. cit., p. 170.
[9] P. Mansell, Il re del mondo. La vita di Luigi XIV, op. cit., p. 171.
[10] P. Mansell, Il re del mondo. La vita di Luigi XIV, op. cit., ibidem.
[11] G. Gerosa, Il Re Sole. Vita privata e pubblica di Luigi XIV, op. cit., p. 420.
[12] P. Alatri, Parlamenti e lotta politica nella Francia del Settecento, Laterza, Bari-Roma, 1977, p. 106.
[13] E. E. e V. Clain-Stefanelli, Monnaies européennes et monnaies coloniales amèricaines entre 1490 et 1789, Office du Livre, Fribourg (Suisse), 1978, p. 241.
[14] V. Gadoury, Monnaies Royales Française. Louis XIII à Louis XVI. 1610-1792., Baden-Baden, Franz W. Wesel, 1986, p. 7 non numerata.
[15] V. Gadoury, Monnaies Royales Française. Louis XIII à Louis XVI. 1610-1792., op. già cit., p. 7 non numerata.
[16] J. Duplessy, Les monnaies francaises royales. De Hughes Capeto a Louis XIV (987-1793), Tomo II (François I – Louis XIV), Maison Platt, 49, rue de Richelieu, F-75001, A.G. Van der Dussen, Hondstraat , NL-6211 HW Maastricht, 1989, p. 238.
[17] E. E. e V. Clain-Stefanelli, Monnaies européennes et monnaies coloniales amèricaines entre 1490 et 1789, op. cit., p. 241.