Certe parole, certe locuzioni, non possono essere silenziose, non possono essere sottaciute, devono essere gridate: “Sua Maestà L’Arancina fimmina è!”.

È questione intorno alla quale noi siciliani, intendo i siciliani che hanno creato l’Arancina, siamo stati educati fin da giovanissimi. Intorno alla questione, negli ultimi anni, è nata una discussione che francamente fra siciliani avremmo potuto evitare, ma è andata così. Doveroso però mettere ordine sulla materia del contendere. Parto da una domanda elementare: esistono motivazioni serie che possano indurci a sostenere che l’Arancina non sia di genere femminile? No! È la mia risposta, non esistono, lo affermo con determinazione, l’Arancina fimmina è e le motivazioni sono profonde e antiche, esse sgombrano il campo da malintesi e fraintendimenti che qualche rivale municipale o qualche costruttore di pensieri surrettizi ha voluto alimentare, invidioso forse della natalità della splendida creatura o interessato ad altri incauti obiettivi, mi spiegherò fra poco.

Procediamo con ordine a ricostruire le tre verità fondamentali relative alla purezza femminea dell’arancina.

In primis: la prova della nascita. L’Arancina fimmina è perché nacque in Palermo, creata da cuochi palermitani che attestarono il sesso dopo averla voluta realizzare in scienza e conoscenza; cuochi dotati di storia e tradizione, nonché muniti di antica esperienza e che per nobile autodeterminazione scelsero di denominare la prelibatezza precisamente Arancina, avendo a mente l’arancia, frutto dell’albero d’arancio, come fu poi trasmesso con letizia di nunciazione ai posteri. Mi scrive Teodora, cara amica palermitana e docente di Storia dell’Arte: «I Berberi, numerosi ed egemoni fra coloro che chiamiamo Arabi durante il dominio in Sicilia, usavano mangiare bocconi di riso con carne. Nella successiva età normanna questa usanza si combinò con l’abitudine degli Ebrei di Palermo di friggere nell’olio, diversamente da quanto facevano gli altri Siciliani, che usavano lo strutto. In oltre gli Ebrei amavano panare i cibi da friggere, usanza che passò a pieno titolo nella cucina siciliana. I bocconi di riso con carne dei Berberi divennero così delle palline ripiene che, una volta panate e fritte, assumevano un bel color arancio, divenendo così simili a piccole arance, con un miglior apporto calorico, con dimensioni che non erano quelle di certe enormi arancine in uso oggi. Federico II di Svevia, futuro Imperatore del Sacro Romano Impero, gran cacciatore, amava portare con sé le arancine durante le battute di caccia, contribuendo così alla loro fama».

In secundis: l’evidenza del riferimento linguistico. Chi pensò alla denominazione Arancina lo fece, come testé dicevo, con evidente riferimento ad una piccola arancia, non certo ad un piccolo arancio, cioè all’albero che produce in natura le arance. Che somiglianza potrebbe infatti esserci fra l’arancina e un albero? E questo il caro estinto, scrittore Andrea Camilleri, lo ha sempre saputo, lui, essendo nato a Porto Empedocle, ha sempre chiamato l’Arancina al femminile come han sempre fatto i suoi avi, in provincia d’Agrigento. Poi Camilleri decide di scrivere “Gli arancini di Montalbano” e il lettore interpreti liberamente questa scelta. Sono stato maligno nell’attribuire a Camilleri la volontà di far scoppiare una tenzone linguistica, un’operazione di marketing dissimulato, pro domo sua? E allora e ad abundantiam propongo una prova empirica. Chiedete ad un agrigentino cosa ne pensa del sesso di un’Arancina, chiedetegli se nel passar dei secoli, dalla fine dell’XI secolo, l’Arancina ha mai canciatu sesso? E se, stando all’attualità del 2021, mille anni dopo, ad Agrigento o a Porto Empedocle – paese natio di Andrea Camilleri – c’è traccia di Arancine che decisero per qualche via inconsueta d’addiventari masculi. Fosse così, ma non è così, sarebbe opportuno, per trasparenza e correttezza, averne notizia pubblica e veritiera. Sappiamo dell’esistenza di un arancinu masculu ma non è nobile e trattasi d’imitazione e di sottoprodotto.

In tertiis: la prova gnoseologica della gioia o più propriamente della “relazione”. Chi ha avuto la fortuna di assaggiare l’Arancina palermitana, in Palermo, avrà sicuramente apprezzato quanto il prodotto tipico di terra di Sicilia sia squisito al palato e ricco di nutrimento: esplosione di gioia ed energia, momento di passione indimenticabile, evento amato e apprezzato da tante e tante generazioni di nobile stirpe e di popolo appassionato. L’”Arancina” è “relazione in sé” come tutte le forme sublimi di “relazione” vissute tra gli umani e nelle loro comunità, e la mente va agli eventi più nobili: la procreazione, l’amore, il nutrimento della prole, l’amicizia, il nobile impegno politico per la Civitas, l’onesto lavoro. L’assioma è logico e trasparente: l’Arancina è relazione e chi potrebbe negare infatti che la relazione anch’essa fimmina è?

Affermare il contrario è infedeltà a un credo che offende l’onore dei Siciliani tutti.

È attività ai confini dell’illecito e dell’immorale, e lo scrittore Camilleri, pace all’anima sua, sa di cosa parlo, lui ha sempre avuto piena contezza della materia.

 (Testo rivisitato e ridotto, tratto dal libro dell’autore L’età del limo).