Fondamentalmente ci sono due tipi di religioni. Ci sono quelle tradizionali, che fanno parte del DNA di una civiltà, i cui inizi si perdono nella notte dei tempi, quindi non hanno un fondatore vero e proprio, ma al massimo dei continuatori: pensiamo all’induismo o all’ebraismo. Ci sono poi le religioni critiche, cioè quelle che nascono nel seno di una religione tradizionale ma poi un riformatore ne fonda una nuova: pensiamo al cristianesimo, che deriva dall’ebraismo e poi Cristo innova. Fa parte di queste anche il buddhismo, fondato da Buddha.
Buddha operò nell’India del VI secolo a. C. Ad un certo punto della sua vita scopre che la religione tradizionale, l’induismo, non era adatta e fonda un nuovo movimento, che si stacca dalle esigenze nazionali dell’induismo acquisendo un afflato universale, del resto come ha fatto il cristianesimo rispetto all’ebraismo di duemila anni fa.
La parola “buddhismo” è occidentale e indica un insieme di scuole molto numeroso. Le scuole buddhiste chiamano sé stesse di solito buddhadharma, “insegnamento del Buddha”, in quanto ognuna di esse si proclama l’erede del vero insegnamento. Queste scuole sono nate in India ma poi hanno portato l’insegnamento anche fuori: pensiamo al buddhismo cinese, a quello giapponese, a quello tibetano, e così via. Le scuole buddhiste sono dottrinalmente diversificate e hanno espresso nel loro insieme ogni tipo di concezione filosofica esistita sulla faccia della terra. Quelle attualmente più rilevanti nel mondo sono: Theravada o Hinayana (Piccolo Veicolo), Mahayana (Grande Veicolo), Vajrayana (uno sviluppo del buddhismo Mahayana).
Quando il Buddha morì si fece un concilio costituito dagli arhat, i liberati, e quindi si formò un canone degli insegnamenti del Buddha. Ma era trasmesso oralmente, quindi le varie scuole antiche ebbero dei canoni diversi, sempre orali, quindi quando le scuole si estinsero andarono perduti anche i canoni antichi. Oggi abbiamo tre canoni (tripitaka) superstiti di periodi successivi: pali, tibetano, cinese. Ogni canone ha tre parti:
- Sutra: i discorsi del Buddha;
- Vinaya: regola monastica;
- Interpretazione degli insegnamenti.
Nel mondo induista, di provenienza del Buddha e dei primi seguaci, vi sono quattro caste assieme a quella dei “fuori casta”, cioè gli intoccabili. Ma si può essere “fuori casta” anche dall’alto, cioè stare fuori dal sistema delle caste in quanto si sta fuori dal mondo per libera scelta.
L’induista vive quattro āśrama, cioè fasi della vita:
- Da adolescente attua la “seconda nascita”, cioè l’iniziazione nel mondo degli adulti e inizia a studiare presso un guru;
- A 24 anni forma una famiglia e fa i figli e mantiene tutti con il lavoro;
- Da anziano inizia a non servire più la famiglia e smette di lavorare, comincia allora a vivere una vita etica spesso appartato in una foresta;
- In seguito diventa un saṃṇyasa, cioè va volontariamente fuori dal mondo e dal sistema delle caste, abbandona tutto e vive una condizione di elemosina per identificarsi sempre più con l’Assoluto.
In India queste persone volontariamente fuori dal sistema delle caste e dalle logiche del mondo sono molto stimate, le famiglie fanno loro l’elemosina come a una divinità incarnata. Ora, i primi buddhisti praticavano una vita in questa maniera, lasciavano tutto e sussistevano vagando in cerca di elemosina con lo scopo di ottenere la liberazione. Ma non si trattava di ascetismo, perché all’epoca quella condizione era quasi normale, forse un po’ più sobria rispetto a quella di tutti.
Queste persone senza niente si incontravano e per sussistere meglio si aggregavano, così nacquero i monasteri buddhisti. Da allora in poi il buddhismo ha un aspetto più nobile, costituito dai monaci che meditano e studiano insieme, e quello dei laici, che stanno nei villaggi e recepiscono l’insegnamento dei monaci: in cambio della conoscenza i laici sostengono la comunità monastica.
Quindi il punto di forza del buddhismo era la filosofia dei monaci, anche raffinata. Ma questo aveva anche una contropartita: quando i musulmani invasero l’India attaccarono i monasteri e dato che il buddhismo era centrato sull’insegnamento dei monaci, scalzati questi si scalzò la religione buddhista dall’India. Invece l’induismo era molto presente anche nel mondo laico mediante una sapienza da tutti condivisa e resistette.
Attorno all’VIII secolo il buddhismo divenne decadente in India. Allora la figura del Buddha venne assimilata nel visnuismo, setta induista che vede nel Buddha storico un avatara di Visnù. Come mai l’induismo fa rientrare in sé il Buddha, che è fondatore di una religione contraria? Le due principali caste dell’induismo, brahmani e kshatriya, erano in forte contrasto tra loro per la gestione del potere. Ora, il Buddha apparteneva agli kshatriya, come la maggior parte dei buddhisti indiani dell’epoca, quindi forse per declassare la casta degli kshatriya, i visnuiti dicevano che Visnù si incarna come Buddha per sviare gli kshatriya dai retti insegnamenti dell’induismo.
Per l’induismo la liberazione consiste nella identificazione con l’Assoluto, cioè nell’abbandono dell’io illusorio e con la scoperta di essere l’Assoluto. Invece per il buddhismo la liberazione è la nullificazione del proprio essere. Si tratta quindi di due visioni del mondo molto diverse. Il Buddha muove importanti critiche all’induismo:
- Al rito: per i buddhisti il rito non serve per la liberazione;
- All’ascetismo: per il Buddha ci devono essere due estremi da evitare, da una parte la ricerca dei piaceri (edonismo) e dall’altra l’ascetismo, che non porta alla liberazione, anzi ne è un ostacolo;
- Al moralismo: il buddhismo ha un’etica, ma seguire un’etica non porta di per sé alla liberazione, ne è solo un aiuto;
- Alla meditazione: è vero che il buddhismo fa molto uso della meditazione, ma essa non porta di per sé alla liberazione, ne è solo un aiuto.
La meditazione si regge sul rapporto di causa-effetto. La persona medita e attraverso questa condizione passa ad un effetto, uno stato mentale migliore. Ora, ciò che è condizionato (cioè che si regge su un rapporto di causa-effetto), non è incondizionato (in pali asankhata, in sanscrito asamskṛta). La liberazione è incondizionato, cioè non è retta né prodotta da nessuna causa, viene liberamente. La liberazione non ha inizio né fine, non ha condizione. Quindi la meditazione non può causare uno stato di liberazione. Ma se la mente costruisce con la meditazione diversi stati di coscienza, può succedere che la mente si accorga della inutilità della costruzione e quindi smetta di meditare e di passare a diversi stati di coscienza: allora spontaneamente avviene la liberazione.
Sin dagli inizi il buddhismo ha due anime che si scontrano e ogni scuola privilegia ora un aspetto ora l’altro:
- Anima critica: se la liberazione è l’incondizionato, bisogna togliere tutto ciò che è falso e che quindi impedisce di vedere l’incondizionato. La verità è sempre qualcosa di legato alla causa e all’effetto, quindi ogni verità è condizionata e non può mostrare l’incondizionato. Non esiste alcuna verità, non esistono verità che ci mostrino l’incondizionato. L’insegnamento del Buddha quindi è una zattera: serve per attraversare il fiume, ma dopo che il passaggio è stato attuato la zattera deve essere abbandonata. L’insegnamento appreso è come afferrare un serpente velenoso: se non lo si capisce bene, esso avvelena il praticante.
- Anima dogmatica: solo la scuola cui appartiene il discepolo è vera, tutte le altre sono false.
È chiaro che ogni scuola buddhista voglia esaltare la propria tradizione, ma si tratta di vie e non di verità assolute.
Nella pratica di una certa via buddhista c’è questo percorso:
- Anicca, impermanenza: meditando si scopre che la sensazione è una entità unitaria, per esempio meditando su un dolore al ginocchio lo si vive come una sostanza compatta, con un inizio, un punto massimo e una fine. In seguito, approfondendo la meditazione sul dolore, si scopre che esso è scomposto, cioè formato da tante onde dolorose, tra di loro frammentate, con associati dei pensieri, le quali vanno e vengono. In un terzo stadio più avanzato di meditazione, si scopre che il dolore appare e scompare, cioè emerge e poi all’improvviso si dissolve.
- Dukkha, sofferenza: esiste se siamo legati con la mente alle cose del mondo che percepiamo. Ma se le sensazioni vanno e vengono, il buddhista impara a non essere legato ad esse, quindi a svincolarsi dalla sofferenza che apparentemente procurano.
- Anatta, mancanza di sostanza: quando si scopre che le sensazioni come il dolore o come i suoni o come la vista sono privi di sostanza, cioè emergono e poi all’improvviso scompaiono, l’attaccamento della mente a queste sensazioni diventa impossibile, allora si può manifestare da sola la liberazione.
Anatta è la parola pali per il sanscrito anatman, cioè assenza di atman. L’atman è il concetto chiave dell’induismo: il Sé assoluto, che ognuno ha e deve scoprire liberandosi dell’io illusorio. Invece il buddhismo nega l’esistenza del Sé e dice che tutto, anche la propria persona, è nulla, vacuità, e bisogna scoprirlo per liberarsi, cioè annullarsi.
Quando un animale viene aggredito da un animale più grande, ha due possibilità di sopravvivenza: la fuga o l’attacco. L’uomo ha un pensiero più sofisticato di quello degli animali, quindi ha due possibilità in più di sopravvivere ai pericoli:
- Esperienza delle altre persone (cultura);
- Il pensiero ci fa prevedere anche scenari futuri.
Ma l’animale affronta la morte sull’istante, invece l’uomo, dato che non ha esperienza di persone sopravvissute alla morte, non sa affrontarla mediante la cultura né sa nemmeno prevederla mediante scenari futuri. Questa condizione di impotenza di fronte alla morte crea angoscia. L’uomo, inoltre, non può affrontare la morte con la fuga né con l’attacco. Allora la differisce non pensandoci e dimenticandola nelle varie faccende quotidiane. Il buddhismo insegna invece che bisogna pensare alla morte per sperimentare il saṃvega, quel senso di urgenza che ci spinge a capire la nostra condizione e a attuare comportamenti in vista della liberazione.
Induismo e buddhismo rilevano che il nostro io ha limiti impressionanti. Alcuni di essi sono:
- Stupidità;
- Incostanza;
- Memoria corta;
- Propensione all’autodistruzione.
Bisogna superare il nostro io, in qualche maniera. Bisogna trascendere noi stessi nel rapporto con gli altri per realizzarsi: l’uomo non può bastare da solo, nella sua piccolezza si ritroverebbe in un mondo assai limitato e fallace, quindi deve necessariamente aprirsi agli altri. La nostra persona egoica va trascesa sempre più fino a dimenticare le persone e alla conseguente identificazione con l’Assoluto (induismo) oppure fino all’estinzione nel nulla, abbandonando definitamente il nostro essere (buddhismo).
Il Buddha storico è Gautama Shakyamuni Siddharta. Ma oggi si parla dei Buddha o Illuminati o Risvegliati o Liberati in riferimento a personaggi che non sono dei, santi, superuomini o esseri sovrumani, ma persone normali che hanno eliminato la sofferenza dentro di sé.
Gautama è nato e ha operato in un’area molto esigua tra gli attuali stati Nepal e India. Quando ci riferiamo all’India del passato, parliamo di tutto il subcontinente indiano e non all’attuale stato dell’India. Le date tradizionali della sua nascita e morte sono: Lumbini, 8 aprile 566 a. C. e Kushinagara, 486 a. C. Gli studiosi non sono tra loro d’accordo e propongono che sia vissuto tra VI-V secolo a. C., visse circa 80 anni.
Quando parliamo dell’arte buddhista, le prime opere sono quelle della fase aniconica (III-I a. C.) e sono gli stupa: le ceneri del corpo di Gautama non sono state disperse nel fiume sacro ma il suo corpo santo ha lasciato delle reliquie che sono state interrate negli stupa. Solo dopo questo periodo iniziale si formano immagini iconografiche di Gautama, operate da due scuole artistiche: quella del Gandhara e quella di Mathura. Non si sa bene quale delle due scuole nasce prima.
Nella fase aniconica dell’arte buddhista il Buddha era rappresentato mediante dei simboli: la ruota, l’albero, i piedi. In seguito la Scuola di Gandhara rappresenta un Buddha monaco meditante e asceta, mentre l’altra Scuola un Buddha più laico. Recenti ritrovamenti archeologici fanno pensare che la prima Scuola sia stata quella di Mathura.
Gautama e tutti gli altri Buddha raggiungono l’illuminazione dopo una serie lunghissima di vite o reincarnazioni. Gli episodi significativi di Gautama sono:
- Concepimento miracoloso: la madre Maya sognando accoglie nel suo fianco destro un elefante bianco a sei zanne;
- Nascita miracolosa: Gautama esce dal fianco destro di Maya, la quale partorisce appesa ad un albero;
- I Quattro Incontri: Gautama era un principe, un sacerdote gli fece l’oroscopo annunciandogli un destino glorioso come cakravartin, Colui che gira la ruota, cioè un sovrano universale oppure un grande leader religioso. Il padre del Buddha desidera che il figlio diventi un grande sovrano, quindi gli fa vivere la vita da principe senza fargli conoscere le brutture del mondo, ma il Buddha esce dal palazzo regale e inizia a scoprire il mondo incontrando un malato (vede la sofferenza), un vecchio (la vecchiaia), un morto (la morte) e infine un asceta (la soluzione a tutti questi tre problemi dell’uomo).
- Il Buddha decide di abbandonare definitivamente il palazzo. Tutte le divinità del pantheon induista lo accompagnano. Gli yaksha (divinità arboree) sorreggono gli zoccoli del cavallo per evitare il rumore (il Buddha fugge dal palazzo di nascosto).
- Il Buddha inizia a dedicarsi all’ascesi. In certe rappresentazioni di questo periodo si vede un Buddha scheletrico dalla fame oppure con le vene esposte, forse come simbolo delle nadi, i canali energetici. L’ascesi dura circa 40 anni.
- L’ascesi ha lo scopo di fargli raggiungere l’illuminazione, ma prima di questo esito subisce l’attacco delle armate del demonio Mara e le tentazioni delle tre figlie di Mara (inquietudine, voluttà, desiderio). Egli vince tutto e raggiunge la liberazione.
- Inizia la predicazione (è la messa in moto della Ruota). L’oggetto di questa predicazione è costituita dalle Quattro Nobili Verità (esiste il dolore; il dolore è dovuto all’attaccamento; il dolore può essere soppresso; ciò è possibile attraverso una via). Questa via è l’Ottuplice Sentiero, cioè un codice etico-morale molto difficile da compiere, per farlo sono necessarie molte vite.
- Estinzione (parinirvana, nirvana definitivo, cioè liberazione ultima, egli si estingue nel nulla).
Bibliografia
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- R. H. Robinson, W. L. Johnson, La religione buddhista, Roma 1998;
- H. C. Puech (a cura di), Storia del buddhismo, Roma-Bari 1984;
- P. Williams, Il buddhismo mahàyàna, Roma 1990;
- S. B. Dasgupta, Introduzione al buddhismo tantrico, Roma 1977;
- R. von Brück, Il buddhismo tibetano, Vicenza 1998.
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